— ★ Bloody Army ★ (Prologo) —


La caduta venne accompagnata da un tonfo sordo. Dal terreno si sollevò un polverone fitto e qualche sassolino schizzò nell'aria. Ayato si guardò le mani: erano sporche di sangue. Denso, vermiglio. Caldo.
Non era la prima volta che se ne imbrattava così tanto, ma questa circostanza era diversa.
Il suo avversario era vivo. Il petto si sollevava su e giù furiosamente e la sua bocca esalava un respiro agitato. Di tanto in tanto emetteva qualche verso ansioso.
Quando si avvicinò alla vittima, improvvisamente questa scattò a sedere e si trascinò indietro sul terreno. Ayato sorrise.
Era incredibile come gli esseri umani, posti di fronte al pericolo, riuscissero a trarre forza dal loro terrore. Il ragazzo che pochi attimi prima giaceva in terra, esausto, ora aveva di nuovo l'energia necessaria per poter scappare. Le iridi gli tremavano negli occhi strabuzzati, facendolo sembrare ancora più ridicolo.
Quando Ayato gli fu abbastanza vicino da poter proiettare su di lui la propria ombra, il giovane gridò e si sollevò in piedi. Le gambe tremanti non gli conferivano una postura sicura, ma riuscì comunque a voltargli le spalle e a scappare.
Ayato avrebbe potuto riprenderlo senza il minimo sforzo, ma per qualche motivo lo lasciò andare. Non aveva più niente da fare con lui.
Guardò la sua sagoma sparire tra gli edifici e sospirò. Qualche ora prima, quel ragazzo lo aveva abbordato mentre setacciava i vicoli della periferia in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Era spalleggiato da un paio di marmocchi che Ayato aveva messo in fuga soltanto tirando un calcio al loro presunto capo, e sembrava che avesse qualcosa da dire a proposito dell'invasione del suo territorio.
Non era la prima volta che qualche teppista attaccava briga con lui. Si aggirava da solo negli antri più infidi della città, ficcando il naso nelle faccende più losche e questo alle teste calde sembrava non piacere. La maggior parte di loro tendeva a sottovalutarlo per via della sua corporatura esile, commettendo così un grave errore di calcolo.
Ayato era irascibile e veniva facilmente condizionato dalle circostanze. Quando la sua rabbia esplodeva, niente poteva fermarlo.
Abbassò di nuovo lo sguardo sulle proprie mani. Il sangue si stava seccando, provocando una leggera pressione là dove si fondeva con la pelle.
I suoi vestiti erano degli stracci e il sudore gli colava copioso dalle tempie e lungo la schiena.
La polvere ricopriva interamente il suo corpo.
"Niente male, per essere l'operato di un teppista."
Ayato si voltò di scatto. La voce che aveva udito proveniva dall'esterno del vicolo.
Là dove la luce s'immetteva a raggi incerti, bucando le nuvole e spingendo tra le forme sconnesse degli edifici, stanziava una sagoma scura.
Era un uomo con indosso una divisa color nero pece, che innestò in Ayato un sentore di disgusto.
Un soldato? Apparteneva all'esercito di sicuro, ma da quella distanza non poteva indovinare il suo rango. E poi, che cosa ci faceva lì?
Si era premurato di trascinare il ragazzo nell'angolo più remoto della stradina, così da non attirare occhi e orecchi indiscreti.
L'uomo in divisa avanzò con passo autoritario nel vicolo, così che il buio potesse inghiottirlo. Sotto il cappello nero si scorgevano i capelli biondi e gli occhi blu, adombrati dalla visiera. Un soffio di vento gli sollevò i lembi della lunga giacca, portando con sé il pulviscolo del terreno, che s'aprì dietro di lui come due ali scure.
Sembrava uno spietato angelo della morte, con quell'espressione adombrata sul viso.
Ayato strinse i pugni: aveva tutta l'aria di essere una figura importante. Forse avrebbe dovuto darsela a gambe.
"Non ti preoccupare, non ti arresterò per quello che hai fatto." disse l'uomo misterioso, come se potesse leggergli nel pensiero. "Ho visto come sono andate le cose. Legittima difesa." continuò, fermandosi a qualche metro da lui.
Ayato non sapeva cosa fare. Una parte di lui continuava a suggerirgli di fuggire, mentre l'altra... quella chiedeva come un'implorazione di continuare ad ascoltare.
"Che cosa... volete?" domandò, ritrovando dentro di sé la determinazione di parlare.
