— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 4: L'ora di andare) —


Quando Ikki varcò la soglia di casa, si ritrovò di fronte a una scena del tutto singolare.
Pegasus, immobile, sedeva sul divano con la testa poggiata tra i cuscini. Di fronte a lui, un ragazzo che aveva tutta l'aria di essere Kiki, gli parlava dolcemente. Crystal se ne stava seduto sulla poltrona, avvolto fino al collo da una sostanziosa coperta di lana e accanto a lui Sirio gli stava mormorando qualcosa. Dalla cucina proveniva, oltre che lo sfrigolare dei fornelli, una voce melodiosa che intonava un motivetto altrettanto allegro. Ikki non faticò a identificarlo come suo fratello, specie perché era l'unico che mancava a completare quel fastidioso quadro familiare.
Chiuse la porta, e quel rumore bastò a catalizzare ogni attenzione su di sé.
"D'accordo..." commentò, senza nemmeno salutare. Si sfilò di dosso la felpa, appendendola all'attaccapanni lì vicino e poi avanzò nella stanza.
"Spiegatemi cosa sta succedendo."
Il primo a parlare fu Kiki. Si alzò in piedi, visibilmente irrigidito.
"'Sera, Ikki." lo salutò.
Accennò poi un mezzo inchino, che divertì Crystal. "Non è un'autorità" lo rimbrottò: "non c'è bisogno di essere così formali."
"Ah sì, Crystal?" lo incalzò Ikki. Quando vide l'espressione dell'altro allarmarsi, si affrettò a sorridere debolmente.
Questo sembrò rassicurare il biondo, anche se scostò ugualmente lo sguardo.
Ikki sospirò, poi tornò a concentrarsi sul ragazzo che gli aveva rivolto il suo saluto. "Kiki." decretò, una constatazione venata di stupore.
"A cosa dobbiamo la tua visita?"
Il ragazzo dondolò da un piede all'altro prima di rispondere. Era cresciuto parecchio, notò Ikki. Ora era abbastanza alto da poter tener testa ad Andromeda, più grande di lui di appena un anno.
I capelli un tempo corti mantenevano il taglio originale, allungandosi però dietro la schiena. Il più piccolo li portava legati, probabilmente per onorare il gesto abitudinario di Mur.
L'espressione era la stessa di sempre, allegra e ribelle. C'era qualcosa, però, che gli oscurava i tratti. Un'ombra che accentuava i solchi sotto gli occhi, marcando gli zigomi più sporgenti, segno che non mangiava come avrebbe dovuto. Gli ricordò Andromeda: corroso dal dolore, ma ancora in grado di fingere che andasse tutto bene.
"E' una storia lunga... volevo anche farvi visita, certo!" si affrettò a sviare Kiki, muovendo le mani freneticamente. Ikki sbuffò, stanco.
"Ma certo, una storia lunga. La ascolterò volentieri a cena, d'accordo?" ribattè, passandogli accanto. Sirio, che fino a quel momento era stato in silenzio, lo fermò prima che potesse andarsene dal salotto: "Della storia lunga" disse, a bassa voce, per non destare l'attenzione altrui.
"Dovremo discuterne a lungo."
Ikki inarcò le sopracciglia. Aveva avuto l'impressione che ci fosse sotto qualcosa di più grande da quando aveva messo piede in casa, ma non aveva alcuna voglia di assecondarne il flusso.
"Non è una notizia promettente." rispose. Poi si lasciò il ragazzo alle spalle, per dirigersi in cucina.
Era una stanzetta piccola, essenziale. Il tavolo ne occupava una buona parte, mentre sull'altro lato era sistemato il piano da cottura. Andromeda stanziava di fronte a esso, i capelli parzialmente raccolti e un grembiule rosa pieno di merletti indosso.
Aveva smesso di cantare, segno che si era accorto della sua presenza. Accennò un sorriso, dal quale trapelavano tutti i suoi sforzi di apparire disinvolto.
"Fratellone" lo salutò, senza alzare lo sguardo dalla padella. La mano che stringeva il manico sembrava salda, ma Ikki giurò che non lo fosse sul serio.
"Andromeda."
Si avvicinò a lui e sbirciò i fornelli: stava preparando un'abbondante porzione di frittata.
