— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 16: Re di Picche) —


Afrodite guardò le carte sparse sul pavimento di fronte a sé e sospirò. Fuori il cielo s'era fatto buio e dall'oblò chiuso arrivavano spifferi di gelo che lo facevano rabbrividire. Cancer non era ancora rientrato: probabilmente s'era fermato a trangugiare qualche birra di troppo finendo per ubriacarsi. Un senso di sconforto, misto a impotenza e irritazione s'impadronì di lui. Avrebbe voluto stare con Cancer, impedirgli di comportarsi in maniera così sprovveduta invece di trascorrere le sue giornate chiuso in quella misera stanza a patire il freddo e la noia. Dall'ultima volta che avevano usato le docce, due sere prima, l'uomo era diventato ancora più rigido e fiscale. Si era procurato un catino di legno mezzo marcio che ogni volta riempiva d'acqua perché Afrodite potesse lavarsi. Di solito, per non destare sospetti, non rimaneva nemmeno ad aspettare che l'acqua venisse calda e perciò il giovane doveva accontentarsi di un bagno gelido e senza sapone. Quando arrivava l'ora di lavarsi, Cancer si girava dall'altra parte e si copriva gli occhi. Afrodite gli aveva fatto notare che, essendo entrambi uomini, non era assolutamente necessario; ma l'altro era stato irremovibile: "Se ti guardassi mi sentirei come se stessi guardando una donna," gli aveva detto.
Lui gli aveva risposto "Grazie tante." e da quel momento non ne avevano più parlato.
Probabilmente Cancer non voleva essere offensivo. Era la sua sincerità, ciò da cui avrebbe dovuto guardarsi Afrodite.
Con un verso di dissenso si allungò in avanti a prendere una carta scoperta: l'Asso di Cuori. Sovrappensiero, ultimamente si ritrovava sempre a isolarlo dal mazzo quando lo mischiava. Ed era sempre il suo subconscio, in quegli ultimi giorni, a suggerirgli un sacco di pensieri che lo agitavano.
Si chiedeva, ad esempio, perché Cancer non indossasse mai la sua Armatura, o perché evitasse accuratamente di parlare della possibilità che in giro ci fossero altri Cavalieri d'Oro come loro. Inoltre, non menzionava mai il metodo con cui si accaparrava tutte le vincite serali e tornava a orari sempre più inaccessibili, spesso ubriaco, facendo nomi di donne che Afrodite non aveva mai sentito. Più di tutto detestava quando gli si accasciava tra le braccia completamente sbronzo e il suo cuore batteva d'euforia contro il proprio, stimolato da qualcosa di estraneo che lui ignorava completamente.
Quell'uomo non gli era mai appartenuto, ma ora più che mai lo percepiva distante. Cominciava a sentirsi come un insormontabile peso. Eppure, cos'altro avrebbe potuto fare? Non aveva ancora ritrovato l'Armatura dei Pesci e, in quelle condizioni, non poteva muoversi da solo.
Un rumore lontano proveniente dal corridoio gli fece sollevare la testa. Una ciocca di capelli sfuggì dall'elastico con cui li aveva legati parzialmente.
Subito si affrettò ad ammucchiare le carte di fronte a sé: se Cancer fosse tornato, almeno avrebbe trovato la stanza in ordine. Quella sera aveva approfittato della sua prematura dipartita per lavarsi più accuratamente, senza dover fare tutto di fretta per non scocciare il compagno.
Aveva indossato la camicia rosa finalmente pulita e i pantaloni bianchi, con gli orli sdruciti ma abbastanza presentabili. Ciò che gli mancava era l'inseparabile rossetto, che però non era riuscito a procurarsi. Cancer lo prendeva in giro per questo, perché non riusciva a comprendere quanto valesse per lui il proposito di truccarsi. Non era solo vezzo personale - Afrodite sapeva di essere bellissimo anche senza - ma piuttosto una lode additiva al suo voto, un simbolo di superiorità rispetto all'eccelso. Quando aveva provato a spiegarglielo, Cancer lo aveva fissato con un sopracciglio inarcato e la bocca piegata in una smorfia di sdegno, fino ad alzare le spalle e limitarsi a commentare: "Per me sei sempre uguale."
Che poteva significare "uguale a quando eri un marmocchio", "ugualmente banale", "ugualmente poco interessante" e secondo Afrodite riassumeva quei tre concetti in una sola frase.
D'altra parte non aveva tutta questa importanza, secondo Cancer. Afrodite non doveva incontrare nessuno e preoccuparsi dell'apparenza non serviva a nulla.
Un altro rumore, questa volta più vicino, lo spronò a darsi una mossa. Poteva anche non trattarsi del compagno, ma prima o poi sarebbe rientrato comunque.
Afrodite decise che gli avrebbe parlato: aveva intenzione di cercare la sua Armatura, di ritrovare la sua indipendenza. Perché ciò accadesse, l'altro doveva mostrarsi disponibile.
La porta d'un tratto si spalancò e ne entrarono Cancer e un'altra donna, quest'ultima morbosamente avvinghiata a lui. Aveva le unghie smaltate conficcate nelle sue scapole e lo succhiava avidamente sul collo, senza dar cenno di voler smettere neanche ora che erano arrivati in camera.
