— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 6: La strada impervia) —


Andromeda impugnò con maggior forza i manici della sedia a rotelle di Pegasus, spingendola tra la calca per farsi spazio. Di fronte a lui Sirio e Kiki si impegnavano a far spostare la gente, cercando di ribadire a gesti che stavano trasportando un infermo. Ikki camminava a qualche metro di distanza da loro, forse per non agglomerarsi al gruppo, mentre Crystal avanzava a rilento accanto a lui, una sciarpa intorno al collo e le mani infilate dentro le tasche.
L'aeroporto Internazionale di Atene era, come sempre, sovraffollato. C'erano stati così tante volte che Andromeda non se ne stupiva più. La gente andava e veniva, affrettata, in due flussi che puntavano in direzioni opposte. Non era facile rispettarli e spesso, come se fossero stati in autostrada, alcuni tizi praticavano un' inversione e si facevano largo a gomitate nella fila opposta a quella a loro destinata.
Fortunatamente non aveva ancora incontrato simili individui, quel giorno, anche se attraversare quella fiumana evitando gli ostacoli si stava rivelando una prova ugualmente difficoltosa.
Ciascuno di loro, sulle spalle, portava la propria armatura di bronzo. Kiki, che non ne aveva una, si occupava di trasportare i bagagli.
"Sicuro di farcela?" chiese nuovamente Andromeda. Non era certo di voler lasciare tutte le borse nelle mani del ragazzo: erano tante, e avevano l'aria di pesare parecchio. Quest'ultimo si voltò sorridente: "Ma certo, per chi mi hai preso? Non ho messo su questi muscoli per niente!". Alluse ai propri bicipiti gonfi con un'occhiata, facendogli poi l'occhiolino.
Andromeda arrossì debolmente, forse al ricordo di ciò che quelle braccia forti erano riuscite a fare quando il ragazzo aveva provato, con successo, a leggergli nella mente.
Kiki dovette accorgersene, perché cambiò subito espressione e si affrettò a voltarsi. Sirio lanciò un'occhiata enigmatica a entrambi, poi riprese a camminare guardando dritto davanti a sé.
"Certo che tuo fratello potrebbe anche aspettarci." biascicò Crystal, comparendo affannato al fianco di Andromeda. Lui si sforzò di sorridere: "Sai com'è fatto."
"Potrebbe iniziare a cambiare." tuonò il biondo seccamente.
Andromeda alzò le spalle: "Piacerebbe anche a me..." disse, guardando la schiena del fratello che si confondeva con altre sagome, di svariate altezze e fatture.
Si accorse che l'amico lo stava fissando, quindi s'affrettò ad aggiungere: "Che cambiasse, dico."
Crystal aprì la bocca, mimando un "ah" che però non pronunciò. Piuttosto serrò le labbra e guardò di fronte a sé.
"L'uscita." disse con un cenno del capo, inducendo Andromeda a voltarsi. La luce del debole sole invernale era abbastanza forte da illuminare il portone, da cui i raggi s'irradiavano come se si trattasse di un portale. Spinse la carrozzella con maggior brio e si accostò a Sirio e Kiki, che si erano già fermati. Ikki sostava a qualche passo da loro. Andromeda scosse la testa: quantomeno non era uscito senza nemmeno aspettarli.
Sentì che Crystal, al suo fianco, stava frugando al di sotto della sua giacca di pelle e vide gli altri fare lo stesso con le rispettive maglie. Si chinò su Pegasus e gli slacciò il giubbotto, tastandolo sul petto fino a trovare quello che cercava: un ciondolo d'argento, che il ragazzo portava appeso a una catenella. Lo estrasse, in modo da renderlo visibile e poi fece lo stesso con il proprio. Tutti e cinque ne avevano uno. Serviva a tenersi in contatto attraverso flebili scariche di Cosmo, oppure a fare quello che si stavano apprestando a compiere in quel momento: l'evocazione di un portale che li teletrasportasse direttamente sulla soglia del Grande Tempio. Una cosa del genere era possibile anche grazie al supporto di Kiki, che avrebbe contribuito alla transizione con la telecinesi. Era necessario essere all'aria aperta, perché funzionasse.
"Siamo tutti pronti?" domandò Kiki, i cui occhi rilucevano. Anche sotto l'illuminazione artificiale dell'aeroporto, le sue iridi avevano i riflessi dell'agata.
Si levò un mormorio comune, che indicò la risposta affermativa.
