— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 7) —



— CAPITOLO 7: E' IL PESO DEL PASSATO A RENDERTI LEGGERO —

La neve copriva tutto. I fiocchi, come cellule in riproduzione, cadevano sulla superficie e si univano a essa perché incrementasse.
Freddo. C'era anche freddo, un freddo gelido e penetrante, che violava ogni poro della sua pelle con la silenziosa minaccia di ridurlo a una statua di ghiaccio. Gli organi interni si sarebbero fermati lentamente e lui sarebbe morto a causa di un'energia che in vita, un tempo, aveva dominato egregiamente.
Aquarius annaspava, il corpo atrofizzato e congelato. Ormai non sapeva più distinguere se il rosso che aveva sulle unghie fosse sangue rappreso o il suo smalto, scrostato come l'intonaco dalle pareti. Si chiese perché in punto di morte fosse in grado di concepire così tante metafore e poi accusò la sua mente teorica, sempre presa a sviluppare e stabilire, dettare e dimostrare.
Non si era mai goduto la vita e forse per questo, ancora una volta, l'idea di morire lo spaventava.
Provò di nuovo a sollevarsi, ma il corpo si rifiutò di obbedire all'impulso generato dal cervello.
Probabilmente quest'ultimo era rimasto l'unica cosa attiva dentro di lui. La neve gli riempiva la bocca, il vento gli sferzava la pelle, lo colpiva sugli occhi annebbiandogli la vista. Le lacrime gli si erano congelate sulle guance e i muscoli non si flettevano nemmeno più in spasmi involontari.
/E' finita/, pensò. Anche se, a dire il vero, non sapeva nemmeno quando fosse iniziata.
L'ultimo ricordo a cui la sua mente risaliva era il calore di Crystal, il suo ardore, la sua passione, il suo tocco premuroso e intimo, /suo/, prerogativa che Aquarius avrebbe riconosciuto ovunque.
L'aveva sconvolto e straziato, come spesso era capitato quando erano entrambi in vita. Crystal era un'incognita, l'unica cosa che non era mai riuscito a dominare della sua esistenza.
E, proprio per questo, l'unica che contasse per davvero.
Detestava quella sua debolezza, quell'umanità che ritrovava solo per lui, solo a pensarlo. Lo fece sentire ancora più triste e terrorizzato. Alla base degli occhi iniziarono a pizzicare, calde, le lacrime, ma fu solo per pochi secondi. Il ghiaccio le immortalò sulla sua pelle, come un marchio indelebile.
"Crys...tal..."
Il cielo s'oscurò. Aquarius dovette sbattere le palpebre - riscoprendole rigide e incrostate - per capire che non si trattava di un fenomeno naturale. Sporta su di lui, c'era una sagoma incappucciata. Aveva allungato una mano sul suo corpo, forse per assicurarsi che fosse ancora vivo.
Diceva qualcosa, ma la voce arrivò attutita alle sue orecchie: l'udito era rimasto danneggiato a causa del fischio del vento e lo scricchiolare della neve che si sgretolava intorno a lui.
Gli occhi gli si chiusero da soli. Attraverso la fessura che si creò tra le palpebre intravide le sue ciglia spruzzate di nevischio.
Oltre ad esse, di fronte a lui, la figura umana si stava muovendo freneticamente. Aquarius si sentì sollevare e non ebbe la forza di opporre resistenza. Lo sconosciuto lo adagiò contro di sé e lo avvolse con il proprio mantello.
Finalmente poté sentire la sua voce: qualcosa gli suggeriva che non fosse la prima volta, che appartenesse a qualcuno che, una volta, aveva fatto parte della sua vita.
"Camus, amico mio, resisti. Adesso ti porto in salvo."
Ma Aquarius non ci riuscì. Avrebbe davvero voluto rendere partecipe l'uomo del suo sollievo, ringraziarlo, chiedergli se davvero era convinto che una persona che aveva trascorso un'intera giornata in mezzo alla neve potesse sopravvivere, ma non ne ebbe le forze.
Improvvisamente tutto divenne buio e le tenebre presero il sopravvento su di lui.




Questa volta a svegliarlo fu un gocciolio distante. Sentiva l'acqua come se gli fosse addosso, dentro. La percepiva su di sé, un antidoto a effetto lenitivo per il freddo, il ghiaccio e la sensazione della carne disossata che gli si strappava di dosso lentamente.
