— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 14: Blackout) —


Buio. Niente. Il suono di un respiro lontano, la debole percezione di una fonte di calore sconosciuta. La pelle che si tende appena, ricettiva, i muscoli che si contraggono e rilassano in alternanza. Odore di legna bruciata, sapore amaro sulla lingua. E infine stralci di luce e lingue di fuoco tra le palpebre, a liberarlo da quell'ottenebrante oscurità.
Andromeda si svegliò di soprassalto. La veglia, postumo del sonno travagliato, era durata poco. Il suo corpo s'era mosso da solo: ora sedeva ansimante su un letto, le lenzuola stropicciate sulle gambe, il sudore che gli colava lungo la schiena. Di fronte a lui, il fuoco ardeva in un caminetto in mattoni: ecco ciò che aveva distinto mentre apriva gli occhi.
Le dita della mano destra gli dolevano: quando guardò, per vedere quale fosse il problema, rimase senza parole. Seduto su una sedia accanto al letto c'era Ioria, Cavaliere d'Oro del Leone. Andromeda gli aveva conficcato le unghie nel polso senza nemmeno rendersene conto e il sangue colava in rivoli tra le sue dita, senza che lui ne avesse percepito la consistenza. L'uomo era rigido, forse sorpreso e lo guardava senza parlare. Andromeda mollò immediatamente la presa.
"Sto... sognando."
"E' la stessa cosa che ho pensato io quando ti ho visto steso in terra, circondato di sangue."
Ioria accennò un sorriso. Si era già portato una mano al polso e lo stringeva forte, probabilmente per bloccare l'emorragia. La luce delle fiamme dardeggiava nei suoi occhi blu, rubando loro il colore. Indossava un maglione sgualcito e dei pantaloni della tuta. I capelli erano scompigliati, più lunghi di come li ricordava e forse anche più scuri. Era difficile da determinare, a causa della scarsa illuminazione che vigeva nella stanza. Oltre al crepitio del fuoco nel camino, Andromeda riusciva chiaramente a distinguere il palpitare del proprio cuore. Martellante e incessante, senza fine.
Aprì la bocca per parlare e la riscoprì arsa.
"Tu... dovresti essere morto."
Ioria ridacchiò. "Hai detto bene, /dovrei/. Le cose non stanno proprio così."
Andromeda si coprì. Sudava, ma malgrado il caldo aveva brividi di freddo in tutto il corpo.
Si accorse solo in quell'istante di avere la testa bendata: la sentiva pesante. Delle stilettate latitanti lo assalivano di tanto in tanto, rimbombando a vuoto nella scatola cranica.
"Come stai?" lo precedette Ioria, prima che Andromeda potesse chiedere spiegazioni. Aveva ricordi vaghi di ciò che era accaduto prima che perdesse i sensi: Pegasus? O forse no, non era possibile, Pegasus era...
"Dov'è Pegasus?" domandò allarmato. Ioria in un primo momento sussultò, colto alla sprovvista. Un attimo dopo aveva già riacquisito l'autocontrollo. Sorrise, come per rassicurarlo.
"Per ora l'ho sistemato giù in salotto. Anche gli altri stanno bene, ma... ho avuto l'impressione che per lui fosse... diverso. C'era una sedia a rotelle, nel posto in cui avete combattuto. Sbaglio a dedurre che appartenesse a lui?"
Andromeda si sentì immediatamente sollevato: stavano bene. Ora ricordava tutto. Il misterioso Cavaliere che li aveva assaliti, lui che si staccava dal gruppo per andare ad aiutare Crystal e infine l'impatto con la neve ghiacciata e dura, contro cui aveva sbattuto la testa prima di svenire.
Come a reclamare il ricordo, una fitta di dolore l'attraversò da una tempia all'altra. Si portò immediatamente una mano sulla fronte.
"A-ah-"
"Andromeda!"
Ioria lo afferrò per le spalle. Aveva una presa salda e calorosa. Il suo profumo era un misto di pino, legna affumicata e sudore. Andromeda sollevò la testa, le sopracciglia contratte e gli occhi socchiusi.
"Va tutto bene." mormorò, con la voce vagamente roca. Per confermarglielo ulteriormente sforzò un sorriso.
Ioria non sembrava convinto. Lo guardava con un'espressione allarmata.
"Non dovresti fare sforzi." intimò, spingendolo giù. Il giovane si ritrovò immediatamente con la testa sul cuscino. Il Cavaliere d'Oro gli rimboccò le coperte, accarezzandogli distrattamente il viso prima di tornare a sedersi.
Era un tocco vivo. Possibile che non si stesse immaginando tutto?
"Com'è successo?" chiese Andromeda, girandosi verso di lui. Sentì il corpo indolenzito, probabilmente a causa dei colpi incassati durante la lotta. Stare sotto le coperte, con il fuoco del camino che lo riscaldava e Ioria che si prendeva cura di lui era estremamente piacevole e rilassante. Un vago torpore si diffuse immediatamente nelle membra.
"Parli della nostra resurrezione? Io e Mur stiamo ancora indagando sulle cause. Per adesso sappiamo solo che ci sono dei God Warrior, uomini al servizio del nuovo sacerdote di Odino, che ci vogliono morti."