Cancer sembrava completamente coinvolto nell'atto, tanto che non si curò minimamente di lui e assecondò i suoi movimenti, spingendola contro il muro.
Il mazzo di carte appena ricomposto scivolò dalle mani ad Afrodite, che atterrito indietreggiò fino a sbattere con la schiena contro la parete. Un tonfo secco rimbombò nella stanza, come per dar voce al suo dolore e solo allora Cancer e la donna sembrarono rinsavire. Entrambi si voltarono verso di lui, come se fino a quel momento non fossero stati consapevoli della sua presenza.
Erano una visione orrenda: lei, truccata, con gli occhi chiari e i capelli lunghi e biondi, il corpo formoso completamente addossato a quello di Cancer e un'espressione disturbata sul volto; lui, con le mani sul vestito succinto della sconosciuta, il viso a pochi centimetri dal suo, con i capelli scompigliati e la pelle scura in netto contratto con la tonalità nivea della donna.
"Afrodite" sillabò quest'ultimo, senza nemmeno sforzarsi di far uscire la voce. Il suo nome, letto sulle sue labbra ma non recepibile anche con l'udito, lo disturbò maggiormente. Era come se Cancer lo stesse tagliando fuori da quella scena indecente.
La donna si scostò da lui, senza però togliergli le mani di dosso. Lo toccava con bramosia sul petto, accarezzando la forma dei muscoli attraverso la sua canottiera nera.
"E questo qui?" domandò, con voce lamentosa. Nelle sopracciglia scure c'era una tensione evidente, un disappunto derivato dall'interruzione subita.
Cancer le mise le mani sulle spalle: "E' solo il mio inquilino."
Si voltò verso Afrodite, mentre lui deglutiva quel /'solo'/ con uno sforzo notevole.
"Non ti preoccupare," lo rassicurò, facendogli un cenno con il capo "non parlerà di te a nessuno."
Afrodite lo guardò con quanta placidità possedesse, cercando di isolare la sua immagine da quella della donna tra le sue braccia. Più volte, quelle notti, era giunto alla conclusione che Cancer andasse a letto con le donne del locale. Ma farlo appartati in un angolo era ben diverso dal trascinarsi la diretta interessata in camera, per poi consumare di fronte al /misero/ inquilino.
Strinse i pugni: "Mi stai facendo supporre che dovrei restarmene buono e in silenzio mentre tu scopi-" si interruppe, sentendo le guance che andavano a fuoco "mentre fai sesso con questa donna?"
La bionda aggrottò le sopracciglia. "Ma insomma..." cominciò, prima che Cancer la zittisse con un dito sulle labbra.
"Afrodite." disse, questa volta a voce alta. Aveva il viso vagamente arrossato, ma sembrava sobrio. Anche in un momento del genere - come del resto ogni volta in cui gli aveva fatto uno o più torti - rimaneva bellissimo.
Lui non fece in tempo a rispondere che la donna si avventò addosso a Cancer, facendolo indietreggiare sul letto. Vi caddero sopra con un trasporto che fece sussultare Afrodite e poi la donna fu a cavalcioni su di lui e lo baciò.
Le mani di Cancer si allacciarono ai fianchi della bionda, questa si strusciò contro i suoi jeans senza pudore e Afrodite fu costretto a guardare dall'altra parte. Era... disgustoso. Non tanto perché si trattasse di Cancer, quanto più per l'atto. Si sentiva come tradito, violato. I gemiti della donna erano come spilli conficcati nel cervello, uno per ogni volta che la sua voce prorompeva tra lo schiocco di un bacio e un altro.
D'un tratto sentì la necessità di andarsene. Non voleva essere un peso per Cancer, ma non poteva nemmeno sopportare un simile affronto. Avrebbe potuto...
Afrodite si morse il labbro, sentendo il mormorio ansante dell'uomo in sottofondo.
Avrebbe potuto fare sesso con quella donna da un'altra parte, senza coinvolgere direttamente anche lui. Era umiliante, dover rimanere in piedi di fronte al letto a osservare l'atto o anche voltarsi dall'altra parte come un bambino inesperto e imbarazzato.
E poi Cancer era lì, a godere con una donna curata, bella e dal profumo inebriante. Lui al confronto era un cumulo di stracci, un insulto alla bellezza che tanto decantava e ammirava.
Lo sguardo gli cadde sulle carte sparse sul pavimento, sull'Asso di Cuori scoperto come una provocazione, un fendente dritto dritto nel costato.
Non poteva restare lì.
Andò a grandi passi verso la porta e abbassò la maniglia con veemenza, quasi a farlo apposta.
"Ehy... dove vai?" chiese subito Cancer, affaticato dal peso di lei e dalla sua invadenza.
Afrodite inspirò profondamente. Non doveva rispondergli.
Aprì la porta e uscì nel corridoio, che nel buio gli sembrò ancora più sinistro dell'ultima volta che lo aveva attraversato.
"Afrodite!"
Era allarmato, ma non lo avrebbe seguito.