Persino un malvivente come lui ricordava, al momento giusto, come si usavano le buone maniere. Alla fine non era nient'altro che un codardo.
Sul viso pallido dell'uomo misterioso si aprì un sorriso. Ayato non seppe dire se fosse sincero o in qualche modo freddo, distante, distorto.
"Una forza come la tua è sprecata in un posto come questo. Il nostro Corpo sarebbe onorato di avere dalla sua parte un giovane così promettente."
L'uomo allungò il braccio di fronte a sé, la mano guantata aperta come un allettante invito.
"Che ne diresti... di unirti a noi?"


Ayato si svegliò di soprassalto. Aveva il respiro irregolare e la fronte madida di sudore. Si passò una mano tra i capelli umidi, scostandoli dal viso. Cercò di regolarizzare il respiro.
Di nuovo quel sogno. Non era la prima volta che lo faceva e non si trattava nemmeno di un'esperienza onirica devastante. Narrava semplicemente di un evento del passato, che per qualche motivo continuava a ripresentarglisi sottoforma di sogno.
Sbatté più volte le palpebre e gli occhi a poco a poco si abituarono alla penombra della stanza. Il letto addossato alla parete scricchiolò sotto il suo peso quando si rigirò tra le lenzuola per controllare la sveglia.
L'altro letto era vuoto e perfettamente rifatto. Improvvisamente si avvide della luce che s'affacciava alla finestra, come un pallido promemoria. Le lancette sul quadrante della sveglia segnavano le nove.
"Merda!"
Scattò a sedere e subito iniziò a sfilarsi il pigiama di dosso. Era tardi. Avrebbe dovuto scendere a fare colazione per le sette e mezza e presentarsi al campo di addestramento alle otto precise.
Certo, quella mattina la maggior parte dei suoi uomini avrebbe dovuto occuparsi della pulizia della caserma e della preparazione del pranzo - e oltretutto come Maggiore aveva comunque i suoi privilegi - ma presenziare alla giusta ora piccava principalmente al suo orgoglio. E poi doveva supervisionare il lavoro del Capitano con le nuove reclute.
Saltellò su un solo piede nel tentativo di infilare lo stivale, arrotolando malamente la gamba dei pantaloni lungo il polpaccio. Quando ci riuscì afferrò la giacca dal fondo del letto e la indossò frettolosamente. Annodò la cravatta al collo come meglio riuscì e sfilò veloce il cappello dall'attaccapanni. Si fiondò fuori dalla camera senza nemmeno ricordarsi di chiuderla a chiave.
Nel corridoio numerosi soldati chinarono il capo per salutarlo, ma lui non prestò loro molta attenzione. Li congedò con un rapido gesto della mano, mentre si sistemava il nastro rosso sulla cintura.
La caserma era animata da un fervore insolito, probabilmente dovuto all'avvento dei nuovi arrivi. Era sempre così. Ogni anno, con il reclutamento di nuovi soldati, i giovani che fino a quel giorno erano stati i novellini diventavano finalmente i superiori.
Tuttavia cose come la differenza di rango non toccavano Ayato da un po' di tempo. Non riusciva a non trovarle ridicole.
Un soldato dall'aria familiare gli si avvicinò con aria ritrosa. Ayato smise di camminare e si fermò, mostrandosi evidentemente contrariato.
"C'è qualche problema?" chiese, riconoscendo nel giovane uno dei suoi sottoposti.
"Vi stavo cercando, Maggiore." rispose questo, porgendogli dei fogli stropicciati. Ayato li prese tra le mani con cautela e li squadrò sospettosamente.
"Di che si tratta?"
"Il Colonnello, signore." mugolò intimidito il soldato. Ayato sollevò gli occhi dai fogli e assottigliò lo sguardo. Il Colonnello? Che cosa aveva di così urgente da comunicargli, se addirittura gli faceva recapitare un mandato scritto?
"Ho capito." mormorò, facendo un gesto brusco con la mano. Nel suo modo di fare, indicava chiaramente che voleva essere lasciato solo. Il giovane soldato sembrò capirlo, perché si inchinò e poi si disperse tra la gente, senza aggiungere una sola parola.
Ayato lo guardò scomparire tra le uniformi nere, fino a confondersi con qualcun altro. Dopodiché sospirò gravemente e tornò a concentrarsi sui documenti.
Il mandato non era indirizzato a lui personalmente, ma a tutti i Maggiori responsabili del Corpo Speciale. Questo lo sollevò solo in parte.
Si trattava comunque di un comunicato del Colonnello e, per esperienza personale, sapeva che non portava quasi mai buone notizie.