Andromeda sbarrò gli occhi, incredulo: "Mur? C'è anche lui? Ci sono... tutti?"
Se così fosse stato avrebbe potuto rivedere Virgo, Afrodite, Saga. Pensò a Crystal, alla felicità che avrebbe provato una volta appresa la notizia che il suo Maestro era di nuovo in vita.
"No, non tutti." lo stroncò Ioria, frantumando le sue speranze.
"Oltre a me e Mur so della presenza di Cancer e di Virgo, anche se quest'ultimo non l'ho ancora incontrato di persona. Forse in giro ci sono anche gli altri, forse no. Per ora non ci siamo addentrati nell'investigazione perché..." s'interruppe, alzando le spalle.
"Non ha importanza. Voi, invece, che cosa ci fate qui? Cos'è successo a Pegasus?"
Aveva un'aria seria, quasi sofferente. Andromeda ricordò che Ioria era stato il maestro di Pegasus insieme a Castalia, durante il suo addestramento in Grecia. La morte della donna doveva aver addolorato molto il Cavaliere d'Oro: perdere Pegasus avrebbe rappresentato un'altra aggravante alle sue sofferenze.
"Pegasus è... in coma." iniziò.
E poi prese a raccontare. Gli parlò del combattimento ai Campi Elisi, del sacrificio del Cavaliere di Pegasus contro il Dio della morte. Raccontò della loro statua, delle visite che ogni tanto facevano al monumento. I Cavalieri d'Oro erano stati nemici e mentori, fonti di potere e sapere che li avevano aiutati a evolvere in ogni campo. Senza di loro e senza Pegasus era cambiato tutto. Gli parlò di Kiki, della sua scoperta e della sua proposta di indagare al Grande Tempio per scoprire di più. Arrivato al momento di raccontare della Nona Casa, inspirò profondamente.
"E' stato Micene a suggerirci di venire qui. Ha comunicato con noi tramite il Cosmo. Le parole erano frammentarie, come se non riuscisse a raggiungerci. Una cosa, però, l'abbiamo capita. Dovevamo venire ad Asgard, per far luce sulla questione."
Ioria si alzò in piedi di scatto e si sporse sul letto: "Micene?" chiese, a voce alta. Andromeda si strinse istintivamente nelle coperte.
"Sì, era indubbiamente lui."
"Mio... fratello... è vivo?" L'uomo aveva il fiato corto. Aveva allungato una mano sul ciondolo che portava al collo e lo stava stringendo con il pugno chiuso. Le dita tremavano e le sue pupille s'erano ristrette all'interno dell'iride. Perso nell'azzurro dei suoi occhi, Andromeda provò una certa empatia nei confronti di Ioria. Così legato al fratello, ma sempre così lontano dal raggiungerlo.
Ioria era concatenato, attanagliato a Micene con la stessa intensità con cui lui era indissolubilmente attaccato a Ikki. E perciò lo capiva.
Allungò una mano verso di lui e la posò sul pugno chiuso. Con le dita accarezzò la sua pelle calda, come a intimargli di alleggerire la presa.
"Ora che ho visto te... sono certo che lo sia." sussurrò, piano.
Ioria miracolosamente seguì i suoi gesti. Un attimo dopo il ciondolo pendeva dalla catenella che aveva al collo e le sue dita erano intrecciate in quelle di Andromeda.
In quella stretta, si trasmisero tutti i loro rancori. Come una scarica, una valvola di sfogo.
"Vi proteggeremo. Un tempo ci siamo sacrificati per voi, ora combatteremo per difendervi." mormorò il Cavaliere d'Oro, guardandolo.
Andromeda si sentì invaso da un affetto senza pari. Sorrise, ma nel farlo scosse la testa. Qualcosa, nel tempo, l'aveva cambiato. Ora non accettava più di esser protetto da qualcuno.
"No. Combatteremo noi per le nostre stesse vite. E lo faremo accanto a voi."



Lentamente, Crystal sollevò la maglia. Il petto era pieno di abrasioni e ematomi. Sotto il costato c'era un taglio che gli percorreva lo stomaco, umido d'unguento. Qualcuno aveva trattato le sue ferite, l'aveva salvato dallo scontro e sistemato in quel luogo.
Lo specchio di fronte a lui gli rimandava la sua immagine riflessa, e parte della stanza. Sulle pareti in legno erano appesi dei quadri raffiguranti paesaggi Asgardiani. La debole luce di una lampada ad olio si propagava in un alone dal comodino, lasciando però la camera immersa in un gioco di chiaroscuri. Uno dei due letti accostati alle sue spalle era vuoto, con le lenzuola stropicciate alla rinfusa.
Su quello accanto Sirio si stava sedendo, i capelli lunghi sul viso e una mano sulla fronte.
"Ugh-"
"Sirio!" Crystal abbassò di colpo la maglia e andò verso di lui. Quando fu abbastanza vicino, si sedette sul bordo del letto e gli prese una mano.
"E' tutto a posto? Come ti senti, amico?" Domandò, facendo per scostargli la frangia dagli occhi.
Sirio lo lasciò fare. Aveva la pelle fredda come il ghiaccio. Anche il suo Cosmo rispondeva debolmente, come se ne fosse rimasta solo una lieve spira. Crystal aggrottò le sopracciglia:
"Il tuo Cosmo... lo percepisco a malapena."