Qualsiasi altro impegno sarebbe stato più importante e Afrodite lo sapeva.




Asgard di notte era deserta. Tra gli svincoli cittadini e le vie più strette si sentiva sibilare il fischio del vento, gelido quando alta in cielo svettava la luna. Stalattiti di cristallo rapivano l'acqua in punte acuminate come in un fermo immagine, l'odore di spazzatura diventava acre e pungente, il frastuono delle locande una macabra sinfonia di sottofondo.
Afrodite sfregò le mani sulle braccia, cingendosi come per farsi da supporto. Sospirò e subito di fronte a sé si formarono nuvolette di condensa. Sentiva chiaramente le membra tremare e ogni poro della pelle teso, acuito e ricettivo. Eppure il brivido che lo attraversava lungo la spina dorsale, il dolore sordo ad altezza sterno e il forte ronzio nelle orecchie non erano attribuibili al freddo della città di Asgard.
Il ricordo di Cancer, ancora vivo nella sua mente come un poster rimirato per troppo tempo - qualcosa di appena rimosso che avrà per sempre un ruolo rilevante nella tua vita - lo fece barcollare. Si appoggiò a un muro umido di brina, le dita delicate incastrate tra i massi sconnessi di quell'abitazione malandata e respirò. Erano deboli ansimi; per calmarsi, per sfogarsi, per zittire tutto il resto.
Erano trascorsi anni dall'ultima volta che si era sentito così. Anni ricchi di tristezza e disperazione, anni di solitudine in cui per tutto il tempo in cui era stato lontano dal Grande Tempio non aveva fatto altro che pensare a loro due: Cancer e Capricorn. I suoi migliori amici di una vita, le persone con cui aveva sperimentato ogni tipo di prima esperienza. Istintivamente, strinse il pugno e lo fece aderire delicatamente al muro, imitando il loro saluto tipico.
Sentì che gli mancava Capricorn, che avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo in quell'istante, perché facesse rinsavire il fratello maggiore.
Poi però si chiese da cosa, effettivamente, Cancer dovesse riprendersi.
La colpa era solo sua. Per essere un peso, per non essere ancora divenuto degno di esser considerato il suo migliore amico, per non essere nient'altro che un buono a nulla.
E per essere ancora perdutamente, irrimediabilmente...
"Ma tu guarda! Sir Andreas mi ha mandato a inseguire il Cavaliere d'Oro dei Pesci e alla fine... è stato il Cavaliere d'Oro dei Pesci a venire da me."
Afrodite sussultò e si staccò immediatamente dal muro cui s'era addossato. Si guardò intorno, alla ricerca dell'ubicazione da cui era pervenuta la voce misteriosa.
"Chi sei? Rivelati!" urlò, riscoprendo la propria voce rotta dal freddo e dalle emozioni.
Non ci voleva. Non era nelle condizioni di combattere, né aveva con sé l'Armatura d'Oro.
"Non ti agitare, Afrodite." lo rimbrottò l'altro. Aveva una voce suadente e melodica, di una delicatezza che Afrodite non poté che giudicare /bella/.
D'istinto indietreggiò a ridosso della casa. Nel buio non riusciva a distinguere gli anfratti tra le pietre della parete perciò proseguì a tentoni, tastando con le mani per orientarsi.
Lo sconosciuto sapeva con chi aveva a che fare. A quanto pare lo mandava un certo Sir Andreas, di cui Afrodite non aveva mai sentito parlare. Si sforzò di ricordare se Cancer avesse mai accennato a lui, ma gli venne in mente solo l'immagine dell'uomo che sovrastava la donna bionda dal vestito succinto.
"E' proprio vero quel che si dice in giro. Hai la benedizione della Dea Afrodite."
Afrodite si voltò di scatto per ritrovarsi faccia a faccia con un Cavaliere. Indossava un'Armatura blu e oro, che mandava bagliori sinistri in risposta all'evanescenza della luna.
Il casco che aveva sulla testa non nascondeva completamente i lunghi capelli argentati, fili dardeggianti di luce stellare. Gli occhi erano rosso scarlatto, come il colore del sangue.
Afrodite fece per scappare ma il giovane lo afferrò per il polso e glielo piegò, con la stessa naturalezza con cui una persona comune avrebbe potuto piegare un lembo di stoffa.
Un grido strozzato sfuggì alle labbra del Cavaliere d'Oro, la cui visione divenne d'un tratto frammentaria e tempestata da puntini neri.
C'era qualcosa di estremamente sbagliato. Qualcosa che non andava.
Le gambe di Afrodite cedettero per il dolore e lui si ritrovò in ginocchio sul terreno ghiacciato. Dietro di lui, l'uomo misterioso gli teneva il braccio sollevato e stortato in una posizione innaturale.
"Molto bene, mi sembra di capire che tu sia bello tanto quanto maleducato." lo apostrofò, opponendo maggiore pressione. Afrodite si irrigidì, trattenendo a stento un altro lamento.
"Chi... diavolo... sei?" provò a chiedere, con la voce spezzata.
