— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 2: Legami) —


Andromeda uscì dalla stanza di Crystal, richiudendosi la porta alle spalle.
Con un sospiro appoggiò la schiena contro essa e rimase fermo a riflettere.
"Come sta?" la voce di Ikki fece capolino dal fondo del corridoio. Andromeda alzò lo sguardo di scatto, giusto in tempo per vedere la sua sagoma profilarsi in controluce e avanzare verso di lui.
"Ikki" bisbigliò timoroso, più a se stesso che al suo interlocutore.
Il fratello indossava una felpa larga, aperta sul petto completamente scoperto. Una collana d'argento gli ricadeva tra le clavicole accentuate, e aveva i capelli scompigliati sulla fronte. Quando fu abbastanza vicino per essere osservato meglio, Andromeda notò che era anche sudato. Probabilmente aveva appena finito di allenarsi.
Lo confermavano i pantaloni della tuta a cavallo basso, che di solito metteva quando doveva sottoporsi al suo addestramento.
"Allora?" lo incalzò, con il suo tipico tono di voce arrogante. Andromeda si rese conto di non aver risposto alla sua domanda.
"Ah, Crystal... ha la febbre" disse, accennando un sorriso debole. "Deve aver preso freddo ieri, quando è uscito per andare..." lasciò morire il resto della frase nello sguardo complice e allo stesso tempo intimidatorio di Ikki.
Non gli piaceva che si toccasse quell'argomento.
Poche cose, a dire il vero, gli andavano a genio. Un'altra delle principali situazioni che detestava, ad esempio, era la condizione precaria di Pegasus. Al fratello non andava bene che lui e Sirio si comportassero come se il ragazzo fosse ancora vivo e senziente.
"E' davvero distrutto." aggiunse Andromeda.
Ed era vero.
La notte prima Crystal era tornato davvero tardi. Capitava spesso che partisse per ore, talvolta anche giorni senza dare sue notizie, ma mai una volta era rincasato in quelle condizioni.
Quando gli avevano aperto la porta era crollato esausto tra le braccia di Sirio, col fiatone e il viso arrossato. Ma ciò che più di tutto aveva colpito Andromeda, ancor più dei vestiti e i capelli fradici, erano state le occhiaie nere e solcate sotto agli occhi gonfi di pianto.
Più tardi, una volta asciutto e sistemato nel suo letto, Crystal non aveva fatto altro che ripetere la parola "maestro", intermezzando invocazioni al suo nome e flebili lamenti costanti.
Lui aveva vegliato sull'amico, provando a cantargli qualche ninnananna e a raccontargli qualche aneddoto divertente, ma ogni suo sforzo era stato vano.
Il biondo sembrava non essere nemmeno in grado di riconoscerlo.
Ikki sospirò: "Immagino. Quale idiota uscirebbe con quella pioggia?"
"Ikki!" lo rimproverò subito Andromeda, portandosi le mani sui fianchi in automatico.
Il fratello congedò il suo sguardo accusatorio con un gesto della mano.
"Quando dico che è distrutto, dico sul serio" insisté Andromeda, ignorando la sua espressione disinteressata. "Non solo a livello fisico, ma anche..."
"Psicologico?" lo interruppe Ikki, sarcastico. "Ma dai, non l'avrei mai detto. Chi non è distrutto psicologicamente, secondo te?"
Girò sui tacchi e si allontanò di qualche passo, come per lasciarsi Andromeda alle spalle. Quest'ultimo si slanciò verso di lui e l'afferrò per la felpa.
"Fratellone, aspetta!" lo implorò, strattonandogli la manica per indurlo a voltarsi.
Ikki non lo fece, ma rimase ugualmente fermo ad aspettare che lui parlasse.
Un moto di tristezza lo pervase dall'interno. Ancora una volta, il fratello si stava allontanando da lui, ponendo tra loro una barriera, disconoscendolo dalla propria vita.
In cuor suo Andromeda si augurava che fosse proprio l'immenso affetto che provava nei loro confronti a spingere Ikki a prendere le distanze, incapace di fronteggiare i suoi stessi sentimenti in rapporto a una situazione come quella.
Per lui era sempre stato difficile trovare il suo giusto equilibrio nel gruppo, ma in fondo voleva loro bene, tanto quanto loro ne avevano sempre voluto a lui.
"Crystal ha bisogno di te..." bisbigliò, le dita che stringevano la stoffa della felpa con maggiore intensità.