Sirio sorrise. Era un sorriso tirato, stanco. Sarebbe stato meglio se, per una volta, avesse pensato prima alla propria salute piuttosto che a rassicurare Crystal con un'espressione che tradiva chiaramente le sue sofferenze.
"Quel Cavaliere... ha risucchiato la mia linfa vitale e quella di Ikki e Kiki tramite le radici evocate dal terreno." spiegò, con voce roca. Dovette interrompersi per tossire e Crystal immediatamente si allungò a prendere il bicchiere d'acqua poggiato sul comodino.
"Qui." intimò, portandoglielo alle labbra. Sirio lo afferrò con presa incerta e le loro mani si sfiorarono.
"Dunque è tutta colpa di quel Cavaliere, eh? Ma che cosa voleva da noi?" mormorò Crystal tra sé e sé, digrignando i denti. Il ricordo di quel vecchio folle che lo colpiva senza il minimo riguardo gli fece ribollire il sangue nelle vene. Per non parlare di come aveva attaccato Andromeda e Pegasus. La sua mente improvvisamente fu percorsa da un sentore d'allerta.
"Sirio, quell'uomo ha fatto del male anche ai nostri compagni!" in un impeto di foga si alzò dal letto, facendo traballare Sirio.
"Tu aspetta qui. Vado a cercarli." E ciò detto si incamminò per uscire dalla stanza, senza concedere al compagno il tempo di ribattere.
Una sagoma gli si parò davanti prima che potesse muovere un altro passo verso la porta. Crystal in un primo momento non la riconobbe, ma quando il suo corpo sembrò scindersi in tanti pezzi quanti erano gli atomi che lo componevano avvertì una scarica di Cosmo che non gli era del tutto estranea.
In un istante si ritrovò nel suo letto, con le coperte rimboccate. Accanto a lui, Sirio fissava la scena con un'espressione sbalordita. Il suo sguardo passava da Crystal al fautore dell'attacco con una rapidità disarmante.
"Non così in fretta, Crystal. Le tue ferite sembrano superficiali, ma hanno radici ben più profonde."
L'uomo che aveva parlato mosse qualche passo all'interno della camera, affinché la pallida luce della lampada potesse illuminarlo.
Crystal potè chiaramente distinguere Sirio che tratteneva il fiato; si riscoprì a fare la stessa cosa.
Davanti ai loro occhi, con un'espressione severa stampata in viso c'era il Grande Mur, Cavaliere d'Oro dell'Ariete.
I riflessi del fuoco danzavano liquidi nei suoi occhi, dando loro un colore più scuro. Era difficile distinguere la pupilla dall'iride e ciò gli conferiva un'aria ancora più austera.
Ma com'era possibile? I Cavalieri d'Oro erano morti al Muro del Pianto, diversi mesi prima.
"Che cosa... tu..." biascicò Sirio, con il bicchiere ora vuoto stretto nella mano tremante.
Crystal abbassò lo sguardo su di sé, sul letto in cui era stato teletrasportato. Era vero. Il Cosmo che sentiva pullulava di vitalità, un'essenza che mai e poi mai avrebbe potuto essere attribuita ad un essere morto; ricordava bene la percezione che aveva avuto del Cosmo di Aquarius, quando era ritornato in vita nelle schiere di Hades.
Il pensiero del suo Maestro lo irradiò come una scarica elettrica:
"Mur... sei vivo! Siete tutti vivi!" gridò, scostando le lenzuola, scendendo dal letto e camminando scalzo verso di lui. Mur rimase immobile, senza cambiare espressione. Serio e composto, come di consueto.
"Com'è possibile?" gli fece eco Sirio. Con la coda dell'occhio Crystal notò che si sporgeva in avanti sul letto, ma all'improvviso un tremito percorse il suo intero corpo e il bicchiere gli scivolò di mano.
Quest'ultimo provocò un tonfo sordo quando finì sul pavimento, accompagnato dall'infrangersi del vetro. Un tripudio di schegge schizzò nei dintorni, senza però colpire nessuno dei presenti. Mur si irrigidì.
"Anche tu, Sirio. I danni che hai riportato non sono visibili dall'esterno, poiché il nemico ti ha corroso da dentro." disse, avvicinandosi a lui. Posò gentilmente le mani sulle sue spalle e Crystal vide Sirio sobbalzare. Probabilmente se ne stava capacitando ora: quella era carne vera. Le dita di Mur avevano una consistenza, e adesso Sirio ne stava provando la compattezza.
"Ehy, Mur..."
Crystal avanzò. Fece attenzione a non calpestare il vetro sul pavimento e si piazzò di fronte a lui. Il Cavaliere d'Oro si voltò appena.
"Ora mettetevi comodi. Vi racconterò tutto dall'inizio."
Crystal deglutì. Una domanda gli premeva in ogni meandro della mente e lì, sulla punta della lingua, come un fastidioso solletico. Doveva chiederlo.
"Aquarius è..."
Mur lo interruppe assestandogli un ceffone in pieno viso. Improvvisamente Crystal si ritrovò a guardare la parete spoglia alla sua destra, con gli occhi colmi di lacrime e la guancia che doleva e si scaldava con una velocità impressionante.
Intorno a lui calò il silenzio. E dentro, solo un feroce palpitare all'interno della cassa toracica.