Aprì gli occhi di scatto e si sollevò a sedere. Ansimava, creando di fronte a sé nuvole di vapore condensato. Quando abbassò lo sguardo, ancora stordito, si rese conto di essere in una vasca da bagno, immerso nell'acqua fin sopra alla vita.
"Camus?" alle sue spalle qualcuno lo aveva chiamato, una nota di incredulità nella voce. Aquarius si voltò di colpo, muovendo l'acqua intorno a sé e facendola increspare - come il lago in risposta al lancio di un sassolino - in mille anelli.
Sulla soglia del bagno, con degli asciugamani in mano, c'era un uomo che dimostrava pressapoco la sua stessa età. Aveva un viso delicato, gli occhi di un rosa iridescente e i capelli arancioni che ricadevano morbidi sul collo. Aquarius non poteva credere ai suoi occhi.
"Surt." mormorò, con un filo di voce. L'uomo era già entrato nella stanza e stava avanzando verso di lui. Lasciò cadere in terra gli asciugamani e allungò le mani sul suo corpo, sulle sue spalle, senza però toccarlo davvero. Sembrava incerto nella sua stessa foga, le iridi rosate che tremolavano mosse dall'emozione. Aquarius si portò una mano sulla fronte. La frangia bagnata s'era appiccicata alla pelle e lui la scostò indietro come in automatico.
"Come... cosa..." si morse il labbro nervosamente, alla ricerca di una frase di cognizione logica da rivolgere all'uomo che, un tempo, era stato il suo migliore amico.
"Sei sveglio. Grazie al cielo, non ci speravo più... Ho fatto come mi è stato detto. Per noi Asgardiani il freddo non è niente, possiamo sopportarlo per settimane, mesi... eppure tu, Camus..."
Aquarius lanciò un'occhiata incolore a Surt, che aveva incominciato a parlare senza freni. C'era qualcosa di strano, in lui. Forse una rinnovata compostezza, una maturità che da ragazzino non possedeva. Come a reclamare il diritto di parola, decise di interromperlo sulla sua ultima affermazione.
"Eppure io cosa? Siamo cresciuti in Siberia, dovresti ricordarlo bene. So resistere al freddo, solo..." si interruppe, massaggiandosi un occhio col palmo della mano. "Solo non nell'istante in cui ritorno in vita all'improvviso, senza nemmeno essere stato avvertito."
L'uomo accanto a lui aveva smesso di parlare e lo aveva ascoltato. Quando Aquarius concluse la frase esibì un sorriso sghembo, dalla difficile interpretazione e poi si sporse su di lui. Gli scompigliò i capelli come avrebbe potuto fare con un bambino e finalmente Aquarius comprese la natura del suo gesto: compassione.
"Devi essere molto stanco, Camus. Hai ancora le idee confuse. Perché adesso non esci da qui e non ti fai accompagnare a letto? Io credo-"
"No!" Aquarius gli schiaffeggiò via la mano, facendolo indietreggiare. Sul volto di Surt passarono una serie di espressioni differenti in pochi secondi, fino a che non si fu stabilizzato in uno sguardo vagamente risentito.
"Deduco che tu non sia cambiato" disse, riavvicinandosi lentamente. Aquarius gli lanciò un'occhiata di fuoco, che tuttavia non lo fece desistere dal ridurre le distanze.
"Allontanati." ringhiò allora, improvvisamente infastidito.
"Ti ho salvato la vita."
Calò il silenzio. I due si fissarono per un tempo che ad Aquarius parve interminabile, con il gocciolio del rubinetto a intramezzare i secondi che trascorrevano.
Poi quest'ultimo si abbandonò con la schiena alla superficie fredda della vasca e sospirò.
"Credimi quando ti dico che fino a ieri ero morto."
Surt alzò gli occhi al cielo: "Va bene. Ma mi devi qualche spiegazione."
Aquarius puntò lo sguardo su di lui: si era inginocchiato accanto alla vasca, per riuscire a conversare senza doverlo guardare dall'alto verso il basso. Indossava una maglia nera che metteva in evidenza il fisico scolpito, indice di anni e anni di allenamenti instancabili e tediose sedute di meditazione.
Aquarius ancora ricordava il ragazzino che piangeva stringendo tra le braccia il corpo morente della sorella minore, proclamando che sarebbe diventato forte, abbastanza da poter salvare le persone che amava.
E lui, lui gli aveva fatto un giuramento altrettanto irrevocabile.
Surt sembrò leggergli nel pensiero, perché improvvisamente si fece serio.
