— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 9: Verità sconcertanti) —


La casa del Sagittario era semplice ed essenziale. Dava l'idea di una vera e propria abitazione invece che d'un Tempio, forse proprio perché era priva di tutti quegli elementi simbolici che avrebbero dovuto caratterizzarla. L'atrio principale sembrava un enorme salotto. C'erano un divano e due poltrone dai rivestimenti rosso sgargiante, un tavolino in ardesia basso e qualche sedia sistemata in modo da far credere a chi entrasse che fosse una posizione casuale. Addossato al muro sorgeva un trionfale camino rustico in mattoni, con un cumulo di legna secca accatastato al suo interno. La cappa saliva in alto fino al soffitto, scomparendo nel buio.
Sui lati c'erano due porte. Una conduceva alla camera da letto, l'altra al bagno e alla cucina.
Se la casa del Leone era piena di foto, questa lo era il doppio.
I muri ne erano colmi, ma anche le mensole e le cassettiere. Foto in dimensioni ridotte, gigantografie che sormontavano la parete, disegni di bambini appesi in ogni dove. Sapeva di bucato, come se il luogo fosse rimasto intoccato sino a quel momento. Le ampie finestre lasciavano entrare di giorno una generosa quantità di luce, che si diradava sugli oggetti disegnando cerchi concentrici a causa delle grate circolari. Adesso che era sera, il chiarore lunare toccava appena le superfici degli oggetti, dando a ogni cosa un profilo spigoloso.
Sembrava quasi che quell'accozzaglia di insulsi dettagli caratterizzasse chi l'abitava: una persona umile e modesta. Ad Andromeda si strinse il cuore, mentre il suo sguardo si posava su un punto scrostato del muro, là dove riluceva una lastra dorata su cui era incisa un'iscrizione. Da quella distanza non riusciva a leggere, ma conosceva perfettamente le parole che il messaggio trasmetteva: "Giovani Cavalieri che siete giunti fino a qui: a voi affido la Dea Atena."
Quasi senza accorgersene portò una mano sopra quella di Pegasus, che sedeva sulla poltrona al suo fianco. "Te lo ricordi?" disse, continuando a fissare il muro dritto di fronte a sé. Intrecciò le dita con quelle del ragazzo e inspirò profondamente.
"Avevo usato tutte le mie energie per scongelare il corpo di Crystal, e dalla settima Casa in poi tu mi hai portato sulle spalle. Non volevo essere un peso per te, ma allo stesso tempo non riuscivo a celare la mia felicità, il mio sollievo... Pegasus."
La voce gli si era incrinata. Il viso esangue di Pegasus rimaneva immobile, le ciglia che a causa del bagliore lunare disegnavano ombre a raggiera sugli zigomi accentuati.
Aveva un profilo bellissimo: il naso leggermente all'insù, le labbra carnose e scure, i capelli spettinati che coprivano gran parte del volto, la linea dura della mascella che accentuava la sua virilità. Andromeda si sporse istintivamente in avanti e le sue dita, intersecate a quelle di Pegasus, si contrassero in uno spasmo di tensione.
"Lui forse no, ma io sì."
La voce che era sopraggiunta all'improvviso dall'ampio androne laterale del Tempio fece sobbalzare Andromeda. Questa volta lasciò andare definitivamente Pegasus e per poco non cadde dalla sedia.
"Crystal!" esclamò, mentre la sagoma del biondo si faceva più nitida a mano a mano che avanzava. Indossava una canotta grigia aderente, che gli lasciava scoperta una buona porzione di ventre. Sopra ad essa portava slacciata una felpa di diverse taglie più grande di lui, mentre i pantaloni cadevano larghi sulle caviglie, anche loro d'un grigio scuro e spento. Aveva i capelli scompigliati, segno che veniva direttamente dal letto.
"Cosa ci fai ancora sveglio?" chiese Andromeda, ancora vagamente scosso per il suo arrivo improvviso. Il più grande alzò le spalle e fece una smorfia.
"Non riuscivo a dormire." Si guardò intorno, finendo per adocchiare la poltrona di fronte a quella in cui era seduto Pegasus.
"Kiki dov'è? Pensavo dormisse qui."
Andromeda seguì il suo sguardo. "Ha detto che voleva controllare ancora un paio di cose alla Casa dell'Ariete. Qualche eredità per il suo Clan, qualche documento che possa aiutarlo a portare avanti il suo addestramento anche in assenza del suo maestro..."
