— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 15: Inferno di ghiaccio) —


Scendeva la sera ad Asgard e mentre il cielo s'imbruniva, i cavalieri di rango minore facevano la guardia alle mura della città. Rabbuiandosi, l'atmosfera si faceva anche più fredda e l'aria che spirava assunse progressivamente una temperatura glaciale. Lavorare, in quelle condizioni, non era quasi mai sinonimo d'agio. Gli uomini si muovevano a disagio nelle loro armature, con gli stivali che facevano rumore a contatto con le foglie secche del terreno e le spade infoderate, che sbattevano sui fianchi.
All'improvviso uno starnuto acuto si levò dalla piccola schiera, così sistemata in modo da erigere un vero e proprio scudo di forza a difesa della città.
Tutti si voltarono nella direzione da cui era provenuto.
"Salute." disse un uomo, cordialmente.
L'altro, in tutta risposta, assentì col capo. Il diretto interessato si distingueva dalla massa incolore per un dettaglio che saltava subito all'occhio: un manto nero che lo copriva dalla testa ai piedi, incappucciandolo e occultando il suo intero corpo.
Non ci volle molto perché la gentilezza del soldato si trasformasse in palese diffidenza e tutti quanti si avvicinassero all'individuo misterioso, con crescente sospetto.
"Chi sei? Mostra il tuo volto!"
"Rivelati!"
L'uomo in nero fu presto circondato, ma la sua postura rimase fiera, eretta. Non si mise in posizione di difesa, non portò le mani in avanti per proteggersi né piegò il ginocchio, per poter così arretrare di qualche passo.
Era decisamente sospettoso. Il piccolo esercito lo ingabbiò in un recinto di uomini, tutti con le mani all'elsa della spada e i visi contratti dalla rigidità della mascella.
Il vociare minaccioso si elevò, diventando anche più colorito e infine uno dei soldati si decise a sguainare la spada e puntarla alla gola dello sconosciuto.
Sferzò l'aria con tale violenza da provocare un fischio sommesso, che dava chiaramente l'idea di quanto pericoloso avrebbe potuto essere un affondo.
Tuttavia, nuovamente, l'uomo incappucciato non si mosse. Sul viso, appena distinguibile sotto l'ombra del mantello, comparve un ghigno di scherno che mise in agitazione i soldati.
"Sono qui da almeno mezz'ora e voi mi notate solo adesso? Certo che la guardia qui ad Asgard vale proprio poco." disse. Aveva una voce profonda ma giovanile, attribuibile a un uomo sulla ventina d'anni. Le guardie poste a difendere Asgard erano tutti veterani che, seppur detentori di un titolo tanto abietto quale quello di soldati minori, avevano già superato i trent'anni da un po'.
Proprio per questo, l'uomo che ancora gli puntava la spada alla gola, avanzò di qualche passo e spinse la punta sul suo collo.
Un rivolo di sangue prese a colare dallo squarcio provocato, ma il giovane non si scompose di una virgola. Anzi, il suo sorriso si fece più distorto e intenso.
"Mi accarezzi." mormorò, con voce suadente. Il soldato che lo teneva sotto tiro si sporse in avanti, la mano che tentennava in uno spasmo di rabbia.
"Come dici?"
Di nuovo, la punta della spada forò la pelle dell'uomo incappucciato, facendo colare altro sangue.
I soldati intorno a lui s'avvicinarono, assediandolo maggiormente. Qualcun'altro stava sguainando la spada e i rumori delle lame che percorrevano i rispettivi foderi ferivano l'aria.
"Ho detto," ripeté lo sconosciuto, alzando la voce "Che mi accarezzi!"
Con un calcio si liberò del soldato che gli puntava la spada alla gola; l'arma roteò in aria e andò infine a conficcarsi nel terreno, ondeggiando ed emettendo uno stridio metallico.
Dopo un attimo di sconcertato silenzio, la calca gli fu addosso. L'uomo col cappuccio si destreggiò tra le guardie a suon di gomitate e pugni, colpendo tutto ciò che gli capitava a tiro. Presto le grida agguerrite si trasformarono in grida di terrore e ad esse iniziò a sostituirsi il rumore di ossa che si rompevano. Sembrava il suono che emettevano le fascine di legna quando venivano gettate nel camino, o il tronco di un albero quando si spezzava.