Come un blackout.
Fu vagamente consapevole di Sirio che inspirava a fondo prima di parlare, perché poi Mur lo stroncò come aveva fatto con lui. Un'altro schiaffo in pieno viso.
Il ragazzo, al di là della lesione, arrossì spontaneamente. E fu allora che Crystal si gettò su Mur, nell'intento di afferrarlo per la sciarpa.
"Ti spiacerebbe essere più chiaro? Dov'è il Maestro? Come ci hai trovato? Perché sei ancora vivo? Come... come..." il fiume di parole gli si ruppe nella gola come uno schianto e una rinnovata consapevolezza gli annebbiò la vista.
"Andromeda e Pegasus! Loro..."
D'un tratto tutto si fece buio. Poteva ancora sentire, perché udì chiaramente un mugugno di Sirio; anche il senso dell'olfatto non l'aveva abbandonato. Inspirando a fondo sentì un forte profumo di bucato, misto ad un'essenza matura e all'acre odore del Cosmo.
Infine lo realizzò: era tra le braccia di Mur. Percepì la rigidità dei suoi muscoli che lo stringevano e la mano ancorata alla sua testa, che lo premeva contro il proprio petto.
"Stupidi." sibilò l'uomo, così piano che Crystal pensò di esserselo immaginato.
/Stupidi/. Era quel genere di offesa che si concedeva, arrendevolmente, a qualcuno di molto caro. Anche Aquarius la usava spesso. Era un dispregiativo che assumeva un ruolo vezzeggiativo, a seconda dei contesti.
All'improvviso Crystal si sentì tirare per la manica. Pensò che si trattasse di Mur, ma quando si voltò vide che a stringerlo con tanta necessità non era altri che Sirio.
Il più grande aveva il viso arrossato per lo schiaffo e le guance rigate di lacrime.
Qualcosa, dentro di lui, si ruppe.
/Stavano bene./ E Mur, un Cavaliere d'Oro, un uomo che li aveva guardati come se fossero fratelli prima di sacrificarsi per sempre, si stava prendendo cura di loro.
Per quanto tempo aveva atteso che un simile avvenimento gli scombussolasse la vita? Quanti colpi di Ikki aveva incassato? Quanti sorrisi di Andromeda aveva infranto? Quante risposte acide aveva rivolto a Sirio? E quanti, quanti sguardi sull'orlo delle lacrime aveva lanciato al corpo inerme di Pegasus?
Sentì il corpo tremare e improvvisamente tutti i colpi incassati dolsero all'unisono, come un promemoria inequivocabile.
E poi pianse.
Non come l'ultima volta, il viso rivolto a terra, la statua di Aquarius immobile davanti a lui, il cielo che lo inondava d'acqua.
Per la prima volta da quando quell'odissea era incominciata, Crystal sentì caldo.



Il fumo s'alzava dalla sigaretta in un rivolo serpeggiante che andava a disperdersi nella stanza. Le dita piene di cicatrici di Ikki la tenevano con grazia, una peculiarità difficilmente attribuibile ad uno come lui. Andromeda seguì con lo sguardo le sue falangi lunghe e affusolate, socchiudendo le palpebre.
"Sai..." disse il fratello, facendolo rinsavire. "Dovresti proprio andartene."
Era di umore nero. Aveva un'espressione acida, le sopracciglia aggrottate e la bocca piegata in un broncio che raramente Andromeda gli aveva visto in volto. I capelli spettinati sulla fronte coprivano il cerotto sistemato sulla tempia. Aveva il labbro spaccato e gli occhi cerchiati di scuro. Quella sconfitta era senz'altro stata un duro colpo per lui.
Andromeda scostò lo sguardo. Non aveva intenzione di obbedire.
"Mi ascolti?" domandò Ikki, con la voce arrochita dal fumo. Con la coda dell'occhio, il più piccolo notò che stava aspirando dalla sigaretta. Avrebbe voluto strappargliela dalla bocca, ma per quanto non sopportasse il vizio malsano che il fratello aveva preso da qualche anno, non poteva permettere che il suo umore raggiungesse livelli di asprezza estremi.
"Non saprei dove andare. Pegasus sta bene, riposa sul divano. Crystal e Sirio non si sono ancora svegliati, anche se Mur è andato a controllare come stavano..." spiegò Andromeda. Lo sguardo gli cadde sul letto accanto a quello di Ikki, su cui giaceva privo di sensi Kiki.
Il fratello si sporse in avanti, forse per vedere cosa stava fissando.
"Si riprenderà." commentò quando lo ebbe notato, alzando le spalle con naturalezza.
Certo. Per Ikki ogni questione era risolvibile nel più elementare dei modi.
Andromeda avrebbe voluto chiedergli cosa sarebbe accaduto se così non fosse stato, ma aveva una gran paura di sospettare già la risposta: /"Allora dovremo farcene una ragione."/
Aveva reagito in quel modo piatto e disinteressato anche all'incredibile scoperta che i Cavalieri d'Oro erano ancora vivi. Addirittura Andromeda l'aveva sentito lamentarsi con Mur perché si erano permessi di salvare loro la vita.