A quell'ultima parola, Crystal si irrigidì. L'unica fonte di illuminazione nell'atrio era la luce lunare, ma nonostante ciò fu particolarmente evidente.
Andromeda provò una stilettata allo stomaco anche per lui: non doveva essere facile perdere una persona tanto importante, per poi scoprire che tutto ciò che rimaneva di essa era scomparso nel nulla.
Si poteva fare lo stesso discorso per lui e Pegasus, con la differenza che quest'ultimo, perlomeno, era ancora lì.
"Sai" iniziò il biondo, che nel frattempo era andato a sedersi sulla poltrona che sarebbe spettata a Kiki. Poggiò le mani sulle ginocchia e s'abbandonò con la schiena sulla spalliera. Andromeda si sporse in avanti per ascoltarlo: "Questa è tutto ciò che ho trovato di suo. E sai cosa ti dico? Non mi importa. Non mi importa della sua stupida Armatura. Aquarius è morto per colpa del suo destino di Cavaliere d'Oro, perciò... non mi importa delle sue Vestigia."
Andromeda spalancò la bocca.
Dunque, aveva frainteso tutto. Non erano le sconvolgenti scoperte di quegli ultimi giorni a tormentare il biondo, quanto più lo stesso instancabile fantasma del passato.
"Ma, Crystal..."
"No." lo interruppe lui, senza però suonare arrogante. Si strinse nella felpa e l'annusò, come se fosse una cosa del tutto normale.
Andromeda si impose di non scostare lo sguardo: "Potrebbe esserci dietro qualcosa di grande... di /estremamente/ grande. Pensa a cosa potresti fare se ci fosse un modo per-"
"Non c'è un modo."
Crystal si morse il labbro. Con la luce evanescente della luna che gli danzava in viso sembrava proprio un angelo: biondo, con gli occhi azzurri che riflettevano il blu della notte.
Andromeda lo sapeva. E più ne era consapevole, più detestava quel destino immutabile. Sospirò, lanciando un'occhiata a Pegasus. C'era ancora un'anima, dentro di lui, o era rimasto lì solo il suo bellissimo corpo, come cimelio, pegno per la guerra che lui stesso aveva combattuto?
Ancora una volta, Crystal lo riscosse dai suoi pensieri.
"Prima gli hai chiesto se ricordasse la settima Casa. E io ti ho detto che la ricordo." esordì. Andromeda tornò a fronteggiarlo e vide che aveva il viso in tensione, come se si stesse trattenendo dal dire qualcos'altro.
"Ah sì? E cosa-"
S'interruppe da solo quando la realizzazione fece breccia nella sua mente, come uno squarcio immediato e doloroso: sul momento provi semplicemente un dolore immenso, e solo dopo inizi a sentire il sangue che cola sulla pelle.
Crystal sembrò cogliere la sua improvvisa consapevolezza, perché accennò un sorriso strano e abbassò lo sguardo.
"Mi sono tormentato su ciò che è accaduto tra noi per mesi, senza mai trovare una giustificazione."
Andromeda trattenne il fiato, incapace di ribattere.
Forse una parte recondita di sé ne era sempre stata consapevole: Crystal non era del tutto incosciente, mentre lui lo riscaldava. Non lo era stato nemmeno quando Andromeda si era stimolato sopra il suo corpo morente, facendo scontrare i loro bacini e ansimandogli sulla pelle perché tornasse calda e elastica, invece che gelida e dura come il ghiaccio.
Improvvisamente ebbe voglia di piangere: si sentì sporco e sbagliato, irrispettoso e superficiale.
"Crystal, io... l'ho fatto perché non avevo Cosmo a sufficienza e in una situazione simile... so che non mi crederai, ma quando sei disperato arrivi a fare cose che non immagineresti mai di poter compiere" disse tutto d'un fiato, senza osare guardarlo negli occhi. Sentiva un lieve prurito sulle guance, segno che stava arrossendo.
Crystal ridacchiò. "Non ce l'ho con te, mi hai salvato la vita. L'unico motivo per cui ho introdotto il discorso è che... vedi..." si alzò in piedi e si avvicinò a lui, fino a che non gli fu di fronte. Porse una mano ad Andromeda, che la guardò senza sapere cosa fare.