Uscirono dal posto seguendo la lenta processione di persone, raggrumate in una fila scomposta. Una volta fuori si accostarono all'enorme edificio, in un angolo ombroso. La zona era costeggiata da qualche alberello e da cestini della spazzatura apparentemente vuoti. L'asfalto del terreno era umido, ma non ghiacciato. Il sole continuava a riscaldare l'ambiente con la sua pallida lucentezza e il vento, che spirava di tanto in tanto, aveva un odore mediterraneo.
Andromeda non visitava la Grecia da almeno sei mesi. Crystal, invece, ci andava regolarmente quasi tutte le settimane. Il suo sguardo azzurro, che rifletteva il cielo ammantandosi di un grigio tenue, non sembrava affatto colpito dal paesaggio circostante.
Sirio sorrideva con una certa trepidazione, che Andromeda attribuì alla malinconia. Ikki si guardava intorno, ostentando il più completo disinteresse. Eppure, nel modo in cui piegava la bocca quando l'aria trasportava fino a loro l'aroma salino del mare, si leggeva una tenue nostalgia.
Andromeda si sporse su Pegasus. La testa ciondolava da un lato e lui provvedette a sollevargliela.
"Su, Pegasus." disse, dolcemente. Gli allacciò il giubbotto, premurandosi di tener fuori la collana.
"Siamo in Grecia, hai visto?"
Lo sguardo vacuo di Pegasus rimase fisso di fronte a sé. Andromeda si morse il labbro, ma cercò ugualmente di sorridere. Ciò che più di ogni altra cosa detestava, delle condizioni del ragazzo, era l'espressione triste. Aveva provato a distendergli la muscolatura, a forzare un sorriso con le dita, ma il tutto era risultato vano. Pegasus continuava a fissare un punto lontano, senza mai guardare per davvero, con la bocca incrinata in una smorfia di sofferenza.
Kiki lo distolse dai suoi pensieri prima che potesse sprofondarvi, come faceva con l'alienante senso di angoscia che lo prendeva quando rimaneva solo.
"Disponetevi a cerchio" ordinò, in un tono professionale. Sirio ridacchiò, e si mosse per soddisfare la sua richiesta. "Così?" chiese poi, facendo voltare il ragazzo. Lui e Crystal lo avevano già circondato. Ikki sbuffò, ma fece come gli era stato detto.
Kiki stava annuendo concitato: "Bene, bene... intorno a me." e fece un cenno ad Andromeda, che si affrettò ad accostare la sedia a rotelle di Pegasus e affiancarglisi.
Ora tutti insieme formavano un cerchio sgraziato, che circondava Kiki come una parete.
Il più piccolo non aveva più bisogno di dare direttive: ciascuno afferrò il proprio ciondolo, stringendolo nel pugno con quanta più intensità possedesse. Andromeda lo fece anche per Pegasus. Si abbassò ad afferrargli la mano, tenendogliela chiusa sul pendaglio. Aveva la pelle fredda, che non reagì minimamente al suo tocco.
"Molto bene, ora pensate intensamente al Grande Tempio." mormorò Kiki, che nel frattempo aveva chiuso gli occhi. Dalle mani congiunte prese a propagarsi una lieve luminosità, la stessa che un attimo dopo stava facendo brillare i loro ciondoli.
Andromeda cercò di ricordare l'ingresso del grande tempio nei dettagli: le rovine greche, le colonne marmoree, l'immensa scalinata, il terreno brullo, le piante rade... Anche lui, istintivamente, chiuse gli occhi. Si sentì improvvisamente come se lo stomaco venisse risucchiato e poi scosso all'interno del suo corpo, in un moto centrifugo che gli fece venire la nausea. La sensazione di essere strappato dalla realtà e gettato in un immenso, nonché sconfinato e profondo buco nero si impadronì di lui per un tempo che gli riuscì difficile calcolare.
Poi tutto si fermò. Sentì i propri piedi rinsaldarsi sul terreno, e barcollò leggermente quando le palpebre, come in risposta a un istinto automatico, gli si sollevarono. Spilli di luce lo trafissero attraverso le ciglia, oltre le quali riuscì a distinguere solo una massa informe e sfocata di paesaggio.
Intorno a lui sentiva dei movimenti. Si strofinò una mano sugli occhi, costringendosi così a mettere a fuoco il luogo in cui si trovava.