La risposta non tardò ad arrivare. L'uomo strattonò Afrodite, facendolo voltare verso di sé. Con due dita lo afferrò per il mento e gli sollevò il viso.
"Non sei molto informato, a quanto vedo. Sono Baldr, uno dei Sette God Warrior posti a protezione di Yggdrasil, l'Albero della Vita. Naturalmente è il frutto benefico di Asgard, quindi non ti stupire se voi Cavalieri d'Oro subirete tutt'altro che un trattamento rigenerante."
Come a riprova di quel che stava dicendo, Baldr lasciò la presa sul suo polso e gli aprì la camicia sul petto, facendo saltare tutti i bottoni.
Afrodite ciondolò in avanti per la ritrovata mobilità e per il colpo secco.
Perplesso, indignato e confuso. Si toccò il petto con le dita tremanti e qualcosa gli bruciò i polpastrelli con un'intensità tale da indurlo a interrompere il contatto.
Abbassò lo sguardo per riscoprire su di sé un marchio violaceo. Sembrava incrementare, muoversi su di lui come un serpente il cui movimento strisciante lo manteneva però inchiodato alla sua pelle.
Pareva un fiume di lava dall'intercedere lento ed enigmatico.
"Che cosa...?"
"Quel marchio risucchierà le tue energie fino all'osso." disse Baldr. Afrodite non lo stava guardando, ma poté giurare che stesse sorridendo. C'era una vena di estremo sadismo nei modi quasi immacolati del giovane, qualcosa di facilmente reperibile senza far eccessiva breccia nella sua maschera di compostezza.
Osservò il marchio con orrore e sgomento, i suoi estremi che gli inchiostravano la pelle diafana e perfetta corrodendola come ustioni.
Improvvisamente fu percorso da una scossa di terrore: "Per quanto?!" urlò, afferrando Baldr per i polsi. "Per quanto ancora quest'orrore deturperà la mia bellezza?".
Il God Warrior in un primo momento si indignò. Successivamente lo scacciò con uno schiaffo che fece rotolare Afrodite per terra.
"Piantiamola con i convenevoli. Sono venuto a prendere la tua vita, dubito che ti servirà a qualcosa sapere se il marchio rimarrà per sempre."
Aprì le mani, con i palmi rivolti a terra. Possedeva una strana runa per dorso ed entrambe arsero all'unisono.
Afrodite, stordito per il colpo cercò di sollevarsi da terra. La testa gli doleva, il petto scoperto bruciava di caldo e freddo in contemporanea e le gambe sembravano molli e prive di muscoli.
Il nemico s'illuminò di Cosmo e all'improvviso di fronte a lui, come poste a difesa si generarono quattro figure sfumate. Avevano l'aspetto di piccole valchirie e sembravano attingere direttamente dall'energia del Cavaliere.
Afrodite scattò in piedi e bruciò il proprio Cosmo, immediato e fulmineo. In pochi attimi una rosa rossa si generò tra le sue mani e lui la scagliò addosso a Baldr con quanta potenza possedesse.
Miracolosamente, l'attacco trapassò le valchirie. Ma quando fu sul punto di colpire l'avversario, la rosa si infranse sulla sua Armatura. I petali esplosero e spine e gambo crollarono in terra come un muro in frantumi.
Afrodite ricadde in ginocchio, frastornato. Guardò la sua rosa che inceneriva ai piedi del God Warrior, con la vista sfocata e il respiro grosso.
"Bel tentativo, Afrodite." si complimentò Baldr, con malcelato sarcasmo. "Ma credo proprio che tu non possa fare niente senza questa."
Alle sue spalle comparve una sagoma molto familiare, che Afrodite riconobbe ancor prima che si manifestasse in tutta la sua completezza: lo scrigno dell'Armatura d'Oro dei Pesci.
Per via della luce solare da cui stillava eternamente energia, sembrava risplendere di una luminosità propria. Afrodite ne rimase quasi abbagliato.
"Sei stupito, eh?" chiese Baldr, voltandosi a rimirarla con altrettanto entusiasmo.
Afrodite provò a rialzarsi.
"Dove l'hai trovata? Come puoi averla tu?" domandò, sentendo che la voce s'incrinava per la spossatezza. Assottigliò lo sguardo per non essere accecato dalla lucentezza dello scrigno d'Oro, che sembrava ancora più amplificata.
Voleva riuscire ad alzarsi, ma il marchio che gli palpitava addosso come un cuore panoramico lo costringeva a terra. La camicia strappata lasciava esposta una buona porzione di pelle, che continuava ad ardere e congelare all'unisono.
E poi c'era quel dolore, Cancer nella sua mente e nel suo petto, in ogni recondito angolo del suo corpo. Il freno più grande in quella lotta cui si stava ormai abbandonando.
Il God Warrior non rispose. Prima che Afrodite potesse capacitarsene le quattro valchirie lo inondarono di luce e travolsero il suo corpo, sollevandolo da terra e fendendogli le carni, sospingendolo indietro in un vento impetuoso senza epilogo.
La sua voce gli venne strappata dal corpo e così i vestiti, che si laceravano in più parti là dove colpi simili a stilettate d'acciaio gli penetravano la pelle. Percepì gli squarci e il sangue, il sapore di ferro e lo sfrigolare del marchio.