"Prendila." ordinò Crystal.
Andromeda sentì ancora più caldo. Obbedì al comando, sollevando lo sguardo per cercare conferma in quello del biondo. Le sue iridi azzurre sembravano brillare.
La mano, nella sua, era fredda. Probabilmente aveva ancora la febbre, che giocava con la sua temperatura corporea come il clima in primavera, sempre instabile e imprevedibile.
"Il dito indice." disse Crystal, muovendo le falangi sul suo palmo. "L'unghia."
Andromeda annuì freneticamente e sfregò le dita sulle sue, fino a che non si scontrò con l'unghia rotta e seghettata del compagno. Il contatto con i margini taglienti lo fece trasalire.
"E' spezzata." sussurrò, sottolineando l'ovvio.
Crystal annuì: "Me la sono fracassata mentre baciavo la statua di Aquarius. Ahh, l'avessi solo baciato" nella voce aveva un'incontrollata esaltazione che rendeva il tono vagamente tremante.
Andromeda non sapeva più cosa pensare: Crystal era a conoscenza di ciò che aveva fatto col suo corpo e non era arrabbiato, ma anzi voleva che lui si avvedesse della sua unghia spezzata per poi spiegargli di aver baciato la statua del suo maestro. Non che fosse una cosa del tutto inaspettata: Crystal era sempre stato spaventosamente ossessivo con le cose che gli stavano a cuore.
"Eh?" fu tutto ciò che riuscì a dire.
Il biondo sospirò gravemente: "Quello che voglio dire è che ho finalmente compreso il tuo bisogno di lasciarti andare, quel giorno. E' quello che si fa nelle situazioni difficili..."
Era una sua impressione o Crystal aveva accorciato le distanze? Ora Andromeda faticava a tenergli la mano senza dover piegare eccessivamente il braccio.
Avrebbe voluto dirgli che aveva fatto tutto quello solo per salvargli la vita, ma preferì non esprimersi più su quella storia.
"Sono... contento che tu abbia capito." disse, accennando un sorriso.
Crystal ricambiò, placido. C'era qualcosa, nel suo sguardo semi-illuminato, che fece arrossire Andromeda ancora di più. Abbassò la testa, ma si ritrovò faccia a faccia col suo ventre scoperto. I muscoli addominali erano tesi sulla pelle abbronzata e l'elastico nero dei boxer aderiva perfettamente ai suoi fianchi spigolosi.
D'un tratto tutt'intorno a loro si materializzò un bagliore d'immensa potenza. Baluginava d'oro, e pericolose scintille sfrigolavano rumorosamente al suo interno.
Come un boato, un rombo s'insinuò tra i loro timpani. Andromeda si gettò immediatamente su Pegasus, forse gridando, ma senza sentirsi.
Crystal si parò di fronte a loro e iniziò a guardarsi intorno come un ossesso, alla ricerca della fonte di tutto quel frastuono.
Era un Cosmo immenso, inconcepibile. A chi poteva appartenere una simile potenza?
La luce aumentò d'intensità, ferendogli gli occhi. Anche chiudendoli, la luminosità filtrava attraverso le palpebre in fili incandescenti. Andromeda faceva da scudo alla poltrona, il corpo rivolto verso quello di Pegasus. Lo strinse tra le braccia e rimase in attesa.
Andò avanti per un po', poi i rumori iniziarono ad assestarsi e una voce che Andromeda non aveva mai sentito prima, improvvisamente, parlò:
"Giovani Cavalieri che siete giunti fino a qui... ho qualcosa per voi."




Si precipitarono verso il muro, là dove era pervenuta la voce misteriosa. La lastra dorata mandava scintille incandescenti e la scritta in Greco Antico s'era illuminata di un colore molto simile a quello dell'oro fuso.
Andromeda barcollò, destabilizzato dal tremore che un attimo prima aveva scosso il suolo. Alle sue spalle, delle mani grandi lo afferrarono un attimo prima che potesse cadere in terra.
"Andromeda" lo chiamò Ikki, l'espressione crucciata. Quest'ultimo si illuminò: "Fratellone!"
"Cosa sta succedendo?" Questa volta a parlare era stato Sirio. Era accorso anche lui dal corridoio. Aveva i capelli scompigliati e il viso vagamente arrossato, segno che aveva compiuto un enorme sforzo per arrivare fin lì in tempo.