Di fronte a lui c'erano le rovine greche, così come le aveva ricordate. Il cielo grigio sembrava quasi più azzurro, lì, e il vento più caldo, l'odore più familiare. L'enorme meridiana svettava imponente oltre il primo tempio, lontano ma già visibile oltre la scalinata.
Kiki sembrava sul punto di iniziare a correre fino a coprire la distanza che lo separava dalla Casa dell'Ariete. Crystal, Sirio e Ikki si stavano ancora riprendendo dal trasporto travagliato.
Pegasus giaceva sulla sua carrozzella, sempre fedelmente affiancato ad Andromeda. Quest'ultimo, nel constatarlo, tirò un sospiro di sollievo. Solo ora si era reso conto che, privo di una mente senziente che ragionasse ed elaborasse per lui l'immagine della loro destinazione, Pegasus avrebbe potuto rischiare di rimanere all'aeroporto.
"Siamo arrivati." mormorò, accorgendosi solo allora di avere ancora la mano del ragazzo stretta nella propria.
Fece scivolare il ciondolo sul petto di Pegasus, costringendo le sue dita ad intersecarsi con le sue.
"Siamo al Grande Tempio."



Sirio fece scattare l'intricata serratura che sigillava i battenti del portone di fronte a sé, poi ricacciò il foglietto nella tasca dei pantaloni. Sopra erano indicate le istruzioni per accedervi, con la calligrafia incerta e in qualche modo antica di Libra.
Gliel'aveva fatto avere perché andasse a controllare per conto suo la Casa della Bilancia quando lui non poteva, e in quel momento si stava rivelando utile proprio a quello scopo.
Si voltò e lanciò un'occhiata furtiva a Crystal: "Bene, andiamo."
Grazie alla telecinesi di Kiki erano stati teletrasportati direttamente nel tempio desiderato, senza dover attraversare tutte le case. Il biondo non sembrava molto contento di dover accompagnare Sirio, ma gli era stato promesso che successivamente sarebbero andati a ispezionare la Casa dell'Acquario e ora si trascinava di malavoglia al suo fianco.
I postumi della febbre erano ancora lì, nel viso arrossato e gli occhi lucidi.
Sirio avrebbe voluto essergli utile, ma sapeva quanto fosse rischioso avvicinare il compagno in un momento di vulnerabilità; perciò si limitava a stargli accanto, nella sua silenziosa ma disponibile presenza.
La Casa della Bilancia appariva buia e spoglia. Era sempre stata imponente, larga e vasta nella sua base pentagonale. Aveva un design globale, che in una maniera tutta sua richiamava uno stile arcaico, ben assoggettabile alla personalità del suo maestro. Sulle colonne marmoree erano stati appuntati stendardi tradizionali, ispirati alla sua esperienza ai Cinque Picchi.
Le figure del Dragone, della Tigre, del Serpente e della Carpa si alternavano sugli arazzi, insieme a paesaggi rurali e immense distese d'acqua costeggiate da canneti di bambù.
A Sirio era da sempre parsa uno sprazzo incontaminato d'oriente, e l'aveva sempre trovata rilassante. Ora quel vuoto silenzioso lo metteva a disagio.
Mosse qualche passo all'interno del tempio, seguito immediatamente da Crystal. Le suole delle loro scarpe scaturivano un ticchettio echeggiante mentre avanzavano circospetti.
"Me la ricordo, questa Casa" disse Crystal, d'un tratto. La sua voce spezzò il silenzio come un pugno avrebbe potuto distruggere una lastra di vetro: colpendo e scatenando una pioggia di schegge. Sirio si stupì di quanto i rumori potessero disturbare, in un luogo muto e sacro come quello.
La sua mente disegnò di fronte a lui il ricordo della spessa prigione di ghiaccio dentro la quale Aquarius aveva rinchiuso il suo allievo. Ricordò l'armatura della Bilancia, le armi che aveva messo loro a disposizione per liberare Crystal; e infine ricordò se stesso, che distruggeva quell'ostacolo per trarre in salvo il compagno.
Naturalmente lui in quella casa vi aveva messo piede altre volte, ma per i suoi amici non era stato così. Poteva ben immaginare la sconfinata angoscia di Crystal.
"Ciascuno di noi ricorda le brutte esperienze vissute al Grande Tempio" ribatté, colpendogli la spalla amichevolmente. "Non pensarci."
Notò, nonostante la scarsa illuminazione, che il viso del ragazzo s'era fatto più rosso.
Aggrottò le sopracciglia: "Crystal, ti senti bene?"