"Che diavolo ci fa Kiki qui? Credevo fosse in Grecia." aggiunse, dopo una lunga pausa di silenzio.
Il più piccolo fece saltare il contenuto della padella, con una maestria acquisita dall'esperienza. Era concentrato su ciò che stava facendo e gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
"Non te l'ha detto?" chiese, la voce appena affaticata per lo sforzo.
Ikki scostò una sedia dal tavolo e si sedette. "Ha solo spiegato che è una storia lunga."
"Allora te la racconterà più tardi, no?" sopraggiunse il fratellino. Avere Ikki alle spalle doveva metterlo in agitazione: la sua schiena era rigida per la tensione, e attraverso la canotta che indossava sotto al grembiule si intravedeva la muscolatura contratta.
Ikki fece una smorfia: "Speravo che me ne parlassi tu." confessò.
Andromeda a quel punto si voltò. Aveva la padella in mano, ancora scoppiettante. I fornelli dietro di lui erano spenti.
"Non voglio litigare di nuovo con te." proferì, con un'espressione seria. I suoi occhi verdi sembravano più grandi e vacui, quando erano velati di tristezza.
"E' una questione per cui dovremmo litigare?" si informò Ikki, crucciato. Nemmeno lui aveva alcuna voglia di discutere con suo fratello. Avrebbero finito per ripetersi a rotazione gli stessi argomenti già affrontati e già sentiti. Entrambi non riuscivano a comunicare in altro modo.
Ikki non voleva ferirlo, ma sembrava più forte di lui. In quel momento della sua vita non sapeva cos'altro fare. Se una parte di sé avrebbe solo voluto prendere in mano la situazione, l'altra osservava passiva le azioni altrui, giudicandole, sprezzandole e colmandosi di collera per l'ingenuità dei suoi compagni. Eppure, non alzava un dito per aiutarli.
Cosa lo tratteneva dal farlo?
Andromeda gli riempì il piatto con la sua razione, poi si scostò. "Sì." decretò, sforzandosi di sorridere. Ciò che gli uscì fu un'espressione amara.
Ikki fece per ribattere, ma il fratello si era già allontanato. Sentì che, dalla soglia della cucina, stava invitando gli altri a venire a tavola.
Afferrò distrattamente la forchetta e se la rigirò tra le mani.



"Assolutamente no." Ikki aveva le braccia incrociate e l'espressione severa. Andromeda, per esperienza, sapeva che stava per trasformarsi in uno sguardo di fuoco.
Crystal lasciò cadere le posate nel piatto, con una violenza studiata. "Ecco, ci risiamo." commentò acido. Non si era ancora ripreso dalla febbre, dunque aveva il viso acceso e l'espressione stanca. La coperta che prima portava sulle spalle era scivolata sulla sedia. Ora un lembo toccava terra.
"Ci risiamo?" gli fece eco l'altro, riducendo gli occhi a due fessure. "Senti, forse i tuoi folli istinti masochisti continuano ad ancorarti al ricordo del tuo stupido maestro, ma io non ho intenzione di arrivare a tanto per qualcosa che non mi verrà mai retribuito."
Crystal sussultò, ma la sua espressione rimase dura. I suoi occhi di ghiaccio sembravano in grado di congelare per davvero.
"Rimangiatelo." ordinò, imperativo.
Ikki ridacchiò sarcastico.
"Quale parte?"
"Tutte".
Andromeda lanciò un'occhiata a Sirio, che a sua volta lo stava già guardando. Kiki si mosse a disagio, senza dire nulla.
"D'accordo, credo..." s'intromise Sirio, dando uno strattone alla sedia mentre si alzava da tavola "Credo che dovremmo discuterne con calma. Ikki, niente provocazioni. E tu, Crystal..."
Il biondo lo fulminò con lo sguardo, ma il più grande non sembrò curarsene.
"Cerca di non essere così aggressivo."
Ikki aveva già smesso di ascoltarlo. Si era abbandonato sullo schienale della sedia, scuotendo la testa con dissenso.
"E' assurdo." commentò.
Kiki finalmente intervenne: "Non vi sto obbligando a farlo... potete anche non accompagnarmi." disse, cercando appoggio in Andromeda. Questo fece per rispondergli, ma Crystal fu più veloce.