E lo odiò, perché sapeva che una cosa del genere avrebbe infangato per sempre la sua intoccabile bellezza.




Quando tutto cessò Afrodite ricadde a terra accecato, nel buio che s'era inghiottito tutta la luce artificiale.
Sbatté con la schiena seminuda contro il terreno acciottolato e rotolò fino a sbattere contro il muro di una casa. Il tonfo scosse la neve ghiacchiata che s'era addossata tra le pietre e che gli cadde addosso in un cumulo di spilli e tintinnii.
Il corpo era indolenzito, come isolato dalla mente che impartiva l'ordine di rialzarsi, di nuovo, nonostante tutto. Un tempo era stato Afrodite della Dodicesima Casa, il Cavaliere d'Oro dei Pesci e non poteva permettersi di perire in un luogo del genere, non per mano di uno sconosciuto che desiderava inspiegabilmente la sua morte e, soprattutto, senza ancora aver scoperto perché fosse tornato in vita.
L'attacco di Baldr aveva sollevato parecchia polvere nella strada. Afrodite approfittò della visuale ostruita del nemico per chiamare a difesa le sue Rose di Sublime Bellezza. Per quella Bianca occorreva una precisione minuziosa - e in quel caso le condizioni non erano tra le più favorevoli - mentre quella Nera di Fatale Incanto impiegava invece troppa energia. Afrodite ne aveva a malapena per bruciare di nuovo il Cosmo.
Le Rose Rosse, simbolo d'amore e splendore, sembravano essere rimaste la sua ultima spiaggia.
Stringendo i denti, si alzò in piedi. Aveva un braccio evidentemente fratturato e lesioni da taglio su tutto il corpo. I pantaloni bianchi erano sporchi e a brandelli, la camicia uno straccio cui a riprova di una primitiva eleganza era rimasto solo il fiocco. Una ciocca di capelli era stata nettamente accorciata dallo sferzo del vento. Tale visione gli fece girare la testa, ma Afrodite si sforzò di non darle alcun peso. Non erano i suoi capelli da soli a conferirgli una bellezza eterea e senza tempo. Era lui, l'incarnazione della Dea Afrodite, l'esempio d'avvenenza più alto e intoccabile dell'intero mondo. In qualunque vita e momento, il suo nome gli sarebbe valso da titolo e lui sarebbe rimasto l'essere più incantevole e armonioso di tutti.
Bruciò il Cosmo e il suo corpo fu avvolto da un debole ma attenuante bagliore, che ebbe un effetto lenitivo sulle sue ferite aperte. Il sangue si raggrumò velocemente, come a sollecitare il processo di cicatrizzazione.
La polvere di fronte a lui finalmente si dissipò. Baldr ansimava tenendosi la mano sul petto: era evidente che lanciare quell'attacco gli era costato un notevole sforzo.
Il God Warrior, però, non era l'unico ostacolo a porsi di fronte ad Afrodite. Chino a terra e frapposto tra loro due c'era un uomo che prima era stato reso invisibile dal polverone. I suoi vestiti logori erano squarciati in più punti e da essi s'alzava un filo di fumo. Baldr alzò la testa appena in tempo per notarlo.
Afrodite era rimasto senza parole.
"Can...cer..." disse con un filo di voce, sentendosi avviluppare la gola come in una morsa.
L'uomo era scalzo, con la cintura dei pantaloni slacciata. I suoi muscoli rilucevano di sudore sotto la luce lunare.
Evidentemente si era gettato di fronte ad Afrodite mentre Baldr attaccava, finendo così per esser travolto dal raggio di luce. A guardarlo bene, il suo corpo era pieno di tagli anche più profondi di quelli che aveva riportato Afrodite.
Il sangue colava copioso dalle ferite, ma lui rimaneva immobile e impassibile.
Baldr alla sua vista scoppiò a ridere. La risata echeggiò nei dintorni, rimbalzando tra gli edifici, deflagrando l'arcata celeste. Afrodite rivalutò la prima opinione che aveva avuto della sua voce: ora sembrava un suono altisonante e in qualche modo corrotto.
"Deathmask Cancer... Cavaliere d'Oro della Quarta Casa." commentò, con l'aria di chi la sapeva lunga sul suo conto. Lo studiò con lo sguardo, dalla testa ai piedi e poi sorrise con aria malevola.
"Anche se di Oro tu hai ben poco. Beh, quella di oggi rimane comunque una battuta di caccia niente male!" si gettò il mantello alle spalle con risolutezza e poi si avvicinò di qualche passo. Le rune sulle sue mani non erano più incandescenti e le valchirie poste di fronte a lui sembravano essersi volatilizzate.
"Vi prenderò entrambi." aggiunse, prima di scattare in avanti. Una rosa di Afrodite lo colpì in pieno, dritto sul petto. L'estremo del gambo roteò contro la sua armatura azzurro vivo e ornata in oro, con l'evidente intento di penetrarla.
Di nuovo, però, l'attacco fallì. I petali scoppiarono e il gambo avvizzì sino a sgretolarsi.