Il biondo sembrò riscuotersi solo in quel momento, come se prima fosse stato immerso nei ricordi, a richiamare la scena a cui aveva fatto implicitamente riferimento in precedenza.
"Eh? Ah, certo." disse, tutto d'un fiato. Con immenso stupore di Sirio iniziò a camminare velocemente e a guardarsi intorno, inscenando interesse e concentrazione.
"Vediamo, dove potrebbe aver messo la sua armatura?"
Sirio scosse la testa perplesso e lo raggiunse. Avanzando nell'immenso salone distinse la porta della camera da letto e quella della cucina, costituite da separé giapponesi su cui erano dipinti rispettivamente fiori di loto e di ciliegio. Sorrise al ricordo delle notti trascorse sveglio a chiacchierare con Libra, alle mattinate dedicate alla cucina, materia nella quale nessuno dei due eccedeva particolarmente. Una volta, gli enormi vasi di camelie finte che stanziavano di fronte alle stanze avevano rischiato di prender fuoco. Il fumo aveva quasi invaso l'intero tempio. Successivamente, entrambi avevano deciso che improvvisarsi cuochi non faceva per loro e perciò avevano iniziato ad approfittare dell'ospitalità di Virgo o Milo, a seconda dei loro impegni.
Quando fu abbastanza vicino all'amico, lo afferrò per un polso.
"Crystal."
Il biondo - che stava ancora farneticando qualcosa sull'armatura della Bilancia - trasalì e si voltò di scatto. "Cosa- cosa c'è, Sirio?" domandò, bruscamente, strattonandogli la mano per fargli mollare la presa.
Sirio lo accontentò e Crystal barcollò all'indietro, colto alla sprovvista.
"Volevo solo che tu mi ascoltassi" rispose, facendo un cenno con la testa. Indicò una zona poco illuminata del salone, dove s'intravedevano uno sportello aperto e delle scale a pioli che scendevano nel buio. Crystal seguì il suo sguardo e arricciò il naso, ma Sirio non gli permise di parlare. "L'armatura. Se c'è, deve trovarsi lì dentro. E' lì che l'ho lasciata."
Indicò al compagno di seguirlo e si avviò nel punto additato. Quest'ultimo emise solo un verso di negazione, prima di fare ciò che gli era stato intimato.
Quell'angolo di tempio era austero, vi erano accantonati scatoloni contenenti beni personali che Libra aveva portato lì dai Cinque Picchi. La zona era sporca, e i granelli di polvere baluginavano nell'atmosfera. La luce filtrava da finestre alte, a grate, ma non arrivava veramente a loro, limitandosi piuttosto a disegnare figure geometriche sul pavimento.
"Dobbiamo scendere lì sotto?" chiese Crystal, tossendo. Sirio si voltò a guardarlo. I pallidi riflessi di raggi solari facevano risaltare il biondo dei suoi capelli. Non aveva una bella cera, ancora febbricitante e di cattivo umore.
"Se vuoi posso andare da solo." propose, ma il ragazzo lo stava già precedendo. "Non scherzare" disse, tirando un calcetto alla scala in legno per assicurarsi che fosse salda.
Si sporse a guardare in quello che, da quell'altezza, sembrava un vero e proprio baratro; poi con un'alzata di spalle si calò al suo interno. Sirio lo seguì meccanicamente, aggrappandosi alla scala scricchiolante e scendendo a tentoni nell'oscurità.
Un rumore secco gli fece intuire che Crystal avesse toccato terra. Sentì la sua mano che gli batteva sul fianco, come a indicargli la sua presenza.
"Qui sotto non si vede niente" commentò, mentre Sirio atterrava al suo fianco, in un ultimo balzo. Percepì i suoi movimenti accanto a lui, poi il suo respiro affannato. Stava per domandargli se i sintomi della febbre si fossero ripresentati, quando un bagliore azzurrino si accese al suo fianco, facendolo sussultare.
Strabuzzò gli occhi, per abituarsi alla fonte di luce in quell'oscurità latente: il Cosmo di Crystal dardeggiava in lui, come una fiamma che non poteva estinguersi, rifulgente d'energia.
Ecco a cosa era dovuto il suo sforzo.
Con un lungo sospiro, Sirio lo imitò. Si concentrò, chiudendo gli occhi ed evocò senza alcuna difficoltà il proprio Cosmo. La vista divenne nitida, allungando così anche il campo visivo. La percezione di tutti e cinque i sensi sembrava improvvisamente incrementata. Una sconcertante e fluida sensazione di vitalità si impadronì di lui, come ogni volta.