"Va bene... va bene, Camus. Io non so perché tu sia qui, né come ci sia arrivato." lo fronteggiò con il suo sguardo serio e determinato: "Ma ho bisogno di te."
Aquarius chiuse gli occhi. Poteva percepire meglio le cose intorno a sé: l'acqua che andava raffreddandosi, la pelle bagnata, i capelli lunghi appiccicati alla schiena, l'odore forte del bagnoschiuma.
E, dentro di sé, l'eco indelebile delle sue stesse parole.
/Lo giuro, Surt. Lo giuro, non lascerò mai più che tu soffra. Darò la mia vita per salvare la tua, se mai sarà necessario./
Era giunto il momento del reclamo.
"Dimmi cosa devo fare" intimò, riaprendo gli occhi. Il vapore li appannò velocemente, annebbiandogli la vista, ma gli sembrò di intravedere ugualmente Surt che sorrideva soddisfatto.
"Yggdrasil." cominciò quest'ultimo, poggiandosi con i gomiti sul bordo della vasca. "L'albero della vita. Ad esso è concatenata l'esistenza del nostro signore, Sir Andreas. Vedi, sono diventato un God Warrior al servizio del sacerdote di Odino e insieme a lui sto cercando di garantire la pace ad Asgard. Con Andreas la città prolifera, i raccolti sono generosi. Esportiamo beni e incassiamo profitti, Camus: l'ultimo nostro ostacolo è il clima, che stiamo abbattendo grazie a queste immense risorse." la sua voce s'era alzata progressivamente, come infervorata. A giudicare dagli occhi brillanti di Surt, doveva essere proprio così.
"Vuoi che protegga questo Sir Andreas?" tirò a indovinare Camus, perplesso.
L'altro annuì lentamente: "Più o meno. Ha sette God Warriors schierati dalla sua parte, per non parlare dell'intera Asgard. Eppure credo... credo che la forza di un Cavaliere d'Oro messa a nostra disposizione sia un dono d'inestimabile valore. Specie considerando..."
"Specie considerando?"
"Non fa niente" lo stroncò Surt, forse un po' troppo fulmineamente. Camus si mosse nell'acqua, sentendo che la pelle cominciava a raggrinzirsi a causa del troppo tempo trascorso immerso.
"Proteggere Sir Andreas..." ripeté tra sé e sé, poco convinto. Alzò lo sguardo e vide che Surt si era già alzato e stava raccogliendo da terra gli asciugamani. "Tutto qui?"
L'uomo si voltò e gli rivolse un sorriso caldo, così insolito sul suo viso sempre rigido e spigoloso.
"Per ora è tutto quello che devi sapere."
Camus rifletté: era tornato in vita dal nulla, nella glaciale Asgard, senza ricevere alcun messaggio da parte di un Dio o di uno qualsiasi dei suoi compagni. Che fosse stato un privilegio riservato solo a lui? Se sì, perché? Per fare ammenda dei propri peccati, perché potesse mantenere un giuramento fatto in vita in modo che la sua anima potesse finalmente elevarsi al cielo, depurata?
Ne dubitava. Il castigo cui erano stati condannati i Cavalieri d'Oro s'era stabilito eterno. Non tanto per l'oscurità delle loro gesta, quanto più perché queste avevano messo in ombra gli Dei.
Tuttavia, non aveva alternative. La voce di Atena non gli giungeva più, il Cosmo sembrava come assopito. Era ora di risvegliarlo.
"Va bene, ci sto. Sono dall tua parte." disse quindi. Di nuovo il volto di Surt s'illuminò, trionfante.
"Grazie, Camus." rispose, senza smettere di sorridere.
Per qualche oscuro motivo, Aquarius si sentì come se avesse venduto la sua anima al diavolo.
Si risolse a pensare che fosse perché non era abituato a servire qualcuno che non fosse la sua Dea, ma non riuscì a scacciare il senso di disagio che si era impadronito di lui nemmeno quando Surt fu uscito dalla stanza, lasciandogli detto di rivestirsi e chiudendosi la porta alle spalle.



Surt poggiò le forbici sul piano di fronte a sé e rimirò il suo operato nello specchio. Aquarius aveva le dita in tensione, che scattavano in contrazioni per ogni ciocca che l'altro tagliava.
Ora che finalmente Surt s'era fermato, poteva tirare un sospiro di sollievo.
"Va bene così?" domandò lui. I loro riflessi nello specchio erano instabili a causa della candela sistemata lì vicino, che mandava bagliori tremuli.