Mentre lo consultava, riprese a camminare nel corridoio. Doveva incontrare i suoi uomini, almeno per fare presenza e poi raggiungere il campo di addestramento. Grazie al tumulto di quei giorni, il suo ritardo sarebbe passato inosservato.
Stava ancora leggendo, quando passò davanti alla porta dell'armeria. Decise sul momento che avrebbe fatto qualche tiro al poligono, quindi forzò la maniglia con decisione e vi entrò.
La stanza era buia. Al suo interno c'erano armi, giacche militari, munizioni e supporti. Nell'angolo, un uomo e una donna sussultarono. Ayato sbarrò gli occhi.
"Fine dei giochi..." mormorò l'uomo in divisa, che alla vista di Ayato aveva storto la bocca in una smorfia di dissenso. Aveva i capelli raccolti in una coda, la camicia e la giacca slacciate e la cravatta annodata male intorno al collo. Anche nella penombra, erano evidenti diversi marchi di rossetto che gli decoravano vistosamente le guance. Nonostante fosse stato scoperto in una situazione compromettente, non dava cenno di essere particolarmente turbato. La donna, invece, aveva un'espressione quasi disperata. I capelli biondi le scivolavano lunghi fino oltre le spalle. Oltre alla gonna, non indossava nient'altro e per questo si era immediatamente premuta sul petto dell'uomo di fronte a lei. Ayato sospirò.
"Di nuovo?" fu tutto quello che riuscì a chiedere.
L'uomo con la coda ridacchiò, freddamente.
"Di nuovo? L'altra volta eravamo nello sgabuzzino." si difese, alzando le mani in segno di resa. La biondina squittì, spaventata all'idea di rimanere esposta agli occhi altrui.
Ayato scosse la testa.
"Falla rivestire." ordinò, lanciando uno sguardo di fuoco alla donna. "Sei fortunato che a trovarti non sia stato-"
"Non sia stato chi?" lo interruppe l'altro, passando alla giovane i vestiti che erano sparsi per terra. Quest'ultima lanciava occhiate fulminee ad Ayato, che però la vide solo con la coda dell'occhio.
"Ayato, sono il Maggiore. Qui in Caserma ho il titolo più alto."
Sentirlo pronunciare il suo nome aveva sempre il suo effetto. Lo irritava. Ayato strinse i pugni.
"Che mi dici del Tenente Colonnello?" lo incalzò.
Ma l'uomo sorrise con ovvietà anche a quella frase. Alzò le spalle, mentre si sistemava la cravatta e riallacciava la camicia, flemmatico.
"Sta sempre col Colonnello. Oh?" il suo sguardo si posò sui fogli che Ayato teneva in mano. Anche se al buio non era visibile, Ayato immaginò il verde suggestivo dei suoi occhi dardeggiare di curiosità.
"L'hai ricevuto anche tu? E' un comunicato che ci invita nell'ufficio del Colonnello. Dici che le cose si stanno muovendo almeno un po'?" domandò, forse più a se stesso che al suo interlocutore.
Ayato sollevò un sopracciglio. Dunque era quello il contenuto del mandato. Si era aspettato qualcosa di peggio, ma una convocazione di gruppo non doveva significare niente di aggravante.
"Beh." commentò l'uomo con la coda, recuperando la copia del proprio mandato da uno scaffale e porgendo una mano alla donna bionda. Quest'ultima si era completamente rivestita e la afferrò con poca convinzione.
Lui la scortò fino alla porta. "Noi togliamo il disturbo. E' inutile dire che tu non hai visto niente."
"Lo so." lo stroncò Ayato, lanciandogli un'occhiataccia. Lo sapevano tutti. Quando era andato a denunciare la cattiva condotta di Laito al Colonnello, quest'ultimo gli aveva detto di lasciar perdere. Era forte, questo bastava. Per quanto Ayato lo volesse fuori dai piedi, quest'ultimo sembrava essere una presenza irrinunciabile nell'esercito.
Laito lo guardò per un po', senza dire niente. Poi si voltò dall'altra parte e spinse la donna fuori dall'armeria. La porta si richiuse alle loro spalle con un tonfo sordo. Ayato rimase chiuso nella stanza, nel buio silenzioso che vigeva da padrone tra i numerosi strumenti di morte cui faceva da guardiano.


Più tardi, Ayato raggiunse il Campo di Addestramento. L'incontro con il bastardo gli aveva fatto perdere la voglia di allenarsi al poligono e i suoi uomini sembravano cavarsela benissimo a pulire i bagni senza di lui.