Fiotti di sangue schizzarono nell'aria, per poi infrangersi sull'immacolato bianco della neve.
L'uomo misterioso non si fermò fino a che tutti gli avversari non furono a terra. Il cappuccio gli era scivolato dalla testa, rivelando un volto giovane ma dai lineamenti ben definiti. I lunghi capelli biondi gli scivolavano lungo la schiena, mossi. Sotto al mantello, i recessi di luce naturale del cielo, facevano dardeggiare qualcosa di estremamente lucido.
I suoi occhi erano severi, ma del colore del cielo. Sembrava che portassero ogni suo fardello, messo a nudo nelle iridi azzurre e liquide come il pianto. Però, non piangeva.
Anzi, con le sopracciglia aggrottate e le labbra contratte, sembrava il ritratto della tirannia.
Camminò fino a raggiungere uno dei soldati disarmati che, terrorizzato, si trascinava sul terreno.
"Cerco un uomo." disse. La sua voce rimbombò per tutta l'area, ora silenziosa.
Rivolse un'occhiata sprezzante alla sua vittima, poi si voltò a guardare i restanti soldati. Li passò in rassegna uno ad uno, con i capelli mossi gentilmente dal vento.
"Quest'uomo, è molto importante. E mi è stato portato via." continuò, ritornando a rivolgere le sue attenzioni al soldato di fronte a sé. Per evitare che gli sfuggisse, gli piantò un piede negli stinchi e lo immobilizzò, facedogli cacciare un urlo disperato.
Poi gli puntò il dito indice contro: un'acuminata unghia laccata in rosso e dalla lunghezza spropositata svettava fieramente al suo apice.
"Ora ti dico come..."
"Camus dell'Acquario!" lo interruppe la guardia ai suoi piedi. Tremava convulsamente e aveva gli occhi fuori dalle orbite. Una striscia di sangue rappreso gli percorreva una parte del viso, dalla tempia in giù.
L'uomo misterioso, all'improvviso, si irrigidì. La sua espressione si fece incredula e la postura meno fiera, meno attenta. Il dito rimase puntato sulla vittima, ma la mano perse la sua fermezza.
"Cosa?" domandò, con un filo di voce.
Il soldato riprese colore, forse a riprova della riacquistata speranza. Stava spifferando qualcosa di cui non doveva parlare con nessuno, probabilmente, ma per assicurarsi la salvezza.
Quindi, continuò.
"Aveva le tue stesse unghie. Rosse..."
D'un tratto l'uomo misterioso gli levò il piede di dosso e si allontanò a grandi passi.
"Lo sento!" esclamò, più a se stesso che al suo pubblico. D'altra parte aveva chiaramente dimostrato sin dall'inizio che, della carneficina compiuta, non gliene poteva importare di meno.
Non si voltò neppure indietro, né diede spiegazioni o ne chiese altre. Così come era arrivato, sparì tra le fitte fronde del bosco Asgardiano, lasciandosi dietro una serie di impronte sanguinose.
I soldati, disseminati in terra come fantocci privi di vita, rimasero immobili. Il cielo s'era fatto buio, ora e il vento fischiava gelido, come una marcia mortuaria a far da sottofondo a quel macabro preludio.



Milo aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio. Correva, svoltava un bivio e si ritrovava a dover fronteggiare la stessa pineta, lo stesso imbocco, lo stesso tronco spezzato che stanziava comodamente al centro del percorso. I residui di neve che ammantavano il terreno non aiutavano di certo ad orientarsi. Inoltre, come se non bastasse stava scendendo la notte e con essa il cielo si scuriva e il bosco diventava un ammasso di nero punteggiato da evanescente bianco, qua e là.
Esausto, si concesse una pausa per riprendere fiato. L'Armatura d'Oro gli appesantiva le spalle, ingabbiava lo sterno e stringeva cosce e polpacci, creando un connubio di inadeguatezza che lo faceva sentire a disagio. Tanto tempo era trascorso dall'ultima volta che aveva indossato le Vestigia dello Scorpione e ora non riusciva più a riprendere l'abitudine.