"Io vengo. Gli altri possono pure fare quello che vogliono."
"Crystal." tuonò Sirio. Il biondo gli riservò la stessa occhiata di ghiaccio che aveva rivolto in precedenza a Ikki.
"No. Non decidere per me. Se tu preferisci restare qui a divertirti con quel... cadavere, allora fallo."
Istintivamente, Andromeda strinse il corpo esanime di Pegasus, sistemato sulla sedia accanto a lui. Quella parola, cadavere, l'aveva penetrato come un ago. Si morse il labbro, e le sue mani rinsaldarono la presa sulle spalle del ragazzo.
"Pegasus non è un cadavere" sibilò, con un tono tagliente.
"Ma lo diventerà presto, se decidi di portarlo a fare una gitarella al Grande Tempio" stabilì Ikki con un'alzata di spalle, come se avesse appena sottolineato un'ovvietà.
Le dita salde di Andromeda vacillarono.
"Adesso basta." intervenne Sirio, ad alta voce. Tutti gli sguardi si posarono su di lui, come se precedentemente si fossero dimenticati della sua presenza.
Lui non se ne curò e continuò a parlare: "E' una decisione che dovremmo prendere insieme. Questo gruppo si sta sfaldando, ve ne rendete conto? Non possiamo permettere che Crystal vada da solo, ma non possiamo neanche rifiutare l'ipotesi a priori. E poi, Kiki è un amico." si voltò a guardare il ragazzo, che sedeva a capo tavola, lo sguardo basso. Quando si sentì chiamato in causa sollevò la testa per incontrare gli occhi castani di Sirio, puntati su di lui.
Andromeda annuì debolmente: "Sono d'accordo con Sirio. Io andrei."
"E Pegasus?" lo incalzò Ikki. Non sembrava una provocazione, questa volta. Solo un'ovvia curiosità.
Andromeda sospirò. Stringeva ancora Pegasus tra le braccia, chino sulla sua figura immobile. Poteva sentire il suo profumo, insolito su di lui, che non amava lavarsi. Ora sapeva di sapone, di bucato, di uomo. Era un odore che sin da piccolo aveva attribuito solo e soltanto a Pegasus.
"Se rimarrai, potresti occupartene tu..." tentò, senza nutrire alcuna speranza nel risultato.
Era abituato a muoversi senza suo fratello, che prediligeva la solitudine alla collaborazione, ma sapeva che non si sarebbe mai e poi mai preso cura di Pegasus, che considerava già spacciato.
Ikki infatti lo guardò come se avesse di fronte un alieno. "Stai scherzando?" chiese, acido.
Andromeda sostenne il suo sguardo: "Era una proposta".
Sirio si schiarì la voce, e questo lo distolse dal suo proposito di tener testa al fratello.
La situazione era di nuovo a un punto morto.
"Sentite, chi vuole venire?" insisté il ragazzo dai capelli lunghi, sporgendosi sul tavolo e includendo tutti i presenti, con un'occhiata, nel quesito appena posto.
Andromeda alzò una mano, poco convinto. Crystal invece non aveva avuto esitazioni. Lo fronteggiava, determinato, con il braccio sollevato.
Kiki rimase fermo, dandosi già per scontato e Ikki non si mosse. Le braccia incrociate sul petto, osservava la scena con un'espressione indecifrabile.
A quel punto, Sirio alzò gli occhi al cielo: "Proprio non ti importa di Virgo? Ha fatto tanto per te, per noi. Tutti i Cavalieri d'Oro si sono sacrificati per permetterci di oltrepassare il Muro del Pianto. Non pensi di doverglielo? Qualcosa che... che doni loro la pace eterna?" sull'ultima frase, la sua voce s'era incrinata. Per quanto si dimostrasse forte, anche Sirio soffriva di quella situazione. Aveva perso il suo maestro, ne aveva pianto la morte e aveva guardato i suoi occhi d'ambra quando s'era trasformato in una statua, senza osare toccarlo per paura che gli si sgretolasse tra le mani. Poteva fingere di stare bene quanto voleva, ma non avrebbe mai convinto Andromeda.