"Tu come ti senti?" chiese. Ikki scosse la testa. Sul suo collo si tese il segno di un'abrasione, probabilmente dovuta allo sfregamento con una delle piante dell'avversario. La maglia nera che indossava lasciava scoperta una buona porzione di pelle, rivestita interamente di ematomi violacei. Ioria aveva spiegato velocemente ad Andromeda che il Cavaliere misterioso aveva risucchiato loro l'energia vitale: quello doveva essere il risultato.
"Sono incazzato, Andromeda." rispose il fratello, dopo un tempo che parve interminabile. Scostò le lenzuola e si alzò in piedi. Non voleva mostrare segni di cedimento, ma aveva una postura rigida. Andromeda si levò immediatamente per sostenerlo.
"Non mi toccare."
Ikki lo scacciò con la mano e lui incespicò nei suoi stessi passi, restando precariamente in equilibrio.
"Ma... stai male!"
"Non sono mai stato meglio." lo zittì il fratello, avanzando verso la finestra chiusa. Sul davanzale era riposto un posacenere, in cui spense la sigaretta.
Andromeda si morse il labbro. Non era mai stato in pena per Ikki tanto quanto quel giorno. Quando si era risvegliato nel letto di Ioria, qualche ora prima, il suo pensiero più fulmineo era stato rivolto a lui. Come stava Ikki? Anche lui era stato sconfitto?
Eppure, quando era entrato in camera sua e gli si era gettato tra le braccia, non aveva sentito nient'altro che gelo. Un gelo fisico, sulla pelle priva di spira e nel percorso delle vene, ma soprattutto un gelo morale che lo aveva devastato.
Gli occhi di suo fratello bruciavano d'odio. Andromeda era quasi certo di conoscere il destinatario di tanta rabbia, ma ciò non riusciva a distoglierlo dall'idea che qualcosa, in Ikki, si fosse incrinato ancora di più. Era come se quello scontro avesse ucciso il loro rapporto.
"Lo so che sei arrabbiato," cominciò, muovendo qualche passo in avanti. La schiena del fratello era a poche falcate di distanza. Ancora una volta, di lui, Andromeda non poteva vedere che le spalle.
"Ma dovresti sfogare il tuo rancore in modo costruttivo. /Accettare/ la tua situazione e, con calma, migliorarla. Con questo voglio dire che credo che tu debba stare a letto, non affaticarti troppo e sottoporti alle cure di Ioria e Mur. Abbiamo tante cose da dirci. Forse potresti andare a vedere come stanno-"
Ikki si voltò di scatto e lo afferrò per la maglia. Lo spinse indietro, facendo indietreggiare Andromeda di riflesso fino a quando non finirono entrambi contro il muro.
La schiena del più piccolo si schiantò sulla parete in legno con un tonfo sordo. Alzò la testa con urgenza e guardò Ikki, mentre spilli di dolore s'insinuavano sotto la pelle per ogni ferita che aveva addosso. La benda sulla testa sembrò improvvisamente troppo stretta. Il sangue era confluito tutto lì.
"Smettila di dirmi come dovrei comportarmi." ringhiò Ikki. I suoi occhi divampavano di fiamme, come se l'Araba Fenice se ne fosse impadronita. A giudicare dalla debole scarica di Cosmo che irradiava il suo corpo, doveva essere accaduto qualcosa del genere.
Andromeda respirava affannosamente, il petto che si sollevava e abbassava con una veemenza incontrollata. Aveva... paura. Bisogno di piangere. Ma allo stesso tempo non doveva abbandonarsi alle emozioni.
"Stai... sfogando la tua rabbia su di me."
"Perché tu mi fai incazzare più di tutti!" Ikki si servì della presa che aveva sulla sua maglia per scuoterlo violentemente, fino a che Andromeda non ritrovò la forza di opporsi.
Premette con forza le mani sul suo petto e fece per allontanarlo.
"Smettila- ugh- mi fai male, Ikki!"
D'un tratto il fratello mollò la presa. Andromeda colpì nuovamente il muro con la schiena.
Impiegò un po' a capire la situazione, stordito com'era, ma quando sollevò il capo vide che la porta della camera era aperta. Sulla soglia, c'era Crystal.
Fissava la scena con un'aria malcelatamente contrita, spostando lo sguardo da Andromeda a Ikki, che nel frattempo si era già allontanato di qualche passo.
"State bene tutti e due." disse il biondo, come una constatazione poco convinta. Avanzò nella camera e quando fu vicino a Ikki assottigliò lo sguardo. Era davvero glaciale, degno delle arti che padroneggiava e del suo aspetto straniero. "Almeno così sembrerebbe."
Ikki gli riservò un'occhiata tutt'altro che composta. Sembrava fosse sul punto di inscenare un combattimento lì, su due piedi. Andromeda era indeciso tra il provare sollievo nel vedere che il compagno stava bene o l'abbandonarsi al tumulto d'emozioni cui l'aveva sottoposto Ikki pochi attimi prima. Decise di forzare un sorriso.
"Crystal! Come ti senti? Hai già parlato con-"
"Tu e Sirio siete proprio uguali." lo interruppe Crystal, passando oltre Ikki e dirigendosi verso di lui. Gli mise una mano sulla spalla, come per rassicurarlo.
"Siete sempre lì a sorridere come degli idioti, anche quando state morendo di dolore."