Si passò una mano sulla fronte, scostando la frangia umida per asciugare il sudore.
/Già, tanto tempo./ Eppure, per una condizione del fato a lui sconosciuta, un mattino s'era risvegliato e invece di ritrovarsi nudo e impercettivo tra le braccia di Kanon era nudo e congelato in un'avvallamento a qualche chilometro da Asgard. Aveva rinvenuto, pochi metri più in là, lo scrigno d'Oro che conteneva la sua armatura. Poi s'era lanciato alla disperata ricerca di Kanon, uno dei pochi legami a cui s'era concatenato durante l'eterno riposo cui erano stati condannati i Cavalieri d'Oro. Durante quella settimana aveva setacciato ogni taverna e seguito tutte le piste possibili, finendo per l'avvicinarsi sempre di più ad Asgard, spinto dalle voci sul nuovo governo istituito da questo misterioso Sir Andreas e dai suoi cavalieri protettori, i God Warrior.
Domande su domande si accavallavano nella sua mente e gli corrodevano il fegato: perché era rinato? Un simile destino era toccato anche agli altri Cavalieri, o forse lui era l'unico? In questo caso, come mai? E, in caso contrario: dov'erano gli altri Cavalieri d'Oro? E i Cavalieri di Bronzo? Loro erano riusciti a sconfiggere Hades?
L'unica cosa di cui aveva ricevuto conferma, fino a quel giorno, era che i God Warrior fossero potenziali nemici. Votati a Odino - o meglio, a un Sacerdote che proclamava di professarlo - seminavano timore nella popolazione di Asgard propinando un mucchio di frottole sulla rinnovata prosperità di una terra che per anni era stata morta.
A Milo non importava. Sapeva che per introdursi in Asgard avrebbe dovuto surclassare l'esercito di guardia e dunque così aveva fatto.
Ciò che l'aveva colto di sorpresa, era stato il nome pronunciato da uno dei soldati: Camus. Il Cavaliere d'Oro dell'Acquario e anche suo grande e inestimabile amico, prima che le circostanze li mettessero uno contro l'altro.
E poi, il suo Cosmo. Lo aveva sentito, ridondante di fermezza e glacialità, un Cosmo caldo che al contempo ti congelava il cuore nel petto, se non ci stavi attento.
Voleva trovarlo. L'euforia che lo aveva travolto una volta percepita la sua presenza era impareggiabile. D'un tratto s'era sentito vivo, come se fino a quell'istante non avesse vissuto per davvero. Eppure era così: il sangue finalmente scorreva, i cinque sensi rispondevano agli impulsi del cervello, i segni di fatica e cedimento si presentavano sul suo corpo stanco e le emozioni, una dietro l'altra, lo invadevano.
Una debole scarica di Cosmo lo mise in allerta. Percepiva sempre un lieve solletichio quando c'era un altro Cavaliere d'Oro nei dintorni. Se bruciava il proprio Cosmo poteva arrivare anche a identificarne la natura, per poi smascherare il suo possessore.
In quel momento, Aquarius doveva essere vicino.
Milo si rimise in marcia. Camminò con passi lesti ma attenti, con quel fare che rivelava anni di addestramento e pratica. Questa volta provò ad affidarsi totalmente al segnale appena recepibile del Cosmo di Aquarius, senza badare a dove metteva i piedi.
Lo sfondo rimaneva sempre uguale: conifere sempreverdi che costeggiavano il sentiero innevato ovunque svoltasse e qualche cespuglio rinsecchito, di tanto in tanto, che fungeva da diversivo. Dopo una decina di minuti, arrivò nei pressi di un laghetto ghiacciato. Sulla sponda svettavano rivolte all'ingiù file di erbacce marce. La luce ormai non più crepuscolare non illuminava la zona abbastanza perché Milo potesse ispezionarla; tuttavia non percepiva alcun Cosmo nemico nei paraggi e così decise di avanzare. Giunto sull'argine si inginocchiò e colpì con quanta forza possedesse la superficie ghiacciata. Questa inizialmente si crepò soltanto, per poi frantumarsi con un sonoro scroscio un attimo dopo.
Milo sorrise. Aveva usato questo metodo tutte le volte in cui aveva avuto bisogno di abbeverarsi e fortunatamente l'acqua non era mai venuta a mancare.