Dopo essersi lanciati un'occhiata complice, i due iniziarono a ispezionare la zona.
Era un ambiente angusto e stretto, sapeva di stantio e umidità. Probabilmente, se ci fosse stata a disposizione una fonte di illuminazione maggiore, avrebbero potuto intravedere accenni di muffa negli angoli dello stanzino. Il resto era un cumulo di macerie e scatoloni, stoffe sdrucite ammassate e lastre di polistirolo piene di ragnatele.
"Hai davvero nascosto le Vestigia della Bilancia in un posto come questo?" domandò Crystal, storcendo il naso. Il suo bel viso era distorto dalla smorfia di disgusto che stava esibendo.
Sirio alzò le spalle, senza smettere di guardarsi intorno: "Ho protetto questo luogo con il mio Cosmo. Avevo bisogno di una stanza piccola, perché non ho abbastanza energie per erigere una barriera intorno a qualcosa di più grande." spiegò, con estrema naturalezza.
"Eppure..." socchiuse gli occhi. Eppure non c'era la minima traccia dell'Armatura. Era uno scrigno d'oro, identico per fattura a quello che conteneva l'Armatura del Dragone. Sirio ricordava di averlo riposto meticolosamente in un angolo, quello più buio, e di averla nascosta sotto un drappo di velluto rosso sbiadito. La stoffa era lì, afflosciata a terra come esanime, ma non stava coprendo più niente.
"Allora, hai trovato qualcosa?"
Crystal gli arrivò alle spalle, facendolo sussultare. Sirio si voltò di scatto, il suo Cosmo dorato che si scontrava con quello azzurro tenue di Crystal.
"Credo sia scomparsa anche l'Armatura della Bilancia" rivelò e si fece da parte, per mostrare al compagno la zona in penombra.
Non sapeva cosa pensare. Aveva creduto sin dall'inizio alle parole di Kiki, ma non immaginava che il fenomeno avrebbe potuto ripetersi con le Armature di tutti i Cavalieri d'Oro.
Crystal avanzò nel buio, creando un alone di luce ovunque si spostasse. Gli spigoli degli scatoloni si accentuavano e ammorbidivano a ogni suo passo, a seconda dell'angolatura che faceva prendere al bagliore di Cosmo.
"Sei proprio sicuro che fosse qui?" chiese, quando ebbe raggiunto il drappo. Lo prese in mano, sollevando un'elevata quantità di polvere che lo fece tossire. Rigettò in terra la stoffa e si allontanò in tutta fretta, visibilmente contrariato.
"L'avevo nascosta proprio lì sotto" ribatté Sirio, senza dar particolarmente peso alla scena. Continuava a fissare il punto in cui l'Armatura avrebbe dovuto trovarsi, interrogandosi sulle sue sorti. Che fosse un messaggio? Eppure Atena non li aveva convocati, né avvertiti.
Si chiese se anche Andromeda e Ikki avessero riscontrato gli stessi risultati nella Casa della Vergine.
"Va bene, andiamo a controllare l'undicesima casa." propose Crystal, in quel tono che si imponeva a obbligo. Sirio rimase ancora qualche secondo a fissare la zona in penombra, che si disperdeva nell'oscurità mentre il compagno si riavvicinava a lui. I loro Cosmi emisero una scintilla tremolante, di nuovo, quando vennero in contatto. Questo lo ridestò del tutto.
"L'undicesima casa, giusto." acconsentì. Seguì Crystal, che si stava già aggrappando alla scala in tutta fretta. Di fronte a tanta impazienza gli venne da sorridere, e ringraziò che l'amico gli stesse dando le spalle. Non aveva voglia di aprire una discussione inutile sul perché si stesse prendendo gioco di lui. Per qualche motivo - e soprattutto in quegli ultimi tempi - il biondo tendeva a sentirsi preso in causa anche quando non c'entrava nulla. Si sentiva minacciato, perennemente sotto tiro e faceva pesare la sua stessa tensione agli altri.
Era un periodo difficile per tutti, con Pegasus in Coma e la morte dei Cavalieri d'Oro, per questo Sirio preferiva non fargliela pesare.
"Sai" iniziò Crystal, sedendosi improvvisamente sul bordo dello sportello e impedendo così a Sirio di uscire completamente dallo sgabuzzino. Rimase sospeso sulle scale, sporto in avanti, con Crystal che lo guardava illuminato dalla luce naturale del tempio.