Il campo era gremito di gente. Reclute in canottiera, con i pantaloni della tuta alti sui fianchi correvano avanti e indietro nei percorsi predisposti dai superiori. C'erano ostacoli lungo tutto il perimetro, delimitato da una rete che s'alzava per metri e metri su nel cielo.
Alcuni sollevavano pesi, altri erano disposti in file parallele e urlavano risposte al loro Capitano.
Ayato passò oltre al tumulto di gente, storcendo il naso per l'odore acre e scuotendo la testa, quasi impietosito dalla misera figura che quel gruppo di ragazzini faceva ogni anno ai suoi occhi. Li avrebbe potuti schiacciare tutti con un piede. Un suo semplice insulto li avrebbe fatti scoppiare in lacrime.
Più avanti, un gruppetto meno corposo si allenava al lancio delle granate. Erano tutti adolescenti che spaziavano dai quattordici ai sedici anni, magri e bassi, con i capelli corti e i visi da bambini.
Pochi di loro avrebbero resistito a lungo nell'Esercito. I rimanenti, non sarebbero mai diventati un contributo vero e proprio.
Improvvisamente, l'occhio gli cadde su un ragazzo totalmente diverso. Stava lanciando una granata in quell'istante. La portò vicino al viso con eleganza, tirò la leva con un gesto netto e la lanciò con maestria. Era alto e la sua pelle sudata riluceva alla pallida luce del sole, nascosto tra le nubi grigiastre.
Bianco. Puro. Incontaminato. Da lontano, le sue iridi rosse sembravano brillare.
Aveva uno sguardo gelido.
Il tiro andò a segno perfettamente. Dal gruppo si levò un mormorio. I ragazzi che lo circondavano sembravano sminuirlo, ma sui volti avevano dipinta l'invidia.
Il ragazzo dai capelli e la carnagione immacolati non disse niente. Come in automatico, si spostò per lasciar posto al compagno che aspettava il suo turno e si mise in fondo alla fila. La canotta nera era tesa sopra i suoi muscoli. Ayato provò uno strano senso di alienazione.
Lo stomaco sembrò contorcersi di una strana eccitazione, mista a fastidio.
Aveva di fronte un valido soldato. Questo lo esaltava e agitava allo stesso tempo.
"Quel maledetto." commentò in quel momento una voce familiare.
Ayato si voltò immediatamente, per trovarsi accanto la bassa figura di Kanato. Il ragazzo aveva la sua stessa età, nonostante il viso infantile, il corpo esile e l'altezza ridotta. A discapito del suo aspetto, era Capitano di una brigata del Corpo Speciale.
Era strano che gli rivolgesse la parola; Ayato sollevò un sopracciglio.
"Capitano." lo salutò, schernendolo. Questo non si voltò nemmeno a guardarlo. I suoi occhi erano fissi sull'albino che un attimo prima aveva catturato le sue attenzioni.
"Ci crederesti che quello è fresco fresco di annata?" ringhiò, portandosi un dito tra le labbra e iniziando a rosicchiarlo. Lo faceva sempre quando era nervoso. I guanti, sulle punte delle dita, erano tutti smangiucchiati.
Ayato tornò a guardare la recluta. Se ne stava fermo, quasi svogliato al suo posto. No, non aveva il portamento di un novellino. Tutt'altro.
"Che cosa gli avete dato da mangiare?" scherzò, esaminando un'altra volta il suo corpo.
Kanato sbuffò: "Niente. Non mangia quasi niente, parla poco. Fa tutto a comando, ma sembra quasi che gli costi. Mi fa venire il nervoso."
Ayato poteva sentire il rumore fastidioso del guanto che veniva sfregato tra i canini del ragazzo.
Era trascorso un po' di tempo dall'ultima volta che aveva visto Kanato perdere le staffe. Quando accadeva, quest'ultimo diventava sorprendentemente infantile. In Caserma non era mai successo, almeno fino a quel giorno.
Ayato lo trovò divertente.
"Beh, cerca di non metterti a frignare quando ti stenderà a terra con un solo colpo." suggerì.
Doveva essere una battuta, ma gli occhi viola di Kanato lo penetrarono con odio.
Non si avvicinava a lui da un sacco di tempo. Quel giorno invece gli aveva parlato con naturalezza.
Non succedeva da un po'.
"Adesso che ci penso, cosa ci fai qui?" chiese il più basso, con la voce ancora più alterata. Ayato sbuffò. Non avrebbe dovuto avvicinarsi così tanto a lui.
