— The Hades Chapter: Interlude (Capitolo 1: In Asgard) —


Il freddo aveva fatto, di quel luogo rigido, la sua dimora. Il vento infuriava tra gli alberi, provocando un fischio sommesso e sinistro. Quando si scontrava sulla pelle, la feriva come spilli acuminati, sferzando le carni e penetrando sin dentro le ossa.
Ioria sedeva sul letto sfatto, le lenzuola stropicciate sulle ginocchia. Osservava i battenti della finestra che tremavano, aggrediti dalla corrente d'aria.
Gli spifferi lo fecero rabbrividire, e si strinse nelle coperte.
Asgard non era un luogo accogliente. Anzi, chiunque lo abitasse era convinto che si trattasse di una tremenda punizione, inflittagli per chissàquale motivo.
A Ioria non interessava. Pochi giorni prima brancolava nel buio, nudo e bagnato, nella più sconfinata solitudine e aggredito dal terrore.
Quanto tempo era trascorso, in quel luogo senza luce? Quanto, vissuto nella privazione di ogni percezione, nel desiderio e nella vergogna, nella rassegnazione e nella paura?
Ora era lì, in carne ed ossa. Si strinse un polso tremante, rimirando le proprie dita e beandosi della fitta di dolore che permeava, là dove stava opponendo pressione.
Vivo.
D'un tratto la porta si spalancò. Ioria sperò che si trattasse di Mur, ma la sagoma che fece capolino nella stanza eluse le sue aspettative.
"Lyfia..." mormorò, incolore.
La giovane gli rivolse un sorriso teso, mentre avanzava verso di lui.
"Ti ho portato qualcosa da mettere sotto i denti." disse, sedendosi sul bordo del letto e porgendogli il vassoio che teneva tra le mani. Ioria lo prese con cautela, scrutandone il contenuto. C'erano un pezzo di pane, un piatto di zuppa e un bicchiere d'acqua.
Non aveva molta fame, ma si sforzò ugualmente di sorridere.
"Sei stata gentile... grazie."
Lyfia scosse il capo e mosse le mani di fronte a sé, come se volesse scacciare qualcosa.
"No, no... è il minimo!" ribatté, agitata. Ioria inarcò un sopracciglio: c'era qualcosa, in quella donna, che lo rendeva inquieto. Probabilmente si trattava dei suoi modi di fare impacciati e tesi.
Non sapendo cosa rispondere, preferì rimanere in silenzio. Spezzò in due il tozzo di pane e masticò un boccone con svogliatezza. La rinnovata percezione del gusto era l'unica fonte di piacere che riusciva a trarre nell'ingurgitare il pasto. Per il resto, era piuttosto duro e insapore.
Era quanto di meglio Asgard potesse offire, e per questo non osava sporgere una sola lamentela. D'altra parte, Lyfia stava facendo davvero tanto per lui, e Ioria le era grato dal profondo del cuore.
Notò che la giovane lo stava osservando.
"C'è qualcosa che non va?" domandò, quando ebbe finito di masticare.
Il viso di Lyfia acquisì un colorito rossastro, che lei stessa provvedette a nascondere portandosi le mani sulle guance.
"Oh, io..." scostò immediatamente lo sguardo, rivolgendolo alla finestra chiusa.
Ioria rimase in attesa pazientemente, fino a che l'altra non trovò le parole adatte per esprimere ciò che la turbava.
"Il fatto è che questa sera, qui ad Asgard, diamo una festa. E' nella tradizione, una ricorrenza che portiamo avanti da secoli in nome di Odino. Ecco..." ora le mani erano scese sulle ginocchia, là dove avevano incominciato a torturare la lunga gonna di seta.
Ioria intuì dove voleva andare a parare, e sospirò.
"Vuoi che partecipi anche io?" domandò, incominciando a mescolare la zuppa col cucchiaio.
Rimestò il contenuto denso, per trovare qualcosa che lo rendesse più invitante ai suoi occhi.
Lyfia annuì spasmodicamente. Se non si fosse sempre comportata in quel modo, così timorosa di ogni cosa, anche di ciò che faceva lei stessa, la sua bellezza sarebbe di sicuro risaltata in primo piano. Aveva i capelli lunghi, che anche se raccolti le ricadevano ugualmente dietro la schiena. Il viso aveva una forma delicata, minuta, e i grandi occhi viola venivano esaltati maggiormente proprio da quest'ultimo dettaglio.
Ioria si portò il cucchiaio alla bocca, e soffiò per raffreddarne il contenuto fumante.
Riflettendoci, aveva qualcosa di meglio da fare?
Sin da quando si era risvegliato ad Asgard, con la sua fedele armatura d'Oro sulle spalle, non aveva potuto fare niente che lo facesse sentire utile. Certo, era riuscito a mettere a tacere Frodi, ma dopo quella battaglia non aveva più messo piede fuori dalla sua stanza.
Si sentiva debole e frastornato, e ogni volta che si infervorava più del normale il marchio misterioso riprendeva possesso del suo corpo, pulsando ed estirpandogli la linfa vitale.
Spesso l'esaltazione per essere di nuovo in vita prevaleva su tutto il resto, ma c'erano ancora momenti in cui si ritrovava a domandarsi il perché. In quei casi finiva per struggersi e deprimersi, senza trovare alcuna risposta.
Inoltre, si sentiva incompleto. Forse era una pretesa egoistica, quella di desiderare qualcosa che valesse più della sua stessa vita, ma proprio non riusciva a fare a meno di pensare che quell'esistenza rinnovata non avesse alcun senso, se in essa non poteva incontrare di nuovo le persone che amava.
Si riscosse dai propri pensieri quando si rese conto di essere ancora nella stessa posizione di prima, il cucchiaio sospeso a mezz'aria e la bocca semi aperta.
Lyfia lo guardava con un'espressione che celava a fatica una certa attesa.
Ioria si affrettò ad assaggiare la zuppa. "Non ho niente da mettermi" biascicò, nel mentre.
Non si trattava di una debole scusa per eludere l'invito, ma della semplice realtà. Se fosse risultato un pretesto per scampare al ricevimento, comunque, l'avrebbe accettato.
"Non è necessario che tu sia elegante." ribatté l'altra, sorridendo. La sua espressione mutò all'improvviso un attimo dopo.
"Oh ma... con questo non sto dicendo che tu... che tu non sia elegante, ecco..." iniziò a biascicare, il viso che le si accendeva nuovamente di rosso.
Ioria scosse la testa, poggiando il cucchiaio sