— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 3: Festa Grande) —


Le strade di Asgard erano gremite di gente. La neve si addossava ai bordi di esse, lasciando così libero il passaggio. Di tanto in tanto qualche corteo si faceva largo tra i passanti, scortando una carrozza trainata da uno, o più cavalli.
Sembrava di essere retrocessi al medioevo: non c'era traccia della minima fonte di tecnologia. Un po' come il Grande Tempio, quel luogo rimaneva intatto, forte delle proprie tradizioni, puro e consacrato.
Anche gli abiti seguivano lo stesso registro: le donne indossavano lunghe gonne che arrivavano loro sino ai piedi, di solito adornate da grembiuli dalle differenti fantasie. Le maglie di lana erano sovrastate da scialli di diversi colori e i capelli venivano raccolti o lasciati sciolti sotto dei fermagli intarsiati.
Gli uomini indossavano tutti la giacca, delle cinture piuttosto robuste a sostenere i pantaloni stretti e scarpe in cuoio o pelle, a seconda della ricchezza del loro proprietario.
Ioria non faceva eccezione, anche se al posto della giacca portava un maglione largo, che teneva già abbastanza caldo senza che ci fosse bisogno di mettersi addosso altro.
Quel genere di abbigliamento gli ricordava suo fratello Micene, che era un fanatico di quello stile fuori moda e decisamente disturbante.
"Allora, come ti senti?" Lyfia gli camminava accanto, allacciata al suo braccio. Diceva che era per sostenerlo, ma in mezzo a quel subbuglio sembrava che fosse lei a necessitare di un sostegno, esile com'era.
"Tutto a posto, grazie." ribatté Ioria.
Mur lo precedeva di poco, facilmente distinguibile tra la folla per i capelli lunghi e a causa dell'immensa forza che emanava il suo Cosmo. Anche se aveva deciso di accettare la sua percezione, la sua attrazione nei confronti di esso, Ioria ancora faticava a disfarsi delle sensazioni che gli trasmetteva. Un Cosmo così vivo, così intenso da sembrargli moltiplicato.
Scosse la testa, come per scacciare il senso di assuefazione.
"Sicuro che vada tutto bene?" insisté Lyfia. Ioria abbassò lo sguardo e la ritrovò sporta su di lui, i grandi occhi colmi di preoccupazione.
Si scostò immediatamente, facendola sussultare.
"Certo, ho detto di sì." rispose poi, continuando a camminare. Dopo un po' sentì le mani di lei che gli si allacciavano di nuovo al braccio.
A poco a poco che procedevano, la musica che prima nemmeno si udiva iniziò ad insinuarsi tra loro. Da lontano si distinguevano arpe, flauti e fisarmoniche.
Ioria non partecipava a una festa dai tempi del suo addestramento, quando lui e gli altri Cavalieri d'Oro vivevano ancora al Grande Tempio, sotto la supervisione di Shion e Libra.
Ricordava ancora l'emozione che aveva provato una volta che aveva messo piede nel cortile in cui si svolgevano le cerimonie, quella sera allestito per i festeggiamenti.
Si celebrava la nomina a cavaliere di ognuno di loro. Lì avevano appreso le destinazioni che avrebbero dovuto raggiungere per continuare gli allenamenti, che li avrebbero poi ricondotti in Grecia in vesti ufficiali di Cavalieri d'Oro.
Probabilmente a quel tempo aveva dodici anni. Era stato così felice di scoprire che il suo maestro sarebbe stato Micene, suo fratello e già da tempo Cavaliere del Sagittario.
Ricordava nitidamente anche la musica, gli invitati più grandi di loro, lui che soddisfatto contemplava la mano di Milo stretta nella sua. Quella sera le deboli giustificazioni di quello che, più avanti, sarebbe diventato il suo migliore amico non lo avevano minimamente scalfito: diceva che lo faceva solo perché gli sconosciuti lo intimorivano, ma lui ci aveva sempre creduto poco.
Più avanti la strada si diramava in diversi quartieri e vie strette. Molte conducevano alla piazza centrale, il fulcro di Asgard, dove svettava imponente una statua raffigurante il Dio Odino.
Mastodontica e possente, la si notava anche a chilometri di distanza.
Il viottolo che imboccarono era costeggiato di edifici a più piani, che andavano allargandosi nei pressi del centro della città. Gli alti portoni dai battenti lignei conferivano alle abitazioni un'aria aristocratica, così come lo facevano i vetri delle finestre, il più delle volte dipinti e decorati a rappresentare scene di guerra o sacrifici.
A causa del cielo notturno, Ioria non poté cogliere i dettagli.
Numerose fiaccole, appuntate alle mura delle case alimentavano la luce dei lampioni, creando un'atmosfera surreale e mistica.
La fredda Asgard, sotto quella prospettiva, sembrava un posto fiabesco, incantevole.
Camminarono ancora un po', fino a che non raggiunsero la piazza. Ora la musica si sentiva chiaramente, sopra il vociferare della gente. Tutt'intorno a loro c'erano bancarelle di vari colori, che esponevano merce di tutti i tipi. Aromi e fragranze di cibi differenti permeavano nell'aria, provenienti da diversi banchetti situati qua e là.
Mur finalmente rallentò, per affiancarsi a Ioria.
"Non avrei mai immaginato che anche Asgard potesse permettersi un ricevimento simile" disse, a voce alta, per sovrastare il volume della musica.
Ioria fece per parlare, ma venne interrotto da Lyfia.
"E' l'unica cosa che riconosco ad Andreas... questa precaria situazione favorevole, i raccolti ricchi, i cittadini benestanti..." rispose, alzando anche lei la voce.
Ioria alzò le spalle: "Dovrebbe essere sempre così."
Con ciò non stava implicando che sarebbe stato lui a impegnarsi perché in Asgard regnasse la giustizia. Anche se, dal modo in cui gli sorrise Lyfia, intuì che lei l'avesse intesa proprio a quel modo.
La presa della donna sul suo braccio si fece più intensa. Ioria ebbe l'istinto di scrollarsela di dosso, ma sarebbe stato poco educato. Inoltre, a guardarla così, dall'alto verso il basso, la trovò ancora più gracile di quanto già non lo fosse. I lunghi capelli azzurri le ricadevano oltre la schiena, ancora parzialmente raccolti da un nastro di raso. Indossava un abito elegante ma modesto, lo scialle le scendeva sulle spalle con una grazia innata, che differiva dalla rude prestanza tipica di tutte le donne guerriere con cui era entrato in contatto.
Lyfia era... femminile.
Qualcosa, dentro di lui, gli suggerì che andava protetta.
Probabilmente quest'ultima dovette sentirsi osservata, perché arrossì vistosamente e iniziò a dondolare da un piede all'altro, a disagio.
"Ehm... Ioria..." mormorò, appena udibile per colpa del chiasso circostante.
Mur, evidentemente mosso dalla pietà, intervenne in favore della giovane.
"Ha chiesto se ci andava di fare un giro da quelle parti." disse, tirando Ioria per un braccio e indicandogli una zona in penombra, dove le bancarelle si diradavano.
Ioria si sporse in avanti, riducendo gli occhi a due fessure per riuscire a vedere meglio anche da lontano, e identificare il luogo.
"Che c'è laggiù?" domandò, senza voltarsi.
Lyfia intervenne subito: "Beh, ecco... una fontana che avrei voluto mostrarvi... ha effetti curativi, e volevo vedere se funzionasse su di voi." spiegò, agitata.
Ioria inarcò un sopracciglio. Da quando si trovava lì, Lyfia aveva provato vari rimedi su di lui, per estorcergli di dosso il marchio misterioso che aveva macchiato il suo corpo dal giorno in cui aveva combattuto.
Eppure ogni suo sforzo era stato vanificato dal riaffermarsi delle stigmate, sempre più ardenti e pulsanti.
Era sul punto di accettare il suo invito quando, d'un tratto, una pulsazione anomala lo fece sobbalzare. Mur se ne accorse immediatamente, perché cercò il suo sguardo e: "Ioria?" lo chiamò, a metà tra lo sbigottito e l'indeciso.
I loro occhi si incontrarono. Quelli verdi di Mur avevano perso tutto il loro colore. Le pupille, nere come l'inchiostro, erano dilatate e avevano risucchiato le iridi, come i buchi neri facevano con tutto ciò che orbitava loro intorno.
Ioria non fece in tempo a domandarsi se anche lui avesse un aspetto tanto grottesco, che un altro palpito, questa volta più intenso, lo colpì come una percossa.
Fu vagamente consapevole della voce indistinta di Lyfia, che domandava loro se fosse tutto a posto. La sentì lontana, impercettibile.
"Cosmo..." mormorò, percependo il familiare prurito sulle punte delle dita e i piedi. Si sentì andare a fuoco.
"Ioria!" questa volta la voce di Lyfia sovrastò il resto. Ioria tornò cosciente e percepì le sue mani sulle spalle, il suo tocco freddo sulla pelle. Vide la sua espressione decisa e rinsavì.
"Lyfia..." sussurrò, la voce impastata. La guardò per un po' di secondi, prima di scostarla bruscamente e afferrare invece Mur, che era ancora immobile con lo sguardo vacuo.
"Va' con Lyfia" ordinò, stringendolo forte per le braccia e scuotendolo per farlo tornare in sé.
Quest'ultimo, stordito, si riprese lentamente. Le pupille erano ancora dilatate, ma non al punto di coprire l'iride. Un impatto così forte poteva esser scaturito solo dal Cosmo di un Cavaliere d'Oro.
"L'hai sentito anche tu, no? Ce n'è un altro... qui in giro" aggiunse Ioria, riscoprendosi affannato. Mur lo guardava sbalordito, ma in un certo senso anche comprensivo.
"Vai con Lyfia alla fontana, io mi occuperò di lui." disse ancora. Solo quando mollò la presa si rese conto di quanto aveva fatto pressione sui bicipiti di Mur: là dove lo aveva stretto, la pelle ora si era arrossata.
"Aspetta." fece Mur, allungando la mano per afferrarlo. Ioria fu più veloce di lui. Lo schivò e si allontanò di corsa lungo il viale, ripercorrendolo al contrario.
Sentì la voce di Lyfia che lo chiamava, ma non se ne curò minimamente.
Un'altra pulsazione gli indicò la direzione del Cosmo: doveva trovare quel Cavaliere d'Oro.



Ioria si fece spazio tra la folla, una fiumana che scorreva in entrambi i versi, travolgendolo. Grazie alla sua corporatura massiccia non fece fatica a farsi largo tra i banchi di persone, tirando qualche gomitata e muovendosi velocemente.
"Ma guardati, sei un Cavaliere d'Oro" si disse, provando qualcosa di molto simile all'indignazione.
Eppure se ne andava in giro vestito come una persona qualsiasi, partecipava ad una festa paesana e fino a pochi secondi prima passeggiava a braccetto con una bella ragazza.
Suo fratello Micene non ne sarebbe andato affatto fiero.
A poco a poco che procedeva, iniziò a sentire la consistenza del Cosmo sconosciuto. Gli dilatò i sensi, ampliandoli e rendendoli acuti e ricettivi. Fu in grado di individuare il percorso e si gettò a capofitto nella via verso la quale lo guidava.
Si addentrava tra edifici alti, ma molto più diroccati di quelli presenti in corrispondenza della piazza. La strada andava stringendosi, riducendo la zona a un misero vicolo in penombra. La sola luce di una fiaccola illuminava le ultime abitazioni. Poi, un muro alto, che segnava la fine della sua ricognizione.
Ioria batté le palpebre: possibile che si fosse sbagliato?
Eppure quella forza sconosciuta e inebriante era ancora lì, circonfluiva nelle sue vene come sangue. Iniziò a guardarsi intorno.
I primi edifici sembravano case a due piani, con balconcini di legno che sporgevano oltre delle porte, situate nella parte superiore delle costruzioni.
L'intonaco dei muri era scrostato, e le tende alle finestre avevano gli orli sdruciti e logori.
Doveva trattarsi di una delle zone povere di Asgard, la periferia. Ioria si stupì di quanto poco tempo avesse impiegato per raggiungerla.
Un brusio in lontananza, proveniente dal fondo della via, attirò la sua attenzione. Stava per tornare indietro ma quel richiamo, unito all'ennesima scarica di Cosmo, lo distolse dal proposito. Avanzò nel buio, sui ciottoli umidi d'acqua piovana e neve sciolta.