Mise le mani a coppa, raccolse il liquido gelido e se lo portò alle labbra. Mentre beveva, si rese conto che non metteva qualcosa sotto i denti da quando aveva lasciato l'ultima taverna, almeno tre giorni prima. E non faceva un bagno da ancora più tempo.
"Avevo immaginato che si trattasse di te... Milo."
La voce estremamente familiare che all'improvviso rimbombò nella zona fece immediatamente voltare Milo, che per lo slancio quasi cadde nel laghetto.
Una sagoma in ombra, semi-nascosta tra le fronde del bosco, si fece avanti con una camminata sinuosa e regale, attribuibile solo ad una persona.
"Camus!" esclamò Milo, issandosi immediatamente con le mani ancora bagnate. Il mantello che aveva addosso si mosse in risposta ad una folata di vento che scompigliò anche i capelli dell'amico, ora perfettamente visibile sotto la scarsa illuminazione della volta celeste.
Era davvero lui: il viso pallido ed elegante, l'espressione indifferente, l'Armatura d'Oro che rispondeva ai bagliori delle stelle. Il suo Cosmo, di cui prima aveva perso le tracce, pulsava ora di familiare vitalità.
Milo gli andò incontro senza esitazione, salvo poi rallentare quando gli fu di fronte. C'erano molte cose che avrebbe voluto dire e altrettante che avrebbe voluto fare, ma improvvisamente la voce gli morì in gola e una forma di primitivo imbarazzo lo fece desistere dal mettere in atto uno qualsiasi dei suoi propositi.
Aquarius lo guardò interrogativo, senza scomporsi. "Sapevo di non essere l'unico." disse.
Nella voce fredda e pacata, Milo lesse un residuo di incertezza; la stessa che gli aveva visto negli occhi quando era ritornato in vita nelle schiere di Hades, e quindi come traditore.
Si convinse che fosse suggestione. Non era stato facile tornare a fidarsi di quelli che avevano considerato dei reietti ma ora Aquarius era lì, in carne ed ossa e indossava l'Armatura d'Oro.
In circostanze diverse, se quella fredda e invisibile barriera che era venuta a crearsi tra loro durante la Guerra Sacra non fosse esistita, Milo gli si sarebbe gettato tra le braccia senza esitazioni. Eppure ora...
Sembrava tutto effimero e impercettibile.
Aveva appena ritrovato l'amico di una vita e non riusciva a dar libero sfogo alle sue emozioni.
"Anche io." rispose Milo. E in cuor suo, lo aveva saputo sin dall'inizio. Non era uno dei Cavalieri d'Oro più forti e quindi la sua singola, misera esistenza non avrebbe potuto essere di alcuna utilità a nessuno. Doveva esserci qualcun'altro.
"Quando oggi ho raggiunto le schiere di Asgard, uno dei soldati ha fatto il tuo nome. Poi ho percepito io stesso il tuo Cosmo e..."
"Ha fatto il mio nome? E tu sei stato ad Asgard?" lo interruppe Aquarius, avanzando di un passo. Milo, con prontezza, indietreggiò. Lo sguardo del Cavaliere, ora, s'era fatto più scuro. Un ombra deformava la sua armoniosa bellezza.
"Ha fatto il tuo nome, sì. Ha riconosciuto nella mia unghia lo stesso colore delle tue." spiegò, pacatamente. "E comunque sì, sono stato ad Asgard ma non hai di che preoccuparti: ho già sistemato le guardie."
L'espressione di Aquarius, seppur per un evidente sforzo dell'uomo, tornò distesa e neutra.
"Ti sei dato da fare, eh?" chiese, accennando un sorriso che non gli illuminava davvero il volto.
Un'altra folata di vento gli mosse i capelli e questa volta Milo lo notò.
"I tuoi capelli!"
Con un movimento istintivo ne afferrò una ciocca tra le dita e li osservò.
Corti. Erano estremamente corti. Quando alzò lo sguardo su Aquarius, vide che aveva le guance vagamente arrossate e l'espressione persa. Sembrava combattuto tra scacciarlo e rifuggirgli, ma non fece nessuna delle due cose e semplicemente annuì, grave.