Nonostante ciò, gli era grato. Anzi, lo era proprio per quello. Ammirava la sua forza, il come fosse in grado di prendere in mano ogni situazione e volgerla a suo favore.
Il suo discorso sembrava aver smosso Kiki e Crystal, che tenevano gli sguardi rivolti verso il basso, l'espressione rabbuiata.
Anche Andromeda sentiva un groppo alla gola, ma si sforzò di non darlo a vedere. Ikki si portò una mano sul viso, afferrando con le dita la frangia scompigliata che gli ricadeva sulla fronte.
"Come puoi essere certo che sia accaduto lo stesso alle loro armature? Tu eri custode delle vestigia dell'Ariete, può darsi che non abbia fatto bene il tuo lavoro." disse, rivolgendosi a Kiki.
Questo si riscosse immediatamente e sollevò la testa. "Non sono il massimo, Mur doveva insegnarmi ancora molte cose." rispose fievolmente.
"Ma sono forte. La barriera che avevo posto sulla sua armatura lo era altrettanto. Ho davvero l'impressione che sia scomparsa per una volontà superiore, che non ha nulla a che vedere con un presumibile furto o qualcosa del genere." spiegò, con la stessa convinzione con cui aveva parlato loro quel pomeriggio. I suoi occhi viola ardevano della medesima intensità di quando aveva penetrato la mente di Andromeda. Al ricordo di quell'esperienza, provò un brivido lungo la spina dorsale.
Ikki si abbandonò di nuovo allo schienale della sedia. Sembrava stanco, spossato e stremato da quella conversazione, come se gli avesse estirpato ogni fonte di energia.
Forse, però, la stanchezza era dovuta anche ad altro. A giudicare dai pantaloni della tuta e dai polsini che aveva ancora indosso, doveva aver speso il resto del pomeriggio ad allenarsi.
"Va bene." acconsentì, sotto uno sguardo incredulo di Crystal e l'espressione confusa di Kiki.
"Ma solo perché qui non ho di meglio da fare."
Sirio tirò un lungo sospiro di sollievo, che gli distese i tratti irrigiditi del viso mentre Andromeda batteva le palpebre, restio a credere a ciò che aveva sentito dire dal fratello.
"Vuoi dire che... vieni con noi?" chiese, scettico, come per ottenere una conferma.
Ikki lo guardò, senza astio o irritazione. Neutro.
"Sì, vengo con voi. Andremo tutti, anche lui" indicò Pegasus svogliatamente. Tutti i presenti si voltarono a guardarlo, seduto scomposto sulla sua sedia, il corpo pendente da un lato dove Andromeda lo stava sostenendo.
Sirio sembrava sul punto di protestare, ma Andromeda fu più veloce: "Non avevi detto che si sarebbe ridotto a un cadavere, se l'avessimo portato con noi?"
Sentì il peso del suo corpo contro la spalla. Lo cinse con più determinazione e lo tirò meglio a sedere.
Ikki alzò le spalle: "E cosa credi che diventerebbe se dovesse restare qui da solo per giorni?" ribattè, accennando addirittura un sorriso. Certo, si rivelò essere sarcastico, ma era pur sempre qualcosa.
Nessuno osò ribattere. Sembravano tutti immersi nella loro personale contemplazione della circostanza, sospesi nell'indecisione e nel dubbio.
Andromeda guardò Pegasus. Ricordò quando, da piccoli, il ragazzo si prendeva cura di lui. Quando cadeva e si sbucciava le ginocchia lo portava in infermeria, percorrendo tutto l'orfanotrofio col più piccolo sulle spalle. Era un'abitudine che nemmeno il tempo aveva potuto scalfire: al Grande Tempio, facendosi carico della sua vita, Pegasus lo aveva scortato allo stesso modo di casa in casa, per non lasciarlo indietro.
Il ricordo della sua gentilezza, della sua schiena calda, delle sue mani grandi e salde che lo sostenevano lo riscaldò nel profondo.
Accarezzò dolcemente i suoi capelli, intersecandovi le dita.
Poi tornò a fronteggiare i suoi compagni, con una nuova determinazione: "D'accordo, Pegasus verrà con noi." proclamò deciso.
"E sarò io a prendermi cura di lui."

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