Sentì che Ikki prendeva fiato per parlare, quindi si affrettò ad aggiungere: "Pegasus ha bisogno di te."
E poi, dopo un sospiro sconsolato: "Io... ho bisogno di te."
Probabilmente fu solo la sua vaga immaginazione, ma gli sembrò di sentire il fratello trasalire appena.
Non ebbe tempo di accertarsene, però, perché Ikki lo scansò malamente, facendogli sbattere la schiena contro il muro. Quando sollevò lo sguardo, tramortito, Andromeda incontrò i suoi occhi scuri pieni di rabbia.
"Ne ho abbastanza delle tue scenate da ragazzina. Cresci, Andromeda. E' ora che tu impari a cavartela da solo!" ringhiò il più grande, in una smorfia che gli deformava i delicati tratti del viso.
Andromeda rimase a fissarlo, incapace di rispondere, gli occhi spalancati e le sopracciglia inarcate in un'espressione di pura incredulità.
Qualcosa, dentro di lui, si era frantumato definitivamente.
Strinse i pugni per impedire alle mani di tremare in maniera eccessiva, e deglutì per ricacciare indietro le lacrime.
Non voleva che il fratello lo vedesse piangere.
Fortunatamente, Ikki ovviò al problema per lui. Dimostrando chiaramente di non avere la minima intenzione di preoccuparsi delle ripercussioni che le sue parole avevano avuto sul fratellino, si allontanò per davvero.
Andromeda guardò la sua schiena scomparire giù dalle scale, senza muovere un passo e senza osare chiamarlo un'altra volta.
Quando anche il rumore dei suoi passi fu estinto, si lasciò scivolare lungo la parete. Finì seduto per terra e solo allora concesse alle lacrime di inondargli il viso, al corpo di tremare.
Strinse le ginocchia al petto e vi appoggiò la testa, recludendosi dal resto del mondo.
Sarebbe stato bello, sin troppo facile. Eclissarsi per sempre, per non soffrire né subire più nulla.
Ma non si sarebbe mai perdonato di aver lasciato solo Pegasus. Per quanto nessuno ci credesse, lui era ancora lì, con loro.
Ogni suo respiro valeva uno sforzo in più, valeva qualche parola di conforto, valeva tutta la premura di cui lui disponeva.
Andromeda avrebbe voluto salvarlo perché era stato proprio Pegasus una volta, con la promessa che l'avrebbe protetto per sempre, a salvare lui.
Anche se a poco a poco la debole fiamma della speranza stava iniziando a spirare dal suo animo.
Se non ci fosse stato Sirio, Andromeda dubitava che sarebbe stato in grado di gestire una situazione del genere in autonomia. La gratitudine sconfinata che provava nei suoi confronti non aveva limiti d'estensione. Se avesse potuto rendergli grazie in qualche modo, non avrebbe esitato a farlo.
Crystal, invece...
Lui agiva guidato dal rancore e dalla frustrazione. Incapace di accettare il coma di Pegasus e spaventato all'idea di sperare nella sua ripresa, aveva deciso di continuare a vivere come se l'amico fosse già morto.
Andromeda non riusciva a immaginare quanto grande e conflittuale fosse il suo tormento interiore. Per questo non lo biasimava e lasciava che si sfogasse, tutte le volte in cui si adirava con lui e Sirio, attaccandoli e dicendo loro di guardare in faccia la realtà.
Con Ikki era lo stesso. Voleva andare avanti e forzava se stesso ad accettare una condizione di equilibrio che, alla fine, non avrebbe mai veramente raggiunto.
Non pretendeva di essere seguito: semplicemente, chiunque avesse un'idea che differiva dal suo pensiero, veniva lasciato indietro.
Andromeda non voleva, ma non poteva nemmeno abbandonare Pegasus, lasciare Sirio e smetterla di preoccuparsi per Crystal.
Di conseguenza si trovava di fronte a un bivio, costretto a compiere una scelta della quale non si sentiva padrone.
Un rumore lontano lo destò dal suo pianto e dai pensieri. Alzò di scatto la testa, incurante delle lacrime che gli avevano bagnato i pantaloni e si sforzò di sentire.
Sembravano... passi.
Sirio avrebbe dovuto trovarsi nella stanza accanto a riposare insieme a Pegasus, eppure il suono ritmico, quasi studiato di suole che si abbattevano sulla pavimentazione proveniva dal piano di sotto.