Cassonetti della spazzatura dalle diverse dimensioni erano accatastati agli angoli della strada, molti ribaltati, con metà del loro contenuto riversato in terra.
L'odore circostante era sgradevole, ma Ioria si costrinse ad avanzare.
C'era davvero un Cavaliere d'Oro nelle vicinanze? Come poteva trovarsi in un quartiere così malfamato?
Finalmente il rumore che aveva udito in precedenza prese forma e collocazione: un vociare di gente, rumori di piatti che si infrangevano sul pavimento, pugni che battevano sui tavoli e un motivetto dissonante in sottofondo.
Una locanda.
L'insegna era sbiadita, ma Ioria ne aveva viste abbastanza per riuscire a identificarla con certezza.
Non era certo che l'oggetto dei suoi desideri si trovasse lì, ma l'intensità del Cosmo non accennava a diminuire, quindi dopo un attimo di esitazione si risolse a entrare.
Non appena ebbe aperto la porta, fu travolto da un forte odore di alcolici. Una zaffata di calore lo colpì in pieno, in netto contrasto con la temperatura fredda che c'era all'esterno.
E poi, il chiasso.
Grida, risate, bicchieri che battevano tra loro in brindisi sconnessi. Ioria si mise una mano sul viso, stordito. Gli girava la testa.
Con la coda dell'occhio, notò in un angolo del locale un raggruppamento di persone. Si erano radunati tutti intorno a un tavolo, muovendosi freneticamente e agitando le mani. Da quella zona proveniva la maggior parte della baraonda.
Decise che sarebbe stato meglio lasciar perdere e non avvicinarsi, ma nello stesso istante in cui lo stabiliva fu costretto a ricredersi: una palpitazione, forte come non l'aveva mai percepita, lo inchiodò sul posto.
Acuì tutte le sue percezioni al limite estremo. Ioria dovette compiere uno sforzo enorme per non bruciare il proprio Cosmo, in risposta ad un simile richiamo.
Proveniva direttamente da quell'affollamento: la persona che cercava doveva trovarsi lì.
Come in automatico, avanzò nella locanda. Ignorò una cameriera che gli si avvicinava, domandandogli qualcosa che non riuscì a sentire e continuò a camminare.
Il suo cervello rispondeva a un solo richiamo: il baluginare nitido e gratificante del Cosmo di un compagno.
Quando fu abbastanza vicino per potersi introdurre nella massa, scostò tutte le persone che si trovava di fronte con immediatezza. Posava la mano sulla spalla dell'ostacolo e lo sbatteva di lato, in modo da liberarsi il passaggio.
E poi, lo sentì: "Avanti, avanti, ce n'è per tutti. Chi di voi ha così tanta fretta di esser sconfitto?"
Una voce inequivocabilmente familiare: l'accento, il tono, persino l'arroganza... ogni cosa che trapelava apparteneva a...
"Cancer!" lo chiamò, quando si fu fatto varco tra due persone.
Quest'ultimo, quando lo vide, lasciò cadere tutte le carte che aveva in mano.
Anche il sigaro che aveva in bocca gli scivolò dalle labbra, andando a sbattere sul tavolo di legno, la cenere che già iniziava a sfrigolare.
Tutti intorno a loro ammutolirono. In mezzo a quegli sconosciuti, con la musica di sottofondo, gli aromi che si mischiavano agli odori sgradevoli, il caldo che dava alla testa, loro due semplicemente si guardarono.
Poi Cancer, incredulo, parlò: "E tu che diavolo ci fai qui?"



Cancer lo trascinava per il polso, camminando velocemente e incurante che Ioria, alle sue spalle, fosse in difficoltà. Lo condusse fuori dal locale dalla porta sul retro, lasciandosi dietro un sacco di lamentele e anche svariati insulti, in merito al fatto che avesse abbandonato il gioco troppo in fretta.
Quando ebbero imboccato un vicolo mollò la presa e lo fece barcollare per un po' di passi.
Poi si fermò.