"Non lo so." rispose Crystal, con urgenza. Gli fece cenno di avvicinarsi e a sua volta avanzò verso la parete.
L'ultimo ad arrivare fu Kiki. Era trafelato e teneva in mano un cumulo di fogli stropicciati. La sua espressione era, oltre che stralunata, in un certo senso anche funerea. Andromeda fece per chiedergli se fosse tutto apposto, ma di nuovo uno stridio fastidioso gli perforò i timpani.
Crystal, per l'impatto venne sbalzato all'indietro addosso a Sirio.
I due rovinarono in terra uno sopra l'altro, emanando un filo di fumo che crepitava lentamente a contatto con i vestiti.
Kiki sbarrò gli occhi: "State bene?"
Ma non fece in tempo a muovere un passo verso di loro che di nuovo, la voce che aveva parlato prima, tuonò echeggiante nell'ambiente.
"Mi dispiace, non riesco a controllare il mio Cosmo... fretta... devo... fare in fretta"
Era calda e armoniosa, anche se continuamente interrotta da una specie di interferenza, un rumore metallico di sottofondo che rendeva difficile la comunicazione.
Andromeda fissava la lastra fiammeggiante come se non potesse staccarle gli occhi di dosso. Sentì la presa di Ikki rinsaldarsi sulle spalle e d'istinto indietreggiò, ricercando contatto nella sua stretta rassicurante.
La tensione che alimentava l'atmosfera era corposa e tangibile: ogni movimento procurava sottopelle una serie di fastidiosi brividi statici.
"Le Sacre Armature non sono state rubate... sono... Asgard... dovete andare..."
"Asgard?" domandò Crystal, urlando per farsi sentire al di sopra del crepitio. Lui e Sirio s'erano rialzati, anche se le loro posture suggerivano che l'impatto avesse ugualmente causato loro dei danni.
Evidentemente il messaggero non poteva sentirlo. Comunicare con loro doveva costargli sforzo e fatica, a giudicare dalle frasi sconnesse che trasmetteva.
Eppure, una forza così grandiosa...
"Micene del Sagittario!" gridò Kiki, additando la lastra. "Un Cosmo così potente può essere solo il suo. E' lo stesso che emanava la sua Armatura!"
Andromeda fu immediatamente scosso da un brivido di consapevolezza. Le dita di Ikki a contatto con la sua pelle si irrigidirono, segno che anche lui aveva colto la veridicità delle parole del ragazzino.
"E' vero... non siamo in grado di riconoscere il suo Cosmo perché non siamo mai entrati in contatto con esso. Pegasus l'avrebbe capito subito!" s'intromise Sirio, aggrottando le sopracciglia.
"Ma... non è possibile! Micene?" Crystal li guardò uno ad uno, in cerca di conferme.
Ikki sbuffò: "Significa che sta succedendo qualcosa di grave. Ha sempre comunicato con noi attraverso la sua Armatura, giusto?"
"Ma adesso... parla. E' come se la sua voce provenisse da un luogo lontano" ribatté Kiki "come se fosse..."
"Viva." lo interruppe Andromeda, sconvolto. Sentiva un ridondante furore percorrergli vene e arterie, come se inspiegabilmente al suo sangue si fosse sostituito un incandescente flusso di lava.
Micene, il Cavaliere d'Oro che era stato loro custode e la cui figura sfociava nella leggenda stava comunicando con loro /da vivo/.
"Asgard" ripetè proprio quest'ultimo, provocando una brusca altisonanza nell'aria. "Ad Asgard... troverete tutte le risposte."
Poi all'improvviso tutto cessò. La tensione nell'aria, il bagliore accecante, il rumore disturbato.
Per l'impatto i ragazzi traballarono sulle loro stesse gambe e Kiki addirittura cadde per terra.
Infine, il silenzio.
Andromeda, in quel frammento di tempo trascorso nella più totale assenza di rumori, poté chiaramente distinguere il battito cardiaco del fratello contro la sua schiena.
Era calmo e regolare, al punto che lo fece calmare.
"Ikki..." mormorò piano. Lui in quello stesso istante si scostò, anche se col braccio continuò ugualmente a cingergli le spalle, forse distrattamente.
"Cosa ne pensate?" chiese, con il suo tono di voce autoritario. Crystal sembrava fuori di sé: "Penso che dovremmo andare. Se fosse davvero vivo, allora forse anche tutti gli altri..."
"C'è un motivo per cui le Armature sono scomparse" intervenne Sirio. "E se Micene stesso ha voluto confermarlo significa che dobbiamo scoprirlo."
Kiki si rialzò da terra, scrollandosi la polvere dai pantaloni con le mani. "Siamo arrivati fino a questo punto, io direi di andare a fondo." Aveva un'espressione risoluta, ma al contempo triste. Il bagliore lunare faceva sembrare il suo volto più giovane e scarno.
"Puoi creare un portale per Asgard?" domandò Crystal, avanzando nella stanza e incrociando le braccia al petto. Talvolta assumeva inconsapevolmente le pose del suo maestro, acquisendo un certo spirito autoritario.
Kiki alzò le spalle: "Se Hilda dall'altra parte me lo permette, suppongo di sì. Devo mettermi in contatto con lei. Lo farò-"
"Questa notte." lo interruppe Ikki. "E domani mattina partiremo per Asgard."
Andromeda si voltò istintivamente verso di lui. Al suo fianco, sembrava ancora più alto. Fissava dritto di fronte a sé il ragazzino, con un'espressione determinata e imperativa che non ammetteva repliche.
Sirio avanzò circospetto alla luce e gli lanciò un'occhiata sospettosa: "Perché sei diventato improvvisamente impaziente all'idea di compiere questa missione?".
Andromeda lo guardò. Era strano vederlo senza armatura, visto che il giovane la indossava sempre quando erano fuori casa. Naturalmente, però, a quell'ora avrebbe dovuto dormire e di conseguenza aveva addosso una maglia nera scollata a mezze maniche e dei pantaloni della tuta verdi a cavallo basso, che si stringevano sui fianchi e sulle caviglie.
Ikki sospirò e alzò gli occhi al cielo, come se reputasse il dover spiegare i suoi intenti un'inutile incombenza. Era sempre così, dava per scontato che ciò che credeva lui fosse assoluta ovvietà.
"Perché è finalmente diventata una missione. Prima vagavamo alla cieca, senza sapere cosa e come cercare. Ora abbiamo un luogo, una prova e un'indagine avviata. E' così che agisco io."
Lasciò scivolare il braccio sulla schiena di Andromeda, dove lo toccò piano alla base, con le dita. Quest'ultimo fremette forte e sbarrò gli occhi, interdetto. Quel contatto così intimo e gentile non era affatto tipico del fratello.
Quando sollevò lo sguardo, l'altro gli fece un cenno vago e poi si allontanò. "Vado a prendere una boccata d'aria." disse. Lanciò un'occhiata a Kiki, che ancora non aveva ribattuto: "Vedi di metterti in contatto con Hilda al più presto, d'accordo?"
Il ragazzino annuì debolmente, poi osservò la sagoma del più grande che si allontanava verso il portone in silenzio, fino a che questo non se lo richiuse alle spalle con un tonfo.
Dopodiché, sospirò profondamente.
Andromeda si avvicinò: "L'ho notato da quando hai messo piede qui... c'è qualcosa che non va, non è vero?" sorrise appena per rassicurarlo, ma sembrò ottenere l'effetto contrario. Kiki si irrigidì e strinse più forte i fogli che teneva tra le mani.
"Che cosa sono quelli?" domandò Crystal, sporgendosi oltre la spalla di Andromeda. Anche Sirio s'era avvicinato. Ora tutti e tre circondavano il ragazzino in modo quasi asfissiante: le loro ombre erano lunghe e deformate sul pavimento, come quelle di mostruosi aguzzini.
Kiki assunse un colorito ancora più cereo e ridusse le labbra ad un filo sottile e contratto. La canotta color crema gli andava larga e lasciava scoperto il taglio della clavicola, evidenziando la sua corporatura ancora esile. I capelli erano sciolti sulla schiena, lunghi e lisci. Sembrava improvvisamente così... indifeso.
"Ah, va bene. Leggete pure." acconsentì, porgendo i fogli ad Andromeda. Quest'ultimo prese i documenti e li scrutò assottigliando lo sguardo. La luce lunare metteva in risalto zone poco stropicciate, occultando tutto il resto. Dovette sforzarsi per riuscire a decifrare ciò che riportavano.