Andromeda si alzò di scatto, tirando su col naso e ripulendosi le lacrime con una mano.
Ora, al caldo tepore che succedeva abitualmente alle crisi di tristezza, si sostituì una paura fredda.
"I-Ikki...?" chiamò esitante, la voce ancora incrinata.
Poteva trattarsi di lui. Gli era parso di sentirlo uscire quando l'aveva abbandonato lì senza il minimo remore, ma forse si era sbagliato. O magari era tornato indietro.
/Silenzio./
Si domandò se il fratello potesse essere arrabbiato al punto da non ribattere nemmeno quando veniva interpellato, ma anche la risposta a quel quesito rimase ignota.
Armandosi di coraggio, Andromeda scese le scale.
Cercò di farlo con la massima trasparenza, muovendosi con cautela in modo da non scaturire alcun rumore molesto.
Quando fu finalmente al piano terra si guardò intorno, senza però trovare niente che risultasse fuori luogo. Non un oggetto, né una presenza sconosciuta.
Stava per muovere qualche passo in avanti quando qualcosa che Andromeda avrebbe definito, con più calma, immateriale lo afferrò per la vita e lo sollevò a mezz'aria.
Si ritrovò improvvisamente a fluttuare a pochi metri dal suolo, le braccia e le gambe a penzoloni, i capelli sul viso. Se avesse potuto urlare di sicuro l'avrebbe fatto, ma qualcosa gli ostruiva la gola.
Alle sue spalle, qualcuno si mosse e all'improvviso di fronte a lui iniziò a materializzarsi la sagoma di una persona.
"Mi dispiace per il trattamento brusco, Andromeda." disse una voce tremendamente familiare.
"Ma devo capire da che parte state."
Delle braccia insolitamente muscolose gli afferrarono il viso e lo trascinarono in avanti.
Andromeda si ritrovò con la fronte premuta contro quella di Kiki e l'ultima cosa che vide furono i suoi occhi azzurri che ardevano, incrementati dal Cosmo.



Come un tuono, il pugno di Libra s'infranse sull'armatura dell'avversario, facendola esplodere in piccoli frammenti che per poco non gli scheggiarono il volto.
L'uomo che un attimo prima lo stava fronteggiando cadde in terra sconfitto, sollevando una nuvola di polvere.
Libra si allontanò tossendo, alzando appena la mano in direzione del pubblico che lo stava acclamando. Il clangore circostante si elevò, ma lui sembrò non sentirlo minimamente.
L'ennesima vittoria, e ancora quella carica d'adrenalina non accennava ad abbandonarlo.
Era frustrato.
Possedeva la conoscenza di un uomo ultracentenario, ma non riusciva ad usufruire neanche della metà della sua saggezza. Ora che era rinato a nuova vita, senza più alcun incarico sulle spalle, si sentiva pervaso dal senso di libertà.
Gli confluiva nelle vene, lo accendeva, lo infervorava.
E più il flusso era potente più rivangava sentimenti, da quelli superficiali ai più profondi, sino ad accendere in lui emozioni agli antipodi, come rabbia e felicità allo stesso tempo.
Rischiava di impazzire.
"Cavaliere della Bilancia!" lo chiamò in quel momento una guardia dalla corporatura smilza. Libra si voltò con una smorfia di dissenso: quand'è che aveva rivelato la propria identità alla gente del posto?
"Sì, cosa c'è?" chiese, scocciato. Sottoposto alla rigidità del suo sguardo, il cavaliere indietreggiò di qualche passo.
Probabilmente quando ero ubriaco, si risolse a pensare Libra. Aveva ricordi frammentari delle serate trascorse in quella locanda.
"Prosegui o ti ritiri?" domandò l'ometto. La sua voce stridula indicava una certa tensione.
Libra lo fissò a lungo, senza dire niente, con gli occhi ridotti a due fessure.
"Ma sì, avanti un altro!" tuonò poi, battendo un pugno sul palmo della mano opposta.
Quel gesto fece sobbalzare la guardia, che si allontanò dal campo di battaglia con una rapidità invidiabile.
"Avete sentito? Avanti un altro!" gridò, ai limiti dell'acuto.