Baldr guardò verso di lui con un'aria vagamente infastidita e Afrodite ricambiò lo sguardo con il cuore in gola. Probabilmente il suo fisico non avrebbe retto un altro colpo come quello precedente, ma non aveva avuto scelta. Cancer era senza Armatura e non l'avrebbe indossata, né in quel momento né mai più.
Le sue Vestigia semplicemente si rifiutavano di accompagnare le gesta di un uomo che loro stesse consideravano malvagio e senza scrupoli. Certo, ora era cambiato, ma evidentemente non abbastanza per detenere di nuovo il titolo di Cavaliere d'Oro.
Cancer riuscì finalmente ad alzarsi in piedi. Gli rivolgeva le spalle e la sua schiena tesa per lo sforzo mostrò chiaramente i numerosi sfregi che si era procurato nel tentativo di salvarlo.
Stretto nelle mani, teneva qualcosa di un colore chiaro che illuminato dalla luna rimandava un baluginio celeste. Afrodite riconobbe la ciocca di capelli che gli era stata tagliata.
"Brutto pezzo di merda." furono le prime parole dell'uomo, che sollevò la testa per fronteggiare il nemico. "Ti strapperò i capelli uno ad uno e farò in modo che non te ne ricresca più neanche mezzo!"
Dopodiché si avventò su Baldr, disarmato e ferito. Il suo Cosmo divampò nonostante l'abnegazione dell'Armatura e in un attimo furono in terra a rotolare uno sopra l'altro, lanciando grida furiose. Cancer sembrava accecato dalla rabbia.
Afrodite si accorse che il proprio corpo stava tremando. Aveva il viso caldo, inondato di lacrime e il cuore che faceva male, incapace di contenere quell'amore che lo colmava fino a farlo quasi scoppiare.
Senza più esitare, corse verso di loro. Il vento continuava a soffiare gelido e il suo corpo rispondeva lento e affaticato, ma aveva ancora forza nelle gambe, forza nello spirito e forza di credere che con quel sentimento avrebbe potuto cambiare le cose. Improvvisamente bruciò di Cosmo e lo Scrigno dell'Armatura dei Pesci s'illuminò in risonanza.
In pochi attimi, fu di nuovo un tutt'uno con le sue Vestigia e si sentì rinascere. Il freddo smise di toccarlo, le ferite lenirono, il marchio zittì il suo sfrigolare e la spossatezza svanì. Afrodite sapeva che quel dono era l'adrenalina di un secondo, una spira che poi l'avrebbe solo reso più affaticato ma era anche a conoscenza di come far buon uso di quei brevi attimi.
Aveva corso contro il tempo più di una volta, nelle sue tre vite precedenti. La sua esistenza allora era dipesa da dodici fiammelle azzurre, accese su una meridiana che ciascun Cavaliere d'Oro ricordava sin troppo bene.
Quest'oggi avrebbe fatto in modo di non sprecare il suo tempo.
"Canceeeeeeer!" gridò, lanciandosi all'attacco. S'avventò sulla schiena di Baldr, che aveva già atterrato il Cavaliere del Cancro. Quest'ultimo giaceva in terra sotto di lui, il viso sporco di sangue e il Marchio violaceo che incrementava sul suo corpo con una velocità esponenziale.
Afrodite colpì il God Warrior incessantemente, evocando Rose Rosse e scagliandole a raffica contro il nemico. Nonostante lo smarrimento, però, Baldr continuava a sembrare intoccato. Nessuno sfregio, nessun livido, nessun segno di spossatezza.
Si voltò verso di lui, lasciando finalmente perdere Cancer. Afrodite, da sopra la sua spalla lanciò subito un'occhiata d'ammonimento all'uomo.
Questo era già sul punto di issarsi e prendere parte alla battaglia, ma s'immobilizzò sul posto.
"Quando avrò finito con lui" disse Afrodite, cupo "Ti ammazzerò di botte."
Cancer lo guardò sbigottito. I loro occhi furono gli uni negli altri, come se tra loro non ci fosse alcun ostacolo e niente potesse impedire loro di farsi più vicino. Anche se un nemico stanziava nel mezzo, non vi era più nessuna barriera.
"Cretino." lo rimproverò Cancer, ridacchiando. "Se devi dirmi una cosa del genere almeno asciugati le lacrime."
Baldr d'un tratto s'illuminò di Cosmo e attaccò Afrodite. Questo, però, lo aveva previsto: gli afferrò i polsi e li piegò, sentendo una fervida soddisfazione inondargli vene e arterie.
Cancer evocò i suoi Strati di Spirito, circondando il corpo del nemico con spettri che ebbero il potere di costringere il God Warrior all'immobilità. Poi fu la volta della Rosa Nera. Afrodite tirò Baldr a sé e gliela fece scivolare con grazia dentro l'Armatura, là dove niente avrebbe potuto impedirle di penetrargli il cuore.
Fu la prima volta in cui lesse, negli occhi carminii del giovane, un sentore di allarme.
"Che diavolo state facendo? E' tutto inutile!" gridò, dimenandosi. Cancer digrignò i denti, il sudore che gli imperlava il viso, ma riuscì a resistere e a mantener salda la barriera di Spiriti.