Fu Milo stesso a lasciarlo andare, rendendosi conto di essersi fatto troppo vicino. Si staccò da lui con un balzo, come se la barriera invisibile di cui entrambi erano a conoscenza lo avesse davvero fatto rimbalzare più lontano.
Aquarius adesso lo guardava con stupore, un sopracciglio inarcato e le labbra socchiuse. La frangia gli solleticava ancora gli occhi, ma la lunghezza dei capelli non superava il collo.
Quell'uomo grazioso e severo allo stesso tempo, pur avendo gli stessi modi, la stessa voce e la stessa parvenza di Aquarius, non era più lui. A Milo si strinse lo stomaco.
"Che hai fatto ai capelli?" insisté, non ricevendo risposta.
Aquarius alzò le spalle con naturalezza, come per scacciare un'eventualità o sottolineare l'ovvio.
"Li ho tagliati." rispose infatti. Ma non aggiunse altro e Milo si guardò bene dall'indagare oltre. I capelli, per Aquarius, erano sempre stati un bene inestimabile e prezioso. Li curava, li faceva crescere e si rifiutava categoricamente di accorciarli anche solo di un centimetro. Sapeva di essere bello e la cura che aveva per la sua lunga chioma sottintendeva quanto per lui, il motivo di tanta avvenenza, risiedesse proprio nei capelli.
"Non lo avresti fatto nemmeno sotto tortura." lo incalzò Milo, soppesandolo con lo sguardo.
Gli occhi gelidi di Aquarius sostennero l'ispezione senza l'accenno di un tentennamento.
"Eppure..." ribatté, con una freddezza più affermata del solito.
C'era decisamente qualcosa che non andava. Nell'utopico incontro che aveva sognato Milo fino a quel momento, loro due si stringevano tra le braccia piangendo e riempiendosi di scuse, aggrappandosi l'uno all'altro per farsi forza. Aquarius era stato il suo punto fisso nel mondo quando ancora non sapeva pronunciare la lettera "R" e lo era ancora, nella più intima parte della sua mente. Era ancora l'uomo che ammirava e che avrebbe voluto essere, l'uomo che lasciandolo libero di avvicinarsi a lui quanto voleva l'aveva reso felice e orgoglioso, soddisfatto di sé per la prima volta nella sua vita.
Con questa realizzazione nella mente, Milo strinse i pugni: "Sei cambiato." stabilì. C'era sofferenza nel tono di voce tremulo, un'infantile quanto dolorosa tristezza.
Era nata con il falso tradimento di Aquarius, s'era trascinata quando i Cavalieri d'Oro erano stati relegati in quell'inferno oscuro e senza via d'uscita e ora si riversava nel loro nuovo incontro.
Sul viso di Aquarius, imperturbabile anche nell'udire una simile accusa alla sua persona, si disegnò un sorriso. Era sinistro e meditativo.
"Tu invece sei tale e quale a prima." rispose. Alle sue spalle si profilò un'ombra e d'un tratto accanto ad Aquarius comparve un uomo in armatura, che gli sorrise enigmatico.
"Non riuscirai mai a smettere di fidarti degli altri."
Aquarius sollevò le braccia e il Cosmo lo invase dalla testa ai piedi, baluginando intorno a lui in un flusso inarrestabile. L'uomo misterioso sguainò un'enorme spada infuocata.
Ed entrambi gli furono addosso.



Milo si gettò nello spazio tra due alberi, finendo disteso per terra. Quando si sollevò su un fianco, aveva arbusti infilati in ogni fenditura delle vestigia e aghi di pino aggrovigliati tra i capelli.
Con una smorfia si rialzò e riprese a correre, bruciando il proprio Cosmo per localizzare quello di Aquarius.
Non ce ne fu bisogno: l'uomo si parò di fronte a lui, già colmo di Cosmo e pronto ad attaccare. Il concentrato d'energia gli sollevava i capelli ora corti, mentre i muscoli delle braccia si indurivano visibilmente e i lineamenti del viso s'irrigidivano in una maschera di freddezza.
Una visione del genere era incantevole e meschina al contempo. Milo si chiese, con un moto di rabbia a ribollirgli nel sangue, se mai avrebbe avuto l'onore di combattere accanto ad un simile portento.