Libra scosse il capo e rilassò la tensione, stirando la schiena. Non erano movimenti facili da compiere a causa dell'ingombrante armatura d'Oro che lo inscatolava come se volesse imprigionarlo. Non era più abituato a portarla tutti i giorni e dopo un lungo periodo trascorso nel buio più assoluto, nudo, e senza un ideale che lo muovesse a combattere aveva perso gran parte della sua elasticità.
Alcuni cavalieri di basso rango avevano già provveduto a ripulire la zona. Là dove un attimo prima giaceva privo di sensi il suo precedente avversario, ora rimaneva solo un solco di poco spessore.
La cella a pochi metri da lui si aprì, espandendo la terra nei dintorni.
"Andiamo" mormorò Libra, sentendo nel petto un furore nascente.
Anche il pubblico, che già aveva incominciato a scaldarsi a causa della sua adesione a un nuovo combattimento, si accese di un fervore febbrile.
Le voci di donne, uomini e bambini arrivavano indistinte e lontane al suo orecchio.
Lui rimase fisso sull'entrata di fronte a lui, un varco affacciato sul nero abisso dell'ignoto.
Gli piaceva immaginare cosa ci fosse dall'altra parte delle sbarre. Un uomo dall'aria minacciosa, saggia o sprovveduta? Di corporatura robusta o esile? Dal temperamento attivo o svogliato?
Aveva vissuto duecento anni, e trascorso più di tre quarti degli stessi a combattere.
Amava trovarsi di fronte qualcosa che riuscisse in qualche modo a stupirlo ancora.
Quando la folla si fu scaldata abbastanza, con i mormorii sommessi che erano ormai tramutati in grida e le mani che battevano per esaltare le acclamazioni, la guardia che poco prima gli aveva chiesto cosa intendesse fare esclamò: "Benissimo, state per assistere ad un nuovo scontro! Questa volta avremo il Cavaliere della Bilancia contro il Cavaliere del Toro!"
Il pubblico esplose in ovazioni.
Libra, in un primo momento, non fece caso alle sue parole.
Fu solo quando, al di là di quel buio fitto che era il corridoio interno dell'anfiteatro iniziò a profilarsi una sagoma imponente, che realizzò.
"Cosa- Aldebaran?" domandò, nello stesso istante in cui l'uomo metteva piede all'interno dell'arena.
Il caratteristico corno spezzato svettava sul suo elmo, in tutta la sua lucentezza. L'armatura calzava a pennello sul suo corpo vigoroso e lo sguardo era lo stesso di sempre: vigile e rigido.
Libra doveva avere un'espressione davvero sconvolta, perché scaturì nell'uomo una sonora risata.
"Cosa c'è, Libra? Hai avuto il fegato di stendere una ventina di cavalieri uno dopo l'altro e ti tiri indietro proprio di fronte a me?" chiese, una volta che ebbe finito di ridere.
Libra non rispose. Quel bruciore alla bocca dello stomaco, all'interno del costato, che si espandeva ad ogni palpitazione del cuore e che attraversava vene e arterie per trasmettere all'intero corpo spasmi di pura eccitazione acquisì immediatamente un senso.
"Il Cosmo di un Cavaliere d'Oro, ecco cosa..." mormorò tra sé e sé, lasciando però la frase incompleta.
Le punte delle dita gli pizzicavano intensamente: così anche altri Cavalieri d'Oro si trovavano nei dintorni. A quale scopo rinascere per ritrovarsi di nuovo impigliati negli stessi legami di un tempo?
Lui aveva già sperimentato più di una volta quel genere di coincidenze volute dal fato.
Sembrava che i Cavalieri d'Oro fossero destinati a ritrovarsi in ogni circostanza, anche nella più improbabile e remota.
"Vuoi sapere una cosa interessante, Aldebaran?" iniziò, battendo il pugno sul palmo dell'altra mano, nuovamente. Alzò lo sguardo e i suoi occhi verdi non gli riservarono un briciolo di pietà.
"Sei riuscito a stupirmi."



Kiki si abbandonò sul divano imbottito con un sospiro rumoroso. Tre paia d'occhi lo scrutavano attentamente, seguendo ogni suo movimento. Era come se l'intensità degli sguardi dei suoi interlocutori gli si fosse incollata addosso.
"Non volevo." ripeté, guardandoli uno a uno, ma soffermandosi sulla figura di Andromeda.
Era seduto sulla poltrona che stanziava di fronte a lui, dietro un tavolino di cristallo basso.