"Il motivo per cui ricordo così bene questa casa, non è tanto perché il maestro mi ci ha imprigionato dentro" disse, con una smorfia rivolta probabilmente al ricordo che aveva di quell'esperienza.
Sirio rimase a fissarlo, in attesa che continuasse. Silenzioso e paziente.
"Ma, piuttosto... ciò che ha fatto Andromeda per me, quando tu mi hai liberato."
Un familiare rossore gli accese gli zigomi, costringendo il biondo a rivolgere il viso altrove. Anche così, di profilo, risultava evidentemente imbarazzato.
Sirio sorrise dolcemente.
"Andromeda è fatto così. Non vuole combattere né rischiare la vita, ma per noi farebbe entrambe le cose fino allo sfinimento, se fosse necessario."
Fece per avanzare, ma Crystal lo fermò con le ginocchia. Gli ingabbiò le spalle tra le gambe e rimase a fissarlo con un'aria di incerta superiorità.
Sirio inarcò un sopracciglio: "Credo /fermamente/ che la febbre si sia alzata" disse, notando che il rossore sul viso di Crystal non accennava a scemare. Ma l'altro non gli diede ascolto. Si sporse su di lui, furtivamente, come se temesse che qualcuno potesse sentirli e sussurrò: "Tu... lo sai che cosa ha fatto per scongelarmi?"
Sirio avrebbe tanto voluto saperlo, ma in quello stesso istante i ciondoli che portavano al collo iniziarono a pulsare con una frequenza che assomigliava al palpitare cardiaco.
Crystal afferrò il proprio, evidentemente perplesso. Sirio lo spinse bruscamente indietro e risalì le scale, senza nemmeno aspettare che l'altro si rimettesse in piedi.
"Ikki e Andromeda!" urlò, muovendosi velocemente verso la soglia del tempio. "Devono aver scoperto qualcosa alla Casa della Vergine".




Le ante dell'armadio si richiusero con un colpo secco, che fece sobbalzare Andromeda. Ikki sbuffò spazientito e si avvicinò alla cassettiera.
"Non credo che questa possa contenere un'armatura" commentò debolmente il fratello, accostandosi a lui. Il più grande gli rivolse un'occhiata di fuoco, ma poi sembrò desistere dai suoi intenti. Con un sospiro rumoroso indietreggiò di qualche passo e si lasciò cadere sul letto.
"Allora non so più dove cercare." ribattè.
Si trovavano nella casa del Leone, la quinta delle dodici che componevano il Grande Tempio. Nonostante la maestosità del nome e del segno, era un ambiente modesto. Le tipiche colonne greche erano rimaste intoccate: molti Cavalieri le avevano personalizzate secondo i rispettivi gusti, richiedendole addirittura in colori e materiali differenti. Quelle invece rimanevano rilucenti nel loro marmo pregiato. Era una costruzione ampia, che lasciava entrare molta luce dai rosoni situati in alto sulle pareti. Il pavimento era costituito da onice iridescente e ricoperto da tappeti siriani dalle molteplici fantasie arabescate. Aveva un tono sacrale, che richiamava un luogo di culto, una Cattedrale devota al suo particolare Dio.
La camera da letto, invece, era in tutto e per tutto quella di un comune essere umano. Le pareti erano bianche, ma costeggiate di quadri e fotografie. Ioria da giovane, Micene che abbracciava Kanon e Saga, Ioria e Milo che sorridevano imbarazzati all'obiettivo della fotocamera. Andromeda si era incantato di fronte a quelli stralci di vita strappati così rudemente al Cavaliere, un uomo che non conosceva bene ma che aveva, tuttavia, versato più volte il suo sangue per assicurarsi la sua salvezza.
Quella avrebbe dovuto essere l'ultima stanza da ispezionare, ma a quanto pare la ricerca era già terminata.
Oltre all'armadio e alla cassettiera in legno grezzo, infatti, della camera non rimaneva che il letto; putroppo anch'esso spoglio e privo di luoghi cavi in cui introdurre lo scrigno dell'armatura.
"Significa che anche le Vestigia del Leone sono scomparse" stabilì, andando a sedersi accanto al fratello. Contro ogni sua aspettativa questo non si fece da parte, ma anzi si voltò a guardarlo.
"Contatta Crystal e Sirio, allora. Dì loro che è inutile far tappa anche alla Casa dell'Aquario."