"Camus, perché?!" lo interpellò di nuovo, come se non avesse fatto altro da quando lui e l'altro uomo suo alleato gli si erano avventati addosso. Aveva schivato gli attacchi di entrambi grazie a un concentrato di prontezza e abilità, poi aveva incominciato a correre tra gli alberi per depistare i nemici. Non conosceva l'identità dell'alleato di Aquarius, ma emanava un Cosmo terribilmente forte e oltretutto maligno.
Il campo di battaglia era uno dei peggiori: c'erano ostacoli ovunque ed era impossibile affrontarsi in un corpo a corpo tra le fronde degli alberi; questo rendeva inutilizzabile la Cuspide Scarlatta, il suo colpo più potente. Per effettuarlo aveva bisogno di trovarsi perfettamente allineato al suo avversario e, dovendone affrontare due, non sarebbe mai riuscito a trattenerne uno solo per più tempo senza che l'altro interferisse.
Aquarius rimase impassibile, con le braccia sollevate e congiunte in aria nell'atto di eseguire il Sacro Acquarius.
"Parli troppo, Milo." lo incalzò, prima di rivolgergli l'attacco. Milo si servì del Settimo Senso per erigere una barriera di Cosmo che incassò il colpo al posto suo e balzò lontano. La luce della luna si rifletteva sul laghetto ghiacciato e anche nei dintorni, seppur in maniera più frammentaria. Guidato dalla sua illuminazione, Milo arrancò verso lo specchio d'acqua.
"Non così in fretta."
Il Cavaliere misterioso gli comparve di fronte con un salto e puntò su di lui l'enorme spadone infuocato. Le fiamme divampavano, illuminando il viso dell'uomo a intermittenza.
Aveva i capelli appena più corti di quelli di Camus, del colore del fuoco. Vestiva con un'Armatura rossa e sgargiante, di una fattura che non gli era per niente familiare.
Di sicuro non era uno Specter. Ma allora cosa diavolo ci faceva Aquarius con lui?
Milo si mise in guardia e di nuovo bruciò il suo Cosmo. L'altro però non diede segno di voler attaccare.
"Non ti allarmare, Cavaliere dello Scorpione. Ti sto solo tenendo a bada..." lo rassicurò, sciogliendosi in un sorriso enigmatico che gli fece storcere il naso.
C'era qualcosa di poco rassicurante nella postura studiata di quell'uomo, nella sua fisionomia e nella situazione in generale. Aquarius gli arrivò accanto di corsa, senza dar segno di essere minimamente affaticato.
"Ora, Camus." ordinò il rosso, sollevando la spada per lasciare il campo libero al compagno. Prima di allontanarsi gli sfiorò il braccio con una mano, in una maniera in qualche modo intima e confidente.
Milo inorridì: chi era quell'uomo che si azzardava a chiamare Aquarius con il suo vero nome e lo toccava liberamente, senza che lui lo allontanasse?
La rabbia ora confluiva nel suo Cosmo, che prese a divampare con maggiore ardore.
Sfruttando la posizione vantaggiosa, allungò il braccio in avanti e puntò l'indice verso Aquarius.
"Questa volta che c'è, ti sei trovato la fidanzata?" lo provocò, trattenendosi a stento dal digrignare i denti.
"Pensavo preferissi i biondi."
Lanciò il primo colpo della Cuspide Scarlatta alla massima espansione del suo Cosmo, con il Settimo Senso che si acutiva dentro di lui e rendeva la sua percezione di ogni cosa più nitida.
Aquarius fu colpito di striscio e per la potenza dell'attacco venne spinto indietro sul terreno, lasciando dei solchi là dove aveva piantato i piedi per non perdere l'equilibrio.
Quando sollevò lo sguardo, aveva un'espressione infuriata, come se finalmente fosse stato punto nel vivo. Milo lo sapeva: poteva rimanere indifferente a tutto, ma c'era sempre stato quell'argomento intoccabile che avrebbe smosso il suo gelido cuore, in qualsiasi circostanza.