"Davo un'occhiata. Mi è stato chiesto di supervisionare l'addestramento," spiegò.
"Do una mano dove serve."
"Allora puoi anche andartene."
Kanato fece qualche passo avanti, mostrandogli le spalle. La giacca nera fasciava il suo corpo, sottolineandone le forme esili. Nonostante questo, possedeva la spietatezza di un titano.
Ayato sospirò.
Quello era il suo modo di chiudere una conversazione.
Decise che sarebbe tornato a controllare nell'area principale e s'incamminò, senza nemmeno pensare di salutare.



Shuu accavallò le gambe sulla scrivania, sorseggiando distrattamente il thé preparatogli da Reiji. Quest'ultimo se ne stava diligentemente al suo fianco, in piedi, con le mani congiunte dietro la schiena. La divisa nera e lucida brillava sul suo corpo, in risposta alla pallida luce del sole che permeava dalla finestra. Le tende rosa scuro erano tirate agli angoli delle imposte, per farne entrare quanta più possibile. Il mobilio era interamente in tassello di noce, dal tavolo alla libreria, compresi gli scaffali e l'armadio. Fotografie color seppia occupavano le pareti, incorniciate nel modo più essenziale possibile. Per terra, un tappeto arabescato nero e panna completava il look minimalistico dell'ambiente.
Dopo un lungo silenzio, Shuu si decise a parlare.
"Ho convocato i Maggiori nel mio ufficio per domani sera. Parlerò loro del piano." disse, svogliatamente.
Reiji si avvicinò di un passo, probabilmente per lanciare un'occhiata alla mappa spiegata sulla scrivania. Tra le varie regioni, una era cerchiata in rosso. All'interno di essa, numerose crocette determinavano i luoghi strategici in cui attaccare.
"Vuoi essere certo di devastare il nemico."
Nonostante Reiji fosse alle sue spalle, Shuu giurò di poter percepire l'intensità del suo ghigno.
Sorrise placidamente.
"Sono stanco di vivere in questo clima di tensione in cui nessuna delle due fazioni attacca. Dobbiamo schiacciarli." rispose.
Detto da lui, sembrava decisamente fuori luogo. Si comportava sempre in modo calmo e pacato, quasi annoiato.
Reiji non sembrò curarsi della sua insolita foga.
"C'è qualcosa che posso fare per agevolare il tuo piano?" chiese, con voce neutra. Shuu non riusciva a capire come gli riuscisse. L'odio di suo fratello era così forte ed efferato che nasconderlo avrebbe dovuto risultare difficile, quasi impossibile.
Eppure Reiji lo mascherava senza il minimo sforzo.
Shuu tamburellò con le dita sul tavolo, ponderando sulla risposta. Un pensiero fulmineo gli attraversò la mente.
"Qualcosa, sì. Anche se non riguarda il piano."
Posò la tazza sul piattino e tolse i piedi dalla scrivania. Frugò nel mucchio di scartoffie che la sovrastava fino a che non trovò il documento che gli interessava.
"Ecco." disse, rimirando i dati impressi a macchina sulla scheda. All'angolo del foglio, era appuntata la fotografia di un giovane ragazzo albino.
"Subaru." lesse ad alta voce, allungando il documento al fratello. "Subaru?" ripeté Reiji, perplesso, prendendo il foglio tra le mani.
Shuu annuì.
"Mi è stato segnalato come una recluta portentosa, dalle splendide abilità cognitive e combattive. Ha un'ottima corporatura e non sembra nuovo all'ambiente." spiegò, cercando di ricordare cos'altro si diceva di lui nei rapporti.
Era senz'altro un individuo interessante. Shuu aveva un certo occhio per quel che riguardava la scelta dei suoi uomini.
Reiji consultò la scheda in silenzio, aggrottando le sopracciglia. Quando ebbe finito, sospirò rassegnato.
"Fammi indovinare," ostentò "vuoi che vada a verificare di persona di chi si tratti?"
Le labbra di Shuu si piegarono automaticamente in un sorriso.
"Mettilo alla prova." ordinò, congiungendo le mani sotto al mento. Reiji gli lanciò un'occhiata bieca. Non era chiaro se fosse infastidito, stremato o semplicemente disinteressato.
"Come vuoi tu." ribatté, restituendogli il foglio. Si portò una mano sugli occhiali e li spinse verso l'alto, come d'abitudine.
Nella stanza calò di nuovo il silenzio.

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