Afrodite indirizzò la rosa all'interno del costato di Baldr.
"Non lo sapete? Odino mi ha fatto dono di un corpo immortale. Potrete ferirmi quanto volete ma- UGH!"
Il gambo della rosa andò finalmente a segno. Afrodite percepì sulle dita il tremito della carne che si squarciava. Non si stupì di godere di quella sensazione, né esitò un solo secondo.
Con meditata maestria, spinse la rosa più a fondo.
Baldr gridò, rompendo di nuovo il silenzio della notte. I suoi occhi sbarrati si riempirono di lacrime di dolore e le sue labbra assunsero quasi fulmineamente un colorito violaceo.
"La Rosa di Fatale Incanto è uno strumento di morte tremendamente crudele." spiegò Afrodite, sorridendo. "Una sola volta ne ho fatto uso e devo dire che l'avversario era del tutto fuori dalla norma. Tutt'ora rimane l'unica persona che io consideri in grado di sopravvivere ad un simile attacco. Quindi, perirai."
Lo squarcio si fece più profondo, accompagnato dall'umido rumore del sangue che schizzava sulle pareti dell'armatura.
Cancer sosteneva il corpo di Baldr a fatica, tremando. Il sangue rappreso che aveva sul viso riluceva sotto la luna e le stelle. Sporco, affaticato e con i tratti rovinati dai colpi ricevuti, rimaneva ugualmente bellissimo.
Di una bellezza che Afrodite decantava e ricercava.
"Non... credo proprio." ribatté Baldr, con la bocca impastata di sangue. Il suo corpo prese a baluginare di un'evanescenza sinistra e sospetta, che fece sussultare entrambi i Cavalieri d'Oro.
Cancer improvvisamente fece per tastarlo, come se non fosse più certo di averlo tra le mani.
Ed era così. Afrodite sentì la consistenza del suo corpo scivolargli dalle dita e sussultò quando si accorse che poteva vedere la sagoma dell'amico attraverso il God Warrior.
Se la stava filando.
"Razza di un-" Cancer fu interrotto dal giovane, la cui voce piombò tra loro come un fulmine.
"Non finisce qui. Noi due ci rivedremo, Afrodite!"
E poi più nulla. Scomparvero lui e la luce, così come l'adrenalina di Afrodite e le ultime forze di Cancer. I due, sbilanciati dalla mancanza del corpo di Baldr nel mezzo, caddero immediatamente. Cancer, con la schiena sul terreno acciottolato, i pantaloni abbassati e il marchio che pulsava su ogni centimetro di pelle nuda. E Afrodite, a cavalcioni su di lui, i capelli lunghi adagiati sul suo petto e l'Armatura d'Oro che ritornava nello Scrigno ormai priva di alimentazione.
Il ritmo sconnesso dei loro respiri regnava incontrastato sul silenzio della notte.




Afrodite era esausto. Mentre l'Armatura d'Oro lo abbandonava, se ne andarono anche gli ultimi frammenti di forza che gli erano rimasti. Il suo corpo venne travolto da un tremito quando rimase esposto al freddo della notte, con gli abiti logori e ormai ridotti in brandelli.
Il fiocco gli pendeva sul petto, bruciacchiato in più punti. I capelli lunghi e spettinati circondavano Cancer, con le punte che andavano a inzupparsi nella piccola pozzanghera d'acqua raccoltasi sotto di loro, dovuta allo scioglimento della neve.
Il braccio fratturato era diventato ormai insensibile a qualsiasi stimolo esterno, pendeva verso il basso con una mollezza disgustosa e costringeva Afrodite a sorreggersi solo con l'altro.
Cancer sospirò e l'aria si condensò davanti alle sue labbra, screpolate e violacee per il freddo.
Lui d'altra parte indossava una semplice canottiera nera sdrucita e dei pantaloni cenciosi cui non era rimasto nemmeno il supporto della cintura, ormai lacerata e priva di fibbia.
Afrodite accarezzò con lo sguardo il suo corpo vigoroso, gli spigoli delle anche, i disegni che la muscolatura tendeva sull'addome come per raffigurare un bassorilievo di rara bellezza.
Nemmeno il marchio violaceo poteva stonare, con i suoi vortici concentrici, su un capolavoro del genere.
Alla mente del giovane si riaffacciò però l'immagine dell'uomo che si lasciava travolgere da una perfetta sconosciuta nella loro camera da letto, facendolo bruscamente tornare in sé.
"Mi devi delle scuse." disse. La voce uscì decisa, seppur flebile. Le sue condizioni la rendevano più affaticata.
Cancer sbatté le palpebre, poi con un grugnito si sollevò sui gomiti. Afrodite scivolò leggermente all'indietro, con le gambe aperte a circondare le sue. Erano perfettamente incastrati l'uno con l'altro.
"Delle scuse per cosa?" domandò Cancer, con un tono di fasulla innocenza. Poi ammiccò: "Scuse per essermi portato a letto quella donna invece che te?"