Il buio vigeva da padrone, nel retrobottega. L'unico filo di luce che li toccava proveniva dalla luna, che piena e pallida troneggiava in cielo, costeggiata da miriadi di stelle. In quel periodo dell'anno le loro Costellazioni non erano visibili, ma la volta celeste era ugualmente ricca e incantevole.
Tirava un filo d'aria gelido, che ebbe maggior impatto a confronto col calore soffocante che albergava all'interno della locanda.
"Con tutti questi sbalzi di temperatura mi verrà la febbre" disse Ioria, massaggiandosi il polso là dove Cancer lo aveva stretto.
L'altro ridacchiò: "Che frignaccia. Sei un Cavaliere d'Oro e ti preoccupi che ti venga la febbre?"
Fece un giro su se stesso, come per riaffermarsi in equilibrio e poi si rabbuiò.
"Scherzi a parte, cosa vuoi?"
Il tono di voce era diventato tagliente, non più concitato.
Ioria fronteggiò il suo sguardo senza timore, assottigliando gli occhi e aggrottando le sopracciglia.
Se non avesse percepito il suo Cosmo, probabilmente avrebbe fatto fatica a riconoscerlo.
Cancer aveva i capelli scompigliati, che gli ricadevano in parte sul volto. Si era fatto crescere la barba sul mento e indossava una canotta sdrucita, che aveva di sicuro visto tempi migliori.
Inoltre, puzzava di fumo e alcool, e aveva il viso sin troppo acceso per le sue condizioni.
"Sei ubriaco." decretò, in tutta risposta, senza effettivamente chiarire il quesito dell'altro.
"E ti riduci a rinchiuderti in locali poco consoni a una persona del tuo rango, e a giocare d'azzardo per garantirti, con i profitti, qualcosa da mettere sotto i denti. Cancer, che ti prende?" lo incalzò a raffica, senza dargli il tempo di interromperlo.
Non appena ebbe finito di parlare, Cancer si affrettò a ribattere.
"Ah, certo, ci siamo appena incontrati e già ti senti in dovere di... di indovinare come trascorro i miei giorni. Hai sempre avuto quest'animo da ficcanaso, Ioria."
La sua voce si fece più affermata sulle ultime parole, in particolare nella pronuncia del suo nome. Lì addirittura assunse toni sprezzanti.
Ioria sospirò.
"Non ti stavo attaccando." disse, alzando le mani in segno di resa.
Cancer approfittò di quel gesto per afferrargli i polsi e spintonarlo contro il muro alle sue spalle. Vi ci sbatterono contro insieme, e le loro fronti si scontrarono.
"A-gh- Cancer, cosa stai facendo?" ringhiò Ioria, opponendo pressione per levarselo di dosso.
Cancer sorrise in una maniera distorta, che rassomigliò un ghigno: "Hai paura, Cavaliere d'Oro, eh? Senza l'armatura non vali niente."
Ma Ioria impiegò poco a liberarsi di lui. Rigirò i polsi nelle sue mani e gli conficcò le unghie nella pelle. Non erano lunghe e acuminate come quelle dell'altro, ma sortirono ugualmente il loro effetto.
Forse a causa del suo stato di ebbrezza, Cancer non impiegò molto a crollare in ginocchio.
Ioria mollò la presa e si allontanò di qualche passo, per quanto il muro alle sue spalle glielo permettesse.
"Adesso basta, ti sembra questo il modo di comportarti? Tra Cavalieri dovremmo mostrarci rispetto!" sbraitò, affannato.
Con una mano andò a massaggiarsi uno dei polsi dolenti, ma Cancer d'improvviso lo afferrò per una gamba. Ioria, per l'immediatezza del gesto, perse l'equilibrio e cadde in avanti. Finirono uno sopra l'altro. Dopo un primo momento di stallo presero a strattonarsi, e iniziarono a rotolare sulla strada acciottolata. Era sporca, umida e per ogni volta che la loro schiena aderiva al terreno, fitte di dolore li trapassavano lungo l'intera spina dorsale.
Cancer sferrava dei colpi rivolti al suo viso, e Ioria li parava come poteva. Entrambi si tenevano saldi alle rispettive maglie, tirandole così forte da rischiare di strangolarsi a vicenda.
"Non provare a dirmi cosa e come devo fare!" urlò il primo, puntandogli l'indice e il pollice alla gola, nell'atto di reciderla con le unghie. Ioria allora piantò i piedi in terra, interrompendo quel moto andante.
Smisero di accavallarsi l'uno sull'altro e rimasero fermi in quella posizione, Cancer seduto sul suo stomaco, le cosce che gli intrappolavano la testa e la mano chiusa sul suo collo. E Ioria sotto di lui, schiacciato dal suo peso e immobile, la pelle tesa sulla gola, là dove le unghie dell'altro lo puntavano. Simili ad artigli, sembravano quelle di un rapace.
Deglutì.
"Ti ho cercato per l'intera città" iniziò, valutando il peso delle parole. Lui e Cancer non erano mai stati buoni amici ma, più di tutto, Ioria conosceva l'animo del Cavaliere. E sapeva che, se solo l'avesse desiderato, non avrebbe esitato a ucciderlo sul serio.
"Questa non... non è l'accoglienza che mi aspettavo di ricevere. Non solo non agisci più nel nome di Atena, ma ti sei abbandonato a una vita che mai e poi mai potrà appartenerti. Cancer, noi siamo-"
"Cavalieri d'Oro?" lo interruppe l'altro, con la voce un po' troppo alta. Forse per la foga, le sue dita si strinsero maggiormente sulla sua gola. Ioria inspirò profondamente.
"Molto, molto onorevole da parte tua. E sentiamo, come mai non sei ad Atene in questo momento, Cavaliere?"
Questa volta Ioria non seppe cosa rispondere. La sua mano ebbe uno spasmo e lui si augurò che non fosse lo stesso anche per il corpo. Le unghie di Cancer erano così vicine a squarciargli la carne che un solo movimento falso gli sarebbe potuto costare caro.
Cancer sogghignò. Il suo sorriso parve riflettere il bianco pallido della luna.
"Non sai cosa dire, eh? Forse perché anche tu ti sei sentito per la prima volta... vivo? Non lo senti anche tu, eh, Ioria? E' così che vivono le persone comuni. Questa è la libertà!"
Cancer aveva alzato progressivamentela voce. La mano libera era ora volta al cielo, come a comprendere esso e tutto ciò che c'era loro intorno nella sua idealistica visione del mondo, così come lo stava vivendo in quel momento.
A Ioria si strinse il cuore.
Ricordò quel bambino a capo del trio ribelle, quello che contestava ogni sua idea e cercava di mandare a monte tutti i suoi piani. Ricordò le sgridate da parte di Saga, Micene e Kanon.
Ricordò il ragazzo che aveva iniziato a uccidere gli animali, a lanciare sassi sulle persone e lo stesso che, anni dopo, aveva incominciato a togliere la vita agli esseri umani.
Ricordò la Casa del Cancro, costeggiata di teste e anime straziate, sfoggiate come macabri trofei.
E poi si scontrò con l'immagine di Cancer ora, che trovava affascinante un vicolo maleodorante e che ancora non aveva conficcato le unghie nella sua gola, risparmiandolo.
Lo stesso Cancer, in quello stesso istante sobbalzò e mollò rapidamente la presa.
"AHI!"
Dalle sue dita si levò un filo di fumo e lui iniziò a muovere freneticamente la mano, come per scacciare qualcosa.
Ioria battè le palpebre, confuso. Se non fosse stato impegnato a cercare di capire cosa turbasse l'altro, probabilmente si sarebbe concesso del tempo per sospirare di sollievo, a pericolo scampato.
"Cancer?" chiamò, debolmente.
Quest'ultimo gli rivolse un'occhiata di fuoco: "Che mi hai fatto? Brucia, dannazione- ahi!"
sbottò, scrollando la mano con maggiore intensità.
Ioria non fece in tempo a ribattere, che l'altro lo afferrò per il collo della maglia e gliela scostò bruscamente, scoprendogli il petto.
Rimasero entrambi sbalorditi: Ioria dal suo gesto, Cancer da ciò che gli trovò impresso sul corpo.
Violaceo ed evanescente, il marchio riluceva alla luce della luna. Da una parte sfrigolava anche di un bagliore proprio, che lo faceva sembrare vivo e strisciante.
Cancer cercò il suo sguardo, e lo trovò. Ioria lo stava guardando con gli stessi occhi, carichi di domande e, in un certo senso, anche colpevoli. Quel segno che si portava appresso ormai da giorni lo faceva sentire, in qualche modo... peccatore.
"E questo cosa diavolo-"
"Non lo so." s'affrettò a rispondere Ioria, per tagliar corto. La mano di Cancer, prepotentemente agganciata al suo maglione, lo metteva a disagio. Non gli piaceva che il marchio venisse esposto.
L'altro rimase a fissarlo per un po'. La luce labile dardeggiava nelle sue iridi blu notte, illuminandole di un bagliore sinistro. Sembrava rapito e sconvolto allo stesso tempo.
Le dita avevano smesso di fumare. Ora che Ioria poteva osservarle senza che fossero in movimento, notò che erano arrossate.
"Deve aver reagito alla tua minaccia" aggiunse.
Allungò una mano sulla sua, ma Cancer fu più veloce di lui e la sottrasse dalla sua presa.
"Sembra che tu ti sia immischiato in un affare più grande di te." commentò, mollando bruscamente il maglione e indietreggiando.
Si sfregò le mani sulle ginocchia, nell'atto di liberare i pantaloni dalla polvere.
"In nome di Atena, eh?"
Si alzò in piedi e si allontanò da Ioria.
Quest'ultimo tirò un lungo sospiro. Ora che lo stomaco era di nuovo libero, si sentì inspiegabilmente leggero.
Inspirando profondamente, si mise a sedere.
La sagoma di Cancer si stagliò di fronte a lui, di spalle, in controluce. Aveva le mani in tasca e muoveva il piede per terra, in un circolo distratto.
Sembrava sul punto di andarsene, ma si voltò verso di lui.
"Ehy." disse, facendosi serio.
Ioria cercò di cogliere qualcosa di più dalla sua espressione, ma con i giochi d'ombre della notte gli risultò impossibile.
Cancer continuò: "Perché sei venuto a cercarmi?"
Ioria rimase in silenzio. Faceva spesso scena muta, quel giorno, ma i discorsi dell'altro tendevano a destabilizzarlo.
Avrebbe potuto dirgli che cercava alleati per far cadere il governo di Andreas, come desiderava Lyfia, ma si rese conto che una simile giustificazione avrebbe fatto crollare tutti i suoi ideali, in una contraddizione che Cancer non avrebbe mancato di sottolineare.
Era vero, loro combattevano per Atena. O almeno, avrebbero dovuto.
Ora che erano rinati, in cosa potevano essere utili?
Ioria realizzò che durante la sua estenuante ricerca, dal primo momento in cui aveva percepito un Cosmo amico, il pensiero di trovare un potenziale alleato non lo aveva minimamente sfiorato.
Aveva semplicemente desiderato di poterlo vedere.
"Volevo scoprire chi fossi. Suppongo di aver avuto nostalgia. Beh, il destino ha voluto che mi imbattessi nel più irritante, spietato, crudele, detestabile dei Cavalieri d'Oro ma..." lasciò che la frase si perdesse in un sorriso amaro, che Cancer non potè però vedere.
Quest'ultimo ridacchiò.
"Ahh, sciocchezze."
Rimase fermo per un po', poi lo liquidò con un gesto della mano, e prese ad avviarsi lungo il vicolo. La locanda era alle loro spalle, quindi Ioria si ritrovò a chiedersi dove fosse diretto.
Avrebbe davvero voluto saperlo, ma tacque.
Immaginò che quello fosse un addio, e da qualche parte dentro di sé se ne dispiacque. Non aveva esplicitamente bisogno di Cancer, ma la sua compagnia sarebbe stata più sostanziosa del vuoto che avrebbe lasciato se fosse scomparso per sempre.
Ma era giusto che seguisse la sua vocazione, così come Ioria stava seguendo la propria.
I Cavalieri d'Oro non erano mai stati tutti quanti dalla stessa parte.
Se lo ripetè più volte, ma non riuscì ugualmente a salutare per l'ultima volta il compagno.
Guardò la sua ombra che si profilava da lontano, fino a che non fu scomparsa del tutto.
Poi si alzò in piedi, e decise che era ora di tornare indietro.

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