Sul documento c'erano il nome di Kiki e quello di Mur, insieme a un'accozzaglia di dati anagrafici sui quali Andromeda non si concentrò eccessivamente.
"Non ci posso credere" mormorò d'un tratto, abbassando la mano che teneva i fogli e guardando Kiki negli occhi.
"Cosa? Fa' vedere." gli intimò Crystal, prendendo i documenti.
In mezzo a informazioni generali erano riportati i risultati di un esame del DNA commissionato da Mur, che troncava qualsiasi legame di sangue con quello che sino a quel momento tutti avevano creduto suo fratello.
Kiki si morse il labbro, a disagio.
"L'ho trovato nel cassetto del suo comodino." rivelò, alzando poi le spalle. "Mi spiace solo di scoprirlo ora che non c'è più. Sono stato convinto per tutta la vita di qualcosa che non era assolutamente vero."
Andromeda strinse i pugni, sentendosi improvvisamente impotente. La notizia appena appresa era sconvolgente: come avrebbe reagito se avesse scoperto che lui e Ikki non erano davvero fratelli?
Talvolta era convinto che l'amore di quest'ultimo fosse dettato dalla convenienza che il legame imponeva loro, e non dalla sua spontanea bontà d'animo. Un simile rinvenimento sarebbe stato un duro colpo da sostenere.
"Mur ti amava, Kiki." disse d'un tratto Sirio, che aveva appena finito di leggere. "E' questo l'importante."
"Non abbastanza da rivelarmi una... una cosa del genere." rispose il ragazzino, gesticolando furiosamente. Il viso adesso era una maschera di tensione: sembrava sull'orlo di una crisi di pianto.
"Sapete cosa significa tutto questo? Che non sono la sua eredità. Non sono qualcuno di eccessivamente speciale. Non valgo proprio niente e lui se n'è andato lasciandosi indietro uno qualunque!"
Andromeda si avvicinò a Kiki e lo afferrò per le spalle. "Non dire così." intimò, facendosi serio.
Quest'ultimo se lo scrollò di dosso e barcollò all'indietro, furente. "Dico le cose come stanno! Prima... prima mi abbandona e poi... non mi ha..." lentamente, la voce che era andata alzandosi si incrinò e lui smise di agitarsi.
Andromeda allungò una mano verso di lui, ma Sirio fu più veloce. Gli andò vicino e gli mise una mano tra i capelli, tirandolo poi a sé. Kiki oppose resistenza, ma fu debole e vana contro la forza di Sirio. In un attimo si ritrovò a soffocare i singhiozzi contro al suo petto.
"Stupido." commentò Crystal, scuotendo la testa in segno di negazione. "L'amore non si stabilisce a seconda del legame di parentela."
Andromeda sorrise tristemente. "Lo vedi, Kiki? Noi ti amiamo senza necessariamente essere tuoi fratelli."
Il ragazzino mugugnò qualcosa, che risultò però inudibile e Sirio ridacchiò, accarezzandogli i capelli con fare paterno.
Andromeda riconobbe nel suo tocco gentile quel gesto abituale che riservava a tutti: a Pegasus, che inerme non poteva rispondere, o a lui, quando era troppo stanco per fingere di stare bene. Immaginò che avesse lo stesso effetto lenitivo anche su Kiki, perché a poco a poco il suo pianto si placò.
Nell'atrio rimase solo il silenzio, il rumore tenue dei loro respiri e il battito cardiaco che Andromeda sentiva rimbombare nella cassa toracica.
Dopo un po', Kiki si liberò dalla presa di Sirio. Aveva il viso arrossato e gli occhi gonfi, ma almeno non piangeva più.
"Ho perso anche troppo tempo." borbottò, allontanandosi di qualche passo. Inspirò profondamente, come per riacquisire la dovuta calma, e poi si asciugò le guance con il palmo della mano.
Quando tornò a fronteggiarli, stava sorridendo in maniera sghemba: "In fin dei conti, sto facendo tutto questo per quel testone di Mur, no? E' ora che mi metta al lavoro."
Nella voce c'era ancora un recesso di malinconia, ma tutto sommato sembrava stare meglio.
"Grazie, ragazzi. Vi voglio bene." aggiunse infine, prima di allontanarsi velocemente, come se stesse scappando, lungo l'androne che conduceva alla vicina casa del Capricorno.