Ikki emise un mugugno di dissenso, che fece immediatamente voltare il biondo. Andromeda lo guardò, smarrito, ma il fratello evitò volontariamente il suo sguardo.
"Mentre voi due vi perdete in chiacchiere, io vado a farmi un giro." proclamò, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e allontanandosi verso la porta.
Se ne stava andando davvero.
Andromeda aveva ancora la maglia stropicciata sul petto, là dove Ikki lo aveva impugnato. Un tremore familiare si diffuse in tutto il corpo.
"Aspetta, fratellone!"
Crystal gli si parò davanti. Aveva un'espressione determinata: gli occhi azzurri rilucevano di sfida, ma i lineamenti del viso erano distesi e sereni.
/Proprio come quelli di un angelo./
Era ciò che aveva pensato la notte prima, benché il ricordo sembrasse ormai quasi un recondito frammento di memoria. Era la stessa notte in cui si era sentito vicino al fratello più di quanto non lo fosse mai stato.
"Lascialo andare." intimò Crystal, con un tono di voce gentile ma autoritario.
Andromeda si arrese. Seguire suo fratello non avrebbe portato a nulla di buono, specie in un momento simile. Forse era meglio lasciarlo stare.
"Vieni." continuò il biondo, accennando un sorriso.
"Forse hai voglia di parlare."



La stanza di Ikki e Kiki era più grande di quella in cui Andromeda si era svegliato. Per terra c'era un tappeto rosso scuro, ornato da ricami arabici. Tra i due letti stanziava un piccolo comodino, su cui era poggiata una lampada a olio. La fiammella che tremolava all'interno delle pareti in vetro era l'unica risorsa di luce e calore della camera. Perlomeno, dalla finestra serrata, non provenivano spifferi. Dal posacenere disposto sul davanzale s'alzava un filo di fumo.
Crystal gli passò davanti, ostruendogli la visuale.
"Allora." fece, sedendosi accanto a lui sul letto sfatto di Ikki. "Vuoi spiegarmi cos'è successo?"
Andromeda raccontò brevemente l'accaduto. Non c'era molto da dire, alla fine. Ikki s'era comportato male con lui, l'aveva ferito e se n'era andato via come al solito, lasciando la discussione in sospeso.
"E' arrabbiato perché non accetta di esser stato sconfitto da quel Cavaliere." disse. Si lasciò ricadere all'indietro e affondò con la schiena nel materasso morbido.
Crystal gli lanciò un'occhiata bieca, poi tornò a guardare dritto davanti a sé. In qualche modo, sembrava avere un'aria più matura. I suoi occhi azzuri rilucevano, mentre rifletteva.
"Sa dei God Warrior? Mur ne ha parlato a me e Sirio. L'uomo che ci ha attaccati, Fafnir, è uno di loro."
Andromeda inarcò le sopracciglia, mentre una realizzazione lo folgorava: "Sirio! Come sta?"
"Bene. Non riesce ad alzarsi dal letto, perché ha riportato danni fisici piuttosto gravi, ma dovrebbe rimettersi in un paio di giorni." rispose Crystal, accennando un sorriso teso.
Andromeda cercò di ricambiare con naturalezza. Una volta conclusa quella discussione, sarebbe andato a controllare il compagno. Non aveva idea di cosa fosse accaduto nel campo di battaglia che coinvolgeva lui, Ikki e Kiki perché, nello stesso istante in cui Fafnir li affrontava, lui e Crystal erano stati catapultati dalla parte opposta del bosco.
Se il biondo diceva che stava bene, però, doveva intenderlo sul serio.
Andromeda aprì la bocca per aggiungere che non sapeva niente della conversazione che aveva avuto suo fratello con Mur, ma Crystal parlò prima di lui.
"E Kiki?" chiese, voltandosi a guardare il letto in penombra. "Lui che cos'ha?"
Il ragazzino era ancora inerme nel suo letto, il volto pallido. Sulla fronte gli era stato sistemato un panno bagnato, che detergeva il sudore e lo rinfrescava. Di tanto in tanto emetteva gemiti sommessi, ma non dava segno di riprendere conoscenza.
Andromeda era preoccupato, ma né Mur né Ioria stavano facendo niente perché le sue condizioni migliorassero; aveva quindi dedotto che il suo mancato risveglio fosse giustificato da ciò che il ragazzino era stato costretto a subire quel giorno.
"Ikki non mi ha voluto parlare dello scontro, quindi non so cosa Fafnir gli abbia fatto." rispose, tornando a guardare Crystal. Il biondo aveva ancora lo sguardo sul letto dietro di loro. Contemplava Kiki con le sopracciglia aggrottate e la bocca ridotta a una linea sottile.
"Mmmh," mormorò "se suo fratello non si trova qui a vegliare su di lui, significa che è sotto controllo."
"E' quello che ho pensato anche io." riferì Andromeda, annuendo per dar veridicità all'assenso.
Crystal tornò a guardare nella sua direzione, con un'espressione seria. I loro occhi si incontrarono e per un attimo Andromeda sentì un solletico alla bocca dello stomaco, un groviglio di disagio e aspettativa che non si seppe spiegare.
Diede la colpa allo spossamento: tra l'arrivo ad Asgard, l'agguato, il risveglio in un luogo sconosciuto e il litigio con Ikki, la sua testa stava incominciando a diventare pesante.