I capelli verdi gli arrivavano appena alle spalle, corti come Kiki non li aveva mai visti. Erano lisci e lucenti, anche se ancora spettinati a causa dello sforzo che il ragazzo aveva impiegato nel tentativo di divincolarsi dal suo attacco.
Teneva le gambe chiuse come una ragazza, il viso rivolto alla sua sinistra e il mento poggiato sulle mani. L'espressione era corrucciata: la bocca carnosa si contorceva in un tentativo di smorfia mal riuscito e le sopracciglia aggrottate conferivano ai suoi lineamenti armoniosi una tonalità aspra.
Non ribatté neppure.
"Kiki... capiamo le tue motivazioni" si intromise Sirio. Stava in piedi accanto all'altra poltrona, parallela a quella su cui sedeva Andromeda.
"Sei reduce da un incidente del genere e non ci vedevi da tanto tempo. La tua mancanza di fiducia è giustificata." aggiunse, accennando un sorriso.
Sembrava stremato. Gli occhi erano contornati di nero e il viso scarno indicava quanto poco avesse mangiato in quegli ultimi tempi.
Kiki cercò di ricambiare, ma gli riuscì più difficile di quanto credesse.
"Ho comunque... violato la mente di Andromeda." disse, lanciando un'altra occhiata al ragazzo.
Questo, nell'udire le sue parole, vacillò. Il suo corpo ebbe un fremito e la sua smorfia di dissenso perse d'intensità.
"Gli chiederai scusa a tempo debito. Ora, ti spiacerebbe parlare e dirci cosa sai del Grande Tempio?"
Questa volta a rivolgergli la parola era stato Crystal. Era abbandonato sulla poltrona in una posizione sgraziata, avvolto fin sopra alla bocca in una pesante coperta di lana.
Aveva il viso in fiamme e sembrava parecchio sudato, al punto che persino le punte dei capelli erano umide. Parlava intramezzando al discorso colpi di tosse o pause cariche d'affanno, e aveva la voce arrochita dalla febbre.
Non era stato molto carino, ma Kiki non diede peso al suo atteggiamento.
Vedere i Cavalieri di Bronzo che aveva sempre adorato e ammirato sin da quando era piccolo in quelle condizioni lo faceva stare male. Gli si era formato un nodo alla gola, che gli impediva di comportarsi in maniera spontanea.
A dire il vero, quella sofferenza sottile e penetrante, che ti viola giorno per giorno, pezzo per pezzo sino a che non ti ha consumato e deteriorato interamente, la provava ormai da tempo.
L'immagine di suo fratello gli affiorò nella mente con un'immediatezza tale da farlo trasalire.
"Ah... Mur..." biascicò, portandosi le mani alla testa. Poggiò le dita sulle tempie e cominciò a massaggiare in circolo, per scacciare l'emicrania.
"E' tutto a posto?"
Andromeda si era voltato, e ora il suo busto era rivolto verso Kiki. Nella voce non c'era più traccia del risentimento che la colmava fino a pochi attimi prima.
Kiki chiuse gli occhi e si sforzò nuovamente di sorridere.
"Sì... sì." rispose, cercando di non lasciar trasparire quanto gli costasse, in quelle condizioni, anche solo rivolgergli la parola.
"Mi capita spesso" aggiunse, per rassicurare i ragazzi.
Sirio si avvicinò e gli fu subito di fronte. Si sporse in avanti e gli prese il volto tra le mani, per costringerlo a rivolgere il viso a lui.
"Ed è perché capita spesso che tu sottovaluti il problema?" domandò, in un tono di voce che Kiki non riuscì a decifrare. Aprì un occhio, e quando si ritrovò faccia a faccia con lui non poté trattenersi.
Gli fece la linguaccia.
"Ma guarda te questo-" Sirio si interruppe solo per scostarsi e andare a scompigliare i lunghi capelli del ragazzo.
"...stupido marmocchio." concluse, sorridendo. Questa volta, a Kiki, quel gesto sembrò semplicemente paterno, e non più forzato e stanco.
Le vibrazioni negative che lo facevano sentire come se gli stesse tremando il cervello si smorzarono. La mano di Sirio era pacata. Il suo tocco ebbe il potere di rilassarlo.
Quando alzò lo sguardo scoprì che anche Andromeda e Crystal stavano sorridendo. Ricambiò nel modo più solare che conoscesse, con una potenza tale che il secondo addirittura si girò a guardare altrove.
Tuttavia, si ricompose in fretta e anche Sirio si scostò.
Invece di tornare dov'era prima, però, si accomodò al suo fianco sul divano.
Ora che erano vicini, Kiki si accorse di quanto l'altro fosse grande. C'era una netta differenza di età tra loro, ma nonostante adesso si fosse fatto più alto non riusciva ancora minimamente a competere con lui.
"Allora" lo incalzò Crystal, questa volta con un tono di voce più calmo.
Kiki non lo lasciò nemmeno proseguire: "Ah sì, il Grande Tempio... non ci sono ancora stato." rivelò, spostando lo sguardo da Sirio a Crystal, e infine su Andromeda.
I tre avevano ricominciato a guardarlo come se pendessero dalle sue labbra, ed ogni sua parola fosse oro colato.
Una situazione simile era appagante, benché al contempo lo mettesse un po' a disagio.
"Volevo andare a dare un'occhiata. Dopo la scomparsa dell'armatura dell'Ariete, mi è sorto il dubbio che anche quelle degli altri Cavalieri d'Oro potessero essere svanite nel nulla."
Cercò di apparire il più naturale possibile mentre menzionava qualcosa che riguardava il fratello.
In ogni caso nessuno dei tre sembrò cogliere nulla di anomalo nelle sue parole.
Andromeda sembrava pensieroso, Crystal estremamente distante.
Fu di nuovo Sirio a intervenire.
"Sei sicuro che non si sia trattato di un furto? I successori dei Cavalieri d'Oro non sono ancora stati scelti, potrebbe darsi che qualche fanatico-"
"Dubiti delle mie capacità?" lo interruppe Kiki, scrutandolo dal basso verso l'alto. Cercò di assumere un'espressione minacciosa, ma evidentemente ottenne l'effetto contrario, perché Sirio ridacchiò.
"Non stavo dicendo quello" si corresse immediatamente.
Kiki incrociò le braccia al petto e si abbandonò all'indietro.
/I successori dei Cavalieri d'Oro/. Lui non aveva ancora ricevuto gli insegnamenti adatti per poter diventare Cavaliere dell'Ariete, eppure sembrava che al Grande Tempio si stesse discutendo sulla possibilità di iniziare lui a quel titolo.
"Ad ogni modo, com'è la situazione qui?" si informò.
Crystal sospirò, producendo un rumore soffocato. "Siamo in stallo. Lady Isabel ci ha sollevati dal nostro incarico, per il momento. Almeno fino a che..." iniziò a tossire spasmodicamente e dovette interrompersi.
L'espressione che esibì Andromeda, comunque, narrava il seguito del suo discorso senza che ci fosse bisogno di emetterlo a parole.
Kiki annuì mestamente: "Capisco. Immagino quindi di non poter contare sul vostro aiuto?"
Sirio, accanto a lui, si mosse a disagio.
Probabilmente stava meditando sulla possibilità di dargli ascolto. Non che Kiki pretendesse che lo facessero sul serio. Avrebbe semplicemente voluto far luce su quel caso misterioso.
L'Armatura dell'Ariete era l'unico ricordo del fratello, il suo prezioso cimelio e loro singolo collegamento. La sua scomparsa aveva esposto completamente la sua profonda ferita, ancora aperta e sempre viva.
"Io voglio venire. L'armatura del maestro..."
"Crystal, aspetta. Tu devi riposarti." Andromeda guardò l'amico con determinazione, mista a premura e preoccupazione. Era strano sentirlo parlare, considerato il fatto che non era accaduto spesso, durante quella conversazione.
Crystal aggrottò le sopracciglia, infastidito. Kiki avrebbe riconosciuto i loro modi di fare dovunque e in qualsiasi circostanza.
"Posso sempre andare una volta che mi sarò ripreso." rispose, senza risparmiarsi un po' di calcata acidità. La coperta che prima lo copriva quasi completamente, gli era ora ricaduta sulle spalle. Sotto indossava un maglione che aveva l'aria di essere altrettanto pesante.
All'inizio, quando Kiki aveva finito di ispezionare la mente di Andromeda imputando i Cavalieri di Bronzo come innocenti, non aveva voluto saperne di alzarsi dal letto.
Solo alla menzione della scomparsa delle vestigia di un Cavaliere d'Oro, di un disguido al Grande Tempio e della volontà di Kiki di investigare su quelle stranezze, si era fiondato al piano di sotto.