Andromeda fu tentato di obbedire a comando, ma poi, proprio mentre afferrava la catenella che aveva al collo, si fermò. Visitare quella Casa aveva per Crystal un significato che trascendeva di gran lunga l'obiettivo principale della loro spedizione. Forse era giusto lasciare che andasse a vedere il luogo in cui era cresciuto senza che nessuno provasse a impedirglielo.
"Credo sia meglio che facciano un tentativo" spiegò, rispondendo all'occhiata inquisitrice del fratello. Quest'ultima divenne interrogativa, ma poi Ikki poi scostò lo sguardo. Evidentemente aveva deciso che non gli interessava.
"Va bene allora, ma noi torniamo indietro. Si sta facendo tardi e dobbiamo decidere dove stabilirci per la notte." disse, alzandosi in piedi. Attraverso la maglia aderente, i muscoli della schiena si tesero, creando un intrico di forme accattivanti. Andromeda deglutì e si affrettò a seguirlo fuori dalla stanza.
Camminarono in silenzio per un po', Ikki di qualche passo più avanti rispetto al fratello.
Più volte quest'ultimo aveva provato a introdurre una conversazione, ma senza alcun successo. Far breccia nell'impenetrabile maschera d'odio del più grande stava incominciando a rivelarsi impossibile.
"Uh, ehm... posso farti una domanda?" provò di nuovo, accelerando per riuscire ad accostarsi a lui. Ikki non rispose, né si voltò a guardarlo.
Andromeda prese il suo silenzio come un assenso.
"Perché hai acconsentito a visitare le Case con me? Pensavo che... insomma, avresti potuto farlo da solo."
Questa volta un guizzo attraversò la rigida maschera di severità che era il volto del fratello; fu solo per poco, ma accese in Andromeda un barlume di speranza.
"Non mi fidavo dei tuoi metodi di ispezione. Magari non avresti cercato bene." rispose, con durezza. Poi, come per rimarcare il distacco, aumentò il passo. Andromeda aggrottò le sopracciglia e gli si incamminò dietro: "E' ora che inizi a vedermi come un uomo, se vuoi che mi comporti da tale".
"Ah sì, e da quando la pensi in questo modo?" Ikki si fermò di colpo e il fratello gli andò a sbattere contro. Quando sollevò lo sguardo, il primo lo stava soppesando da sopra la spalla.
"Non ti sei mai considerato tale" aggiunse, freddo. "Mai un uomo, mai un guerriero. Non cercare di ingannarmi raccontandomi stronzate sulla tua volontà di prendere in mano la tua vita una volta per tutte."
Quando ebbe finito di parlare se lo scrollò di dosso con una spallata e riprese a camminare. Andromeda barcollò pericolosamente, ma riuscì a rimanere saldo sulle sue gambe.
/Di nuovo./ Ikki si stava allontanando di nuovo, dopo averlo ferito e denigrato. Era stanco di vedere le sue spalle, la sua schiena distanziarsi progressivamente da lui. Per ogni passo che il fratello muoveva lontano il suo cuore palpitava nel petto, furioso, come senziente e vulnerabile.
E mai all'unisono con quello di Ikki.
"Fratellone."
L'altro non smise di camminare, ma trasalì nel sentire la voce furiosa e disperata di Andromeda che lo invocava con tanto trasporto. Andromeda stesso si stupì di esser risultato così scosso, nella sua salda determinazione. "Fratellone" ripetè di nuovo, ammorbidendosi nella sua fermezza. Il Cosmo gli ardeva dentro, insieme al calore ustionante delle lacrime alla base della gola, e al bruciare intenso dello stomaco, là dove si era stretto in un nodo.
Faceva male. Per ogni volta, per ogni sinonimo dispregiativo che Ikki riusciva a trovare, per ogni insulto ripetuto all'infinito in modi differenti. Era così doloroso, una ferita mai rimarginata che Ikki, tagliente, riapriva sempre senza il minimo riguardo.
Il fratello, questa volta, si voltò. E non appena lo fece la Catena di Andromeda gli sfrecciò accanto.
Andromeda perse l'equilibrio e cadde in terra, debole in confronto alla forza che l'arma esercitava. Ikki sbarrò gli occhi e gli lanciò un'occhiata furiosa, prima di accorgersi che la causa dell'attacco non risiedeva nel fratello. Lo scrigno che portava sulle spalle s'era spalancato, lasciando che la Catena ne uscisse. Ora puntava verso la porta della Quinta Casa, con una trazione tale da trascinare il corpo di Andromeda sul pavimento.