"/Fratello/..." ripeté Crystal, storcendo il naso.
"Ora che Mur è qui, forse dovrà vedersela con Kiki e le sue molteplici domande. D'altra parte gli ha tenuto nascosta una verità davvero importante."
Si riferiva alla scoperta che Kiki aveva fatto al Grande Tempio la notte prima. Secondo dei documenti, infatti, il legame consanguineo che avrebbe dovuto unire lui e Mur non era altro che una farsa. Il ragazzino aveva pianto di fronte a loro, oltre che per la bugia, anche perché non conosceva i motivi che avevano spinto il presunto fratello a mentirgli in quel modo.
Invece dello sconforto, in Andromeda improvvisamente si dipanò un senso di sollievo: Kiki avrebbe potuto rivedere Mur e porgli tutte le domande che aveva nella testa.
"Andrà tutto bene. Potranno discuterne, magari, e anche litigare. Ma alla fine niente sarà importante come il fatto che si siano finalmente ritrovati." disse, muovendo la mano sul lenzuolo e accarezzando le coltri con le dita.
All'improvviso qualcosa fermò il suo percorso. Crystal aveva appoggiato la mano sulla sua e opponeva una leggera pressione, cosa che costrinse Andromeda a sollevare lo sguardo.
Il biondo era serio, ma in qualche modo anche toccato. Che cosa poteva spingere i suoi occhi azzurro ghiaccio a tremolare d'emozione, come la fiamma incerta della lampada ad olio sul comodino?
Andromeda trattenne il respiro, senza parlare.
"E' ciò che devi capire anche tu." mormorò Crystal, dolcemente. La presa sulla sua mano si fece più decisa e così anche la sua espressione, che divenne determinata.
"Tu e Ikki potrete discutere e litigare tante volte quante sono le ore del giorno, o i giorni della settimana, o le settimane di un anno. Ma non passerà ora, giorno, settimana o anno che Ikki non sarà preoccupato per te, il suo fratellino, tutto ciò che di importante ha a questo mondo."
Il ragazzo gli sorrise e le sue dita, d'un tratto intrecciate tra quelle di Andromeda, si contrassero in uno spasmo che rafforzò la loro stretta.
E fu come un blackout che spazzava via tutto: Andromeda riprese a respirare e quando esalò un sospiro, scoprì che le corde vocali gli tremavano. Batté le palpebre e le guance gli si rigarono di lacrime.
"Crystal..."
"Andromeda" sussurrò l'amico, con gentilezza e un principio di qualcos'altro, che gli arrochì la voce.
"Andromeda" ripeté, mentre lui gli accarezzava il palmo con le dita, sfiorando la sua pelle ruvida, i calli e le cicatrici, ricordando come quello stesso pomeriggio s'erano tenuti la mano per farsi forza.
"Crystal" gli fece eco quest'ultimo, quando gli tornò alla mente come invece s'erano guardati con bramosia la notte prima, sempre mano nella mano e ad un passo dallo sfiorarsi.
In un istante Crystal gli fu addosso, a cavalcioni. Andromeda si sentì schiacciato dal suo peso, ingabbiato tra le sue cosce muscolose, sopraffatto dalla sua virilità e dal debole profumo di bagnoschiuma appena percettibile sotto all'odore più acre del sudore. Sentì il suo respiro agitato quando il biondo si chinò su di lui e i suoi capelli gli solleticarono il viso, facendogli socchiudere le palpebre. Si accorse che la sua mano, ancora stretta in quella del ragazzo, stava tremando.
E il petto gli bruciava come se fosse sul punto d'incendiarsi.
Eppure, per quanto una situazione del genere potesse risultare inverosimile, sconvolgente, immediata e priva di senso, Andromeda l'accettò.
Gli ritornarono alla mente le sue stesse parole: "/Quando sei disperato arrivi a fare cose che non immagineresti mai di poter compiere./"
Potevano essere più disperati? Entrambi straziati dal dolore, afflitti dalla frustrazione, innamorati disperatamente delle persone più inarrivabili dell'intero pianeta e stanchi, estremamente stanchi di ogni cosa.
Andromeda l'accettò, mentre realizzava ogni motivazione che si celava dietro a un simile gesto disperato e comprendeva, finalmente, perché Crystal aveva tanto insistito per parlare con lui.
"Tu andrai a cercarlo." disse, con la voce affannata, il cuore che palpitava e le lacrime che scendevano a bagnare il suo viso infuocato.
Aquarius. Chi altri poteva essere? Crystal aveva deciso di mettersi sulle sue tracce, sempre che il Cavaliere dell'Acquario fosse rinato come era accaduto a Mur e Ioria.
Un lampo di stupore attraversò gli occhi liquidi del ragazzo, ma prima che Andromeda potesse dire altro, lo stesso lo zittì premendo le labbra sulle sue.
Fu un tocco leggero, vagamente umido, ma attraversò Andromeda come una scarica e lo fece sussultare.
Non era mai successo. Né avrebbe mai pensato che sarebbe accaduto con Crystal.