Non c'era niente che gli importasse più del suo defunto maestro, Camus Aquarius.
Stando a ciò che aveva frammentariamente ricomposto dai pensieri confusi di Andromeda, anche quella febbre era scaturita da lui. Kiki ancora non riusciva a immaginare come.
"Ma... Pegasus?" ribatté di nuovo Andromeda.
"Voglio dire... non possiamo lasciarlo qui. Lui è-"
"E' in coma." lo interruppe bruscamente Crystal. Il suo sguardo si era inasprito, così come la sua bocca, contorta in una smorfia di disprezzo.
Kiki trasalì, nel sentire una tale constatazione. Ne era a conoscenza, certo, ma non l'aveva ancora realizzato del tutto. Durante quei mesi non si era fatto vivo una sola volta, forse convinto che per il Cavaliere, suo amico ed eroe, non ci fosse più alcuna speranza.
Eppure quel giorno si era dovuto ricredere.
Nella mente di Andromeda aveva vissuto un po' di lui, un po' della sua storia. E aveva visto come, nei suoi ricordi, Pegasus fosse vivo. Anche quando non rispondeva, non rideva, non faceva chiasso. Per ogni volta in cui Andromeda gli sollevava il viso, gli tirava le guance per mimare un sorriso, lo riempiva di baci e carezze... Pegasus viveva.
Viveva più dei suoi amici, ognuno abbandonato in una condizione sospesa, Crystal legato al suo maestro, Sirio troppo impegnato a bilanciare quella situazione per dedicarsi a sé, Ikki sfuggente e distante e Andromeda disperato e speranzoso.
Ciascuno, che volesse fuggire o pazientare, era rimasto se stesso. Senza cambiare, né maturare.
Sirio sospirò: "Crystal..."
"Non iniziare anche tu con la storia che è ancora tra noi, che potrebbe sentirmi e offendersi, che...-"
"Misurati la febbre, Crys." lo interruppe Sirio, il tono di voce pacato e fermo allo stesso tempo.
Il biondo rimase ammutolito, la bocca ancora aperta nell'atto di parlare.
Probabilmente fu solo una sua impressione, ma a Kiki parve che il suo viso si fosse fatto ancora più rosso.
Subito Andromeda si alzò e gli porse il termometro, che l'altro gli prese di mano con un gesto brusco, senza nemmeno ringraziare.

Una volta accertatosi che Crystal avesse la bocca occupata, Sirio si voltò verso Kiki e gli sorrise. Era un sorriso che non gli arrivava agli occhi, spento e stanco, fautore di tutte le responsabilità di cui si stava prendendo carico.
"Lasciaci pensare, Kiki. Stasera parleremo di questa vicenda e della tua proposta anche a Ikki, e poi decideremo cosa fare." disse, gentilmente.
Kiki ricambiò il sorriso: "Prendetevi tutto il tempo che volete... non ho fretta."
"Va bene allora." ribatté Sirio. Rimase in silenzio per un po', mentre Crystal si rigirava il termometro nella bocca e Andromeda aspettava paziente di conoscere i risultati, come una mamma apprensiva.
"Ah, giusto... questa notte ti fermerai qui, d'accordo?" chiese poi, in un tono retorico che non ammetteva repliche.
Kiki detestava ammetterlo, ma quella proposta lo rese felice.
Era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che aveva trascorso del tempo sereno con i suoi amici. Poi erano intercorsi scontri e sovvenute guerre, e loro si erano persi di vista.
D'altra parte, non aveva alcun altro luogo in cui stare.
"Se non disturbo..." commentò, trattenendo un sorriso soddisfatto.
Purtroppo non fu abbastanza bravo a celarlo, perché Sirio lo afferrò di nuovo per i capelli e glieli scompigliò con maggiore foga.
"Aspettavi solo quello, eh?"
"Basta- ehy! Mi spettini tutto!" urlò Kiki, scoppiando successivamente a ridere.
Sirio lo lasciò andare, ridacchiando a sua volta.
Quando Kiki alzò lo sguardo, poté incontrare il suo sorriso. E notò che questa volta gli riempiva davvero il viso, illuminandolo sul serio.
Doveva fare in modo che i Cavalieri di Bronzo andassero con lui. Non tanto per un egoistico desiderio, quanto più perché sentiva di dover spezzare la monotonia alla quale si erano assoggettati.
Voleva fare in modo che tornassero felici.

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