Ikki corse verso di lui e lo afferrò per le spalle. "Che diavolo fa? E' impazzita?"
"Un... nemico..." ringhiò Andromeda, tenendosi saldamente alla Catena. Guardava dritto di fronte a sé, nella direzione indicata dall'oggetto tremolante. Gli sfrigolava tra i palmi con un'intensità tale che gli fece credere che di lì a poco avrebbe iniziato a schizzare scintille.
Ikki allungò una mano sulla Catena, ma Andromeda lo allontanò con un colpo di spalle.
"Non toccarla!" urlò allarmato. "Potrebbe incenerirti se solo-"
"Ahh, sciocchezze!"
Ikki si avvicinò, ignorando le sue proteste e fermò l'arma con entrambe le mani. Avrebbe dovuto saltare via a causa della scossa, i volt della corrente ancora in circolo nel suo corpo, eppure la Catena si afflosciò nella presa salda prima ancora che Andromeda potesse urlare.
Ikki la lasciò cadere, facendole scaturire un tintinnio metallico quando toccò il pavimento. Andromeda era senza fiato: la lotta con l'oggetto l'aveva stremato, il gesto del fratello terrorizzato.
Ancora ansimante, si slanciò verso di lui: "Ti avevo detto di non toccarla!"
Ikki non gli diede retta e lo afferrò per i polsi, facendolo sobbalzare. Andromeda gli riservò un'occhiata sconvolta, ma lui lo zittì con un gesto brusco.
"Ti sei fatto male?"
Il tono era duro, ma nella sua voce c'era ugualmente della preoccupazione. Le sue dita indugiarono sulla pelle tesa del fratello, poi scivolarono sulle sue mani.
Andromeda si rese conto solo in quell'istante di quanto fossero grandi quelle di Ikki a confronto con le proprie, ora segnate e rese ruvide dall'impatto con la Catena.
Sollevò lo sguardo e vide che il più grande era concentrato sulle ferite, con quell'espressione corrucciata che Andromeda trovava meravigliosa. La bocca era piegata in una smorfia rigida, le sopracciglia aggrottate e la mandibola serrata. Avrebbe voluto prendergli il viso tra le mani e stringerselo al petto, ma lui lo stava tenendo saldamente e non avrebbe potuto divincolarsi così facilmente dalla sua presa. "Solo un po'..." mormorò. Si rese conto che si stava di nuovo affidando a lui, perché si occupasse di una ferita da niente. Forse Ikki aveva ragione: non era mai stato un guerriero, né avrebbe voluto esserlo per davvero.
Eppure...
Eppure in momenti simili andava bene così. I polpastrelli di Ikki tastavano impacciati le sue mani arrossate e lui fremeva ad ogni tocco: era come se da essi scaturissero scintille, scoppiettii sottopelle che lo riempivano di brividi.
Ikki improvvisamente mollò la presa e indietreggiò, lasciando Andromeda con le mani sollevate a mezz'aria, come in attesa. Il fratello non lo notò neppure.
Gli fece invece un cenno svogliato con la testa, indicando il portone: "Le catene" iniziò, prima di guardarlo negli occhi "Non stavano captando un segnale nemico. Volevano avvertirti, sì, ma non di un pericolo imminente. Credo piuttosto che intendessero spronarti a seguire il loro suggerimento. Oltre la Quinta Casa..."
"La Nona Casa." lo interruppe Andromeda, illuminandosi. C'era qualcosa, un sentore che pizzicava i recessi della sua memoria, che lo induceva a parlare con certezza.
"Quando io, Sirio, Pegasus e Crystal abbiamo attraversato la Nona Casa non abbiamo affrontato alcun Cavaliere. Solo... prove. Messaggi. Sotterfugi. Io credo che il segnale, qualunque esso sia, provenga da lì."
Fronteggiò Ikki con sguardo sicuro, e fu certo della sua riuscita quando il fratello si voltò dall'altra parte.
"Forse è meglio contattare Kiki" commentò. Andromeda annuì e si alzò, incominciando a rimettere a posto la Catena. Ikki lo imitò e si allontanò per recuperare la sua armatura, che giaceva nel suo scrigno accanto a una colonna.
Quando si voltò a guardare il fratello, aveva di nuovo quell'aria severa e distaccata che lo caratterizzava.
"Credo di aver trovato il posto in cui passeremo la notte."

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