"Chiudi quella bocca, stolto." ringhiò infatti, scagliandogli contro la Polvere di Diamanti. Malgrado la cattiveria delle sue parole, vederlo così sconvolto dai sentimenti fu una piacevole rivincita. Milo si sentì fremere in ogni parte del corpo: non aveva mai affrontato la vera rabbia di Aquarius. Dentro doveva serbarne tanta, quasi al pari della repressione con cui affrontava ogni giorno della sua vita. Non era mai stato un uomo libero, schiavo delle tumultuose emozioni che, per suo stesso volere, aveva sempre cercato di occultare.
Restò immobile a subire il parziale congelamento impostogli dall'attacco nemico, sorridendo appena per quel motivo di cui solo lui era a conoscenza.
"Mai finché avrò la voce per parlare." rispose poi, bruciando il Cosmo fino a sciogliere il ghiaccio sulla sua armatura. Esso si tramutò in acqua e gli scivolò sul corpo, insinuandosi al di sotto dell'armatura e depurandolo.
Infine si gettò su Aquarius e gli afferrò le mani. Quest'ultimo sussultò di sorpresa, ma rispose alla sua presa facendo leva su di lui. Tremavano entrambi, scossi dagli spasmi muscolari e sudavano, con il Cosmo che incrementava intorno a loro, caldo e solidale, compagno e amico. Erano così simili, nella pelle ruvida e nelle cicatrici, nei visi levigati e resi adulti, nel bagliore dei loro Cosmi e nel nome delle loro Costellazioni, Acquario e Scorpione, forse lontane nella volta celeste ma vicine per chiunque conoscesse Camus e Milo, due singoli individui che in fondo erano simili per il semplice fatto di essere carne ed ossa, Cavalieri d'Oro ma prima di tutto esseri umani.
E fu per questo che Milo pianse. Le lacrime gli bagnarono il viso mentre mormorava a Camus di odiarlo, di odiare tutto quanto, di desiderare solo una cosa.
"Odio combatterti." mormorò, con la presa che perdeva d'intensità. Ma le dita di Aquarius, seppur combattendolo, lo stavano anche sostenendo. Fino a che nessuno dei due avesse scagliato il primo attacco, erano destinati a guardarsi negli occhi senza alcuna soluzione.
"Vorrei solo potermi riposare, una volta per tutte."
Aquarius scosse la testa. Il suo Cosmo baluginava ancora, le sue mani tenevano strette quelle di Milo e col viso si fece più vicino.
"Non l'hai mai voluto, quando eri un marmocchio. Hai visto invece quanto può essere benefico?"
All'improvviso un colpo di spada trapassò Milo dal dietro, spuntandogli da sotto il costato. La presa sulle sue mani si fece granitica e gli occhi di Aquarius si spalancarono dallo sgomento.
Il dolore che lo attanagliò fu allucinante: perse velocemente la cognizione di sé e tossì sangue.
"Surt! Ti avevo detto di lasciarlo a me!" gridò Aquarius, senza smettere di tenergli le mani. Milo si accasciò in avanti mentre l'uomo gli sfilava la spada di dosso e la ripuliva, facendola strisciare sul terreno.
Le sue ginocchia toccarono terra e tutto intorno a lui cominciò a girare.
"Ci stavate mettendo troppo tempo."
"Ma era la mia preda! Toccava a me-"
"Ucciderlo? Infatti, forza, uccidilo. Dagli il colpo di grazia."
Milo sentì i passì di Surt dietro di sé e desiderò di avere le forze necessarie per sollevare lo sguardo e incontrare un'ultima volta l'espressione di Aquarius. Lo avrebbe fatto per davvero?
Il loro legame valeva davvero così poco?
Il suo pensiero principale, prima di perdere i sensi, fu per Kanon: se anche lui era resuscitato, non sarebbe riuscito a cavarsela senza la sua presenza; non poteva lasciarlo solo.
Si sentì corroso dal rammarico: non era questo il riposo che desiderava. Voleva soltanto avere la possibilità di fermare tutto per un momento e vivere in quella sospensione del tempo, in quell'anfratto di serena tranquillità, con tutte le persone che amava.
Per questo, quando vide tutto buio, non se la sentì di maledire Aquarius.
Ancora una volta, mentre sfiorava la morte per causa sua, tutto ciò che riuscì a provare fu una sconfinata tristezza.

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