I tre lo guardarono allontanarsi, senza far niente perché si trattenesse ancora lì con loro.
"Anche noi." disse allora Andromeda, parlando a nome di tutti i presenti.
Gliene volevano indubbiamente.



Andromeda uscì all'aperto, richiudendosi con cautela il portone alle spalle. Di fronte a lui si stagliò un cielo punteggiato di stelle, luminoso e limpido: non fosse stato per il venticello gelido che spirava, sarebbe sembrata una notte d'estate.
Lo spazio siderale avvolgeva tutto. Dall'altura su cui era situata la Nona Casa si aveva una visione periferica di ciò che stava più in basso: il resto del Grande Tempio, le colline che scivolavano giù, le costruzioni rudimentali ispirate alle antiche abitazioni Greche. Tutt'intorno a lui, invece: l'universo. Il Grande Tempio era così vicino al cielo, così affine a stelle e costellazioni da meritare appieno il suo titolo e la sua fama.
Andromeda provò una strana sensazione allo stomaco, come di urgente necessità e improvvisa consapevolezza d'essere troppo piccolo in un mondo i cui confini non segnavano la fine di tutto.
Sospirò e il suo respiro si condensò nell'atmosfera. Si strinse quindi maggiormente nella giacca e avanzò. Ikki se ne stava seduto a bordo collina, con le gambe a penzoloni oltre il dirupo. Andromeda lo raggiunse e strabuzzò gli occhi quando vide l'altezza che li separava dal terreno.
"Ma è pericoloso!" commentò, facendo per indietreggiare. Il fratello non glielo permise. Lo afferrò per un polso e lo tirò più vicino, inducendolo a sedersi.
Lui fece ciò che gli era stato intimato, senza però trattenersi dallo sbuffare rumorosamente.
"Alla fine sei venuto."
"Mi avevi fatto capire che lo desideravi." ribatté il più piccolo, portandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Fece dondolare le gambe, osservando le proprie ciabatte che scivolavano pericolosamente via dai piedi.
Ikki ridacchiò: "Una cosa del genere. Volevo solo... parlare."
Andromeda sentì che dentro di lui si stava accendendo una pallida speranza: era sempre così, con suo fratello. Ogni volta si augurava che gli rivolgesse parole gentili, invece dei suoi abituali rimproveri.
"Parlare?" chiese, sporgendosi in avanti per guardarlo negli occhi: "E di cosa?"
Ikki si allungò all'indietro, sostenendosi con le braccia e alzando la testa per poter scrutare meglio l'arcata celeste sopra di loro.
"Andromeda" ribatté, trascinando l'intero nome in un sospiro. Fu così caldo e in qualche modo pieno di sentimento che la fiammella tremolante insita in Andromeda incrementò.
Il fratello continuò a parlare incurante: "Volevo solo che tu sapessi che probabilmente stiamo andando incontro a un pericolo enorme. Stiamo parlando dei Cavalieri d'Oro e di Asgard... due concetti che preferirei non associare."
"Eppure..." ribatté Andromeda, sorridendo con amarezza. "Sembra sia proprio questo il caso."
Ikki alzò le spalle. "E' per ciò, che volevo sapere quanto fossi preparato."
Finalmente lo guardò. Andromeda sostenne il suo sguardo, seppur con un filo di disagio.
Il fratello aveva la frangia che gli solleticava gli occhi, forse appena troppo lunga, e i capelli scalati che aderivano al collo. Visibile sotto alla felpa slacciata svettava la clavicola accentuata, sulla quale poggiava la sua collana.
Sul viso aveva un accenno di barba, segno che non aveva ancora avuto il tempo di radersi.
Era così bello, illuminato dalla bianca luce lunare.
Andromeda non aveva alcuna intenzione di distorcere una così piacevole visione.
"Sono preparato a combattere. Lo faccio sempre, per le persone che amo."
"Dovresti farlo per te." lo rimbrottò Ikki, severo. Nei suoi occhi scuri dardeggiò una luce determinata che però si dissolse in fretta, per lasciar spazio ad un'espressione rassegnata.
"Ma perché insisto? Sei fatto così."
Questa volta nella sua voce non c'era traccia dell'abituale sarcasmo, o della più nota cattiveria. Sembrava solo stanco.