Con crescente necessità gli mise una mano tra i capelli e lo tirò a sé, imponendogli un altro bacio. Crystal, preso alla sprovvista, ansimò sorpreso contro le sue labbra, facendo inavvertitamente strusciare i loro bacini. La colonna vertebrale di Andromeda fu attraversata da un'ondata d'energia pari ad un concentrato incontenibile di volt, che confluirono tra le sue gambe, nel punto in cui lui e Crystal erano a stretto contatto.
"Baciami." lo pregò Andromeda, visto che il ragazzo rimaneva a fissarlo con le labbra socchiuse e un'espressione sconcertata. "Ancora..."
E si baciarono un'altra volta, di nuovo, fino a che le loro labbra non furono umide abbastanza da indurre entrambi a socchiuderle e a respirarsi l'uno dentro l'altro, facendo inavvertitamente scontrare i denti piuttosto che le lingue, quando finalmente si decisero ad approfondire il contatto.
Crystal si allontanò di colpo, agitato, mentre Andromeda si voltava di lato con le guance che gli andavano a fuoco. A rompere il silenzio della stanza erano i loro respiri affannosi e il battito cardiaco di Andromeda, che gli palpitava furioso anche nelle orecchie e lungo il collo.
"Mi... mi dispiace" biascicò Andromeda, nello stesso istante in cui Crystal sibilava "Scusami."
Subito si guardarono negli occhi, stupiti di aver detto la medesima cosa. Trascorsero un paio di secondi senza dire niente, e poi scoppiarono a ridere.
Era così stupido. Chiunque li avesse visti, in quel momento, avrebbe creduto che fossero pazzi.
E sarebbe stato giusto così: due ragazzi alle prese con il primo bacio, con la loro adolescenza, con i loro piccoli mondi a proteggerli dalla vastità dell'universo. Andromeda si era domandato quanto vivessero, della loro vita, i comuni adolescenti. Quanto traessero, quanto sperimentassero, quanto potessero essere felici.
Se avesse potuto scambiare ogni sofferenza della sua vita per quel breve attimo di normalità, allora forse sarebbe stato felice.
Però magari, se la sua vita non fosse stata piena di sofferenze, sfide e sacrifici, quell'istante ora non gli sarebbe sembrato così speciale.
Quando smise di ridere, tornò a guardare Crystal negli occhi. Le loro mani erano ancora intrecciate e umide di sudore. I loro bacini si stavano ancora sfiorando e Crystal continuava a sembrare un angelo.
"Ti aspetterò." disse.
Il biondo, che stava ancora ridacchiando, si fece immediatamente serio. Lo guardò interrogativo, ma curioso e con le guance ancora arrossate dal desiderio.
Andromeda sorrise.
"Tu andrai a cercare Aquarius e crescerai, forse ti ritroverai, forse scoprirai le tue risposte. Ma io ci sarò. Potrai lasciarmi indietro, e io potrò /restare/ indietro, ma arriverà il giorno in cui dovrai tornare a casa e io... beh, io sarò lì."
Quando ebbe finito di parlare si allungò a baciare il biondo, che ricambiò leggermente e con evidente distrazione.
"Andromeda..." sussurrò infatti, mentre quest'ultimo si scostava. Si guardarono di nuovo negli occhi e questa volta Andromeda si stupì di vedere che quelli di Crystal erano annebbiati dalle lacrime.
Il ragazzo lo prese e lo strinse a sé, prima che lui potesse dire qualcosa. Gli accarezzò i capelli, mentre l'altra mano tremava stretta nella sua.
Non disse niente per un lungo lasso di tempo, durante il quale Andromeda si fece cullare in silenzio nel caldo torpore che gli avvolgeva le membra e gli calmava il cuore. Sapeva che, in quel gesto muto, il ragazzo gli stava chiedendo di lasciarlo fare.
Infine, Crystal parlò.
"Tornerò." disse.
Come un'infrangibile promessa.



In un primo momento era rinvenuto quando ancora la neve gli bagnava le vesti, e il freddo gli intorpidiva gli arti. S'era ripreso, aveva annaspato invano, grattando il terreno con le unghie e tentando di aprir bocca per chiedere aiuto. Poteva ben distinguere il corpo riverso in terra di Sirio e un clangore distante a cui non riusciva a trovare collocazione. Forse Crystal e Andromeda stavano ancora combattendo, ma lo giudicava impensabile. Non c'era la minima traccia dei loro Cosmi, nell'atmosfera.
Dopo esser crollato di nuovo, aveva percepito sotto alla schiena una superficie morbida. S'era sentito coccolato, agiato e in quella comodità s'era nuovamente abbandonato al sonno.
Era stato un sonno oscuro e profondo, contrastato da incubi difficili da definire, di quelli che ti lasciano la sensazione d'affanno ad aggravare il petto e la mente ingarbugliata, come un dedalo senza uscita.
Eppure, doveva andarsene. Era come se quella dimensione non gli appartenesse, come se qualche recondito recesso della sua memoria gli stesse imponendo di svegliarsi, di occuparsi di qualcosa di grande che solo destandosi avrebbe potuto sistemare.
Lo percepiva, sulla pelle, sotto ogni poro che improvvisamente si colmava di vitalità e nel cuore che gli pulsava in petto come se a spingerlo fosse una forza esterna, a lui sconosciuta.
Con un verso strozzato Kiki si sollevò a sedere e aprì gli occhi. Di fronte a lui, in piedi sulla soglia della stanza... c'era Mur.

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