Il cuore di Afrodite saltò un battito e lui si sentì avvampare. Il proprio petto si mosse nello spasmo di chi aveva il respiro irregolare. Gli occhi blu di Cancer, puntati nei suoi, sembravano volerlo sfidare a scostare lo sguardo.
Lui non lo fece.
"Non è il momento di fare battute." ribatté, debolmente.
Cancer ridacchiò: "L'avrei fatto sai, solo che con i tuoi discorsi sulla tua perduta bellezza e sulla scarsa igiene che ti faceva sembrare un mendicante invece che un Cavaliere d'Oro non mi è sembrato il caso. Sia chiaro-" sussurrò l'ultima frase come se dovesse rivelargli un segreto - e in effetti si fece più vicino - "-ai miei occhi non hai mai smesso di sembrare bellissimo."
Afrodite strinse i pugni. Provò a respirare, ma fu come se qualcosa lo stesse stringendo alla gola talmente forte da farlo sentire in apnea, frastornato, senza parole.
Deglutì a fatica, percependo un tremore dilagante addirittura sulle labbra.
"Dovresti smetterla di lusingarmi, quando è evidente che tu sia ancora eccitato per la tua strabiliante esperienza sessuale." Lo disse senza pensarci, ma solo successivamente realizzò.
Una cosa del genere non era possibile. Cancer aveva avuto parecchio tempo a disposizione per calmare l'eccitazione.
Ora, sotto di lui, contro il suo bacino...
Afrodite sbarrò gli occhi e lo guardò, sorprendendolo con il viso rivolto altrove e le guance arrossate.
"Cancer..."
"E' vero, ho sbagliato." lo interruppe lui, tornando a fronteggiarlo. Aveva un'espressione contrita e sostenuta, come se si stesse sforzando di non lasciar trapelare il suo vero umore.
"Siamo stati sfrattati. Avrei dovuto parlartene, ma non ne ho avuto il coraggio. Dovevo sfogarmi, ma non mi andava di tornare in camera ubriaco. Quella donna... è capitata nel momento meno opportuno, offrendomi un'occasione che invece sembrava irrinunciabile. Poi la cosa mi è sfuggita di mano e..."
Afrodite scosse la testa.
"Perché non me l'hai detto? Da quando... da quando dirmi le cose in faccia è diventato un freno? Un tempo non esitavi a mettermi al corrente del più crudele dei tuoi piani, perché adesso-"
"E' PERCHé ADESSO MI IMPORTA DAVVERO DI TE!"
Cancer lo afferrò per le spalle, facendolo sussultare. Un recesso di dolore lo percorse come una scossa lungo il braccio fratturato, ma l'adrenalina che gli vibrava in corpo era ben altra cosa in confronto.
Il cuore gli stava pompando in petto come se volesse esplodere. Sembrava quasi che quel palpitare furioso, che Afrodite percepiva nelle orecchie come un crescendo di suoni tumultuoso, stesse rimbombando tutt'intorno nella via.
E invece era solo per sé, solo per Cancer, solo per loro.
/Mi importa davvero di te/.
Afrodite inspirò a fondo e poi lo disse:
"Cancer, io ti..."
All'improvviso la presa dell'uomo si alleggerì e lui s'accasciò contro il petto di Afrodite.
"Cancer?" chiamò subito quest'ultimo, allarmato. Gli mise le mani sotto le braccia e lo spinse indietro, per guardarlo in faccia. Aveva gli occhi chiusi e un'espressione di sofferenza, come se fosse caduto in un sonno disturbato. Uno sfrigolio si levò dalle dita di Afrodite, che fu costretto a mollare la presa. Cancer ricadde per terra, inerme e privo di sensi. Il petto si alzava e abbassava in modo irregolare e il sudore imperlava copiosamente il suo corpo.
Il marchio, visibile anche nel buio, s'allargava sulla pelle come una macchia d'olio la cui espansione era impossibile da contrastare.
"Cancer?" chiamò di nuovo Afrodite, sporgendosi su di lui. Gli schiaffeggiò leggermente il viso, senza ottenere alcun cenno di reazione.
Dopodiché si tolse di dosso ciò che rimaneva della propria camicia e gliela avvolse intorno al busto. Lo tirò a sé come per cullarlo, le dita tremanti ma la presa salda.
Aveva bisogno di cure.
Dovevano trovare un posto in cui alloggiare e che fornisse loro cibo e acqua necessari per sopravvivere. Cancer, fino a quel giorno, era stato il suo fautore.
Afrodite decise che era giunto il suo turno.
"Siamo Cavalieri d'Oro. Non siamo fatti per queste cose, eh?" commentò con amarezza, mentre gli infilava un braccio sotto le gambe e, malgrado la frattura e il peso dell'uomo, lo sollevava.
Lasciò sospesa l'ultima parte della frase tra le mura di quelle abitazioni, di quella via.
Recuperò lo scrigno dell'Armatura d'Oro e se lo caricò su una spalla. Poi si avventurò nel buio del vicolo adiacente, con Cancer che ansimava tra le sue braccia, il cuore contro il suo petto e il loro palpitare ritmico e scandito che ancora una volta, miracolosamente, andava in sincrono.

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