Andromeda si portò le ginocchia al petto e le circondò con le braccia. Vi poggiò il mento e vide di fronte a sé la Grecia in cui s'era allenato, in cui aveva lottato. Oltre quel luogo, da qualche parte, ragazzi della sua stessa età stavano vivendo la loro adolescenza nella più completa libertà. Ma erano veramente liberi? O era solo una condizione ascrivibile alla loro mente, che essendo plasmata dall'abitudine non riusciva a vedere altro contesto al di fuori di quell'ideale fasullo?
Persone che s'innamoravano tra loro e gioivano di quel sentimento fino a stancarsene avevano mai percepito il sentimento di privazione, smarrimento e profonda angoscia che si prova quando perdi, o anche solo rischi di perdere la persona amata?
Ne dubitava. Forse il loro era un privilegio, forse una condanna. Restava il fatto che, nella loro inetta convinzione, erano felici.
"Kiki ha trovato in camera di Mur degli esami del DNA. Stando a quanto sostengono, lui e Mur non sono fratelli." disse tutt' a un tratto.
Ikki, che probabilmente si era perso nei suoi pensieri, si riscosse immediatamente.
"Eh?"
Aveva un sopracciglio inarcato e sembrava volesse incenerirlo con lo sguardo, come faceva tipicamente quando si convinceva che le argomentazioni di Andromeda fossero infondate.
Quest'ultimo annuì: "Ce li ha fatti vedere non appena te ne sei andato. Era distrutto."
Ripensare alle lacrime di Kiki lo intristì. Non lo reputava giusto.
Mur avrebbe dovuto dirglielo, probabilmente le cose tra loro si sarebbero sistemate appena un attimo dopo la loro frattura. In quella situazione, invece, non c'era modo di mettere a posto nulla.
Ikki respirò gravemente. "Che brutta storia."
"Già." gli fece immediatamente eco Andromeda.
"Se fosse successo a noi-" si morse il labbro prima di poter dire un'altra parola, troppo timoroso di scoprire ciò che avrebbe potuto rispondere il fratello. Ma questo lo stava già guardando con aria interrogatoria ed evidente interesse.
Il più piccolo sospirò.
"Prima ho pensato che se avessimo scoperto una cosa del genere, probabilmente a te non sarebbe più importato di me."
Scostò immediatamente lo sguardo, per evitare di scorgere conferme negli occhi del fratello.
Ikki però si limitò a ridere, quasi di gusto, come non faceva da tempo. La sua voce, scossa dagli spasmi della risata, era cristallina e armoniosa.
Andromeda si voltò subito a guardarlo, esterefatto: "Ikki?"
"Andromeda." rispose questo, mentre si calmava.
Scosse poi la testa, con incredula amarezza. "Solo uno stupido come te poteva arrivare ad una simile conclusione."
Gli rivolse un sorriso che assomigliava a quello più sincero che avesse mai fatto e Andromeda, dentro, divampò.
"Credi davvero che butterei via tutti gli anni trascorsi insieme a causa di una simile scoperta? Il sangue è davvero così importante? Io per primo, spesso, l'ho rinnegato." continuò Ikki, issandosi meglio a sedere.
Ora potevano guardarsi negli occhi quasi parallelamente. Andromeda restava più basso, ma la vicinanza era ideale per fissarsi sotto la luna, cogliendo i chiaroscuri che giocavano sulle figure ammantate dai pesanti abiti invernali, mentre la condensa si frapponeva tra loro come vapore aqueo intangibile ma presente.
E improvvisamente eccola lì, la felicità. Probabilmente falsa e inetta come quella di qualsiasi essere umano, ma pur sempre palpitante, nel battito cardiaco accelerato, e accaldante, nel fervore che gli scorreva nelle vene.
Ikki non fece in tempo a dire altro che Andromeda gli gettò le braccia al collo. Sentì immediatamente il profumo da uomo di suo fratello che gli penetrava le narici e desiderò che lo facesse fino in fondo, con i suoi capelli che gli solleticavano il viso e le sue mani che, dopo un po' di tempo, gli cinsero la vita.
"Fratellone" mormorò contro la sua pelle, nascondendo il volto tra il cappuccio della felpa e il suo collo. Ikki lo accarezzò piano, sulla schiena.
"Farai bene a essere pronto a tutto" esordì, piano.
"Domani sarà un giorno lungo."

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