La stanza era in penombra. Surt gli aveva concesso una vera e propria suite di lusso, di colore giallo sgargiante. Le enormi vetrate colorate delle finestre si affacciavano su Yggdrasil, l'albero della vita che ospitava le abitazioni dei sette God Warriors e infine, sulla cima, la reggia di Sir Andreas. La tecnologia, in quel posto, era ridotta al minimo indispensabile, per questo l'unica fonte di illuminazione disponibile erano fiaccole o candele.
Il letto era a baldacchino. Sui quattro lati erano raccolte tende di velluto rosso, mentre la seta e il cotone pregiati rivestivano interamente il materasso. Era più grande delle due piazze convenzionali e su esso erano sistemati una decina di cuscini imbottiti dall'aria altrettanto preziosa. Il mobilio era curato ed elegante: armadi e libreria in ebano lucido, una scrivania i cui pomelli del cassetto brillavano nel loro oro massiccio e una sedia imbottita dalle finiture intarsiate.
Inoltre, un armadio era già stato riempito di vestiti. Surt diceva di aver pressapoco la sua stessa taglia e che di conseguenza non gli sarebbe dispiaciuto rifornire l'amico di una parte del proprio guardaroba. Un'ospitalità simile, per quanto lui stesso fosse abituato a vivere negli agi, metteva Aquarius a disagio. Aveva appena finito di tagliarsi le unghie e rimuovere lo smalto, quando Surt gli era comparso alle spalle. "Sono danneggiati", aveva detto. E prima ancora che Aquarius potesse chiedergli a cosa si stesse riferendo aveva afferrato una ciocca dei suoi capelli bagnati, mostrandogliela. Il gelo aveva corroso le fibre, indebolendo il suo colore naturale e trasformando le punte in un groviglio intricato di nodi.
"Dovresti tagliarli."
In un primo momento Aquarius si era categoricamente rifiutato. I suoi capelli erano preziosi, un bene di inestimabile valore e motivo di vanto sin da quando era un ragazzino. Era stata però proprio quest'ultima considerazione a distoglierlo dalla sua ferma convinzione: non aveva più dodici anni. Avrebbe dovuto agire nell'efficienza, dal momento che da quel giorno in avanti la sua vita avrebbe significato protezione e lotta, senza alcuna contemplazione delle distrazioni o degli svaghi.
Quando aveva acconsentito a tagliarli, Surt s'era offerto di farlo per lui e Aquarius l'aveva lasciato fare.
L'amico s'era messo d'impegno. Non li aveva accorciati oltre le spalle e non aveva sussultato per ogni volta che l'altro trasaliva. Le sue mani ferme s'erano occupate di ogni ciocca con meticolosa maestria, tagliandole accuratamente e armoniosamente.
Aquarius scrutò la propria immagine riflessa nello specchio con una punta di imbarazzo, poi si azzardò ad allungare la mano sui capelli, ora notevolmente più corti.
"Sì, va bene" rispose finalmente. Inclinò il capo per rimirarsi meglio, ma poi si ricordò della presenza di Surt e si irrigidì di nuovo.
L'altro ridacchiò: "Oh, andiamo, tutte queste scenate per un taglio di capelli?"
Aquarius gli lanciò un'occhiata torva, che lo fece indietreggiare.
"Stai bene." si affrettò ad aggiungere, le mani alzate in segno di resa. "Stai... davvero bene."
"Voglio sperarlo." ribattè Aquarius, secco.
Un rumore lontano, come di una serratura che scattava, lo distolse dallo specchio.
Il sorriso di Surt si spense improvvisamente: i chiaroscuri della stanza delinearono gli spigoli del suo viso, facendolo sembrare più grande di quanto realmente fosse.
"Cosa c'è? Avevi visite?" chiese Aquarius, additando la porta.
Surt scosse il capo e sembrò riprendersi dal momentaneo stato di smarrimento.
"No, io..." il suo sguardo si fece serio. "Camus. C'è qualcuno che vorrebbe vederti."
Dal corridoio provenne un rumore di passi affrettati, che indusse Surt ad affacciarsi alla porta.
"Ho fatto più in fretta possibile" disse una voce affannata. Surt si scostò di lato, perché la sagoma che aveva parlato potesse uscire allo scoperto.
"Maestro..."
Aquarius sbarrò gli occhi, sconcertato.
Sulla soglia della stanza c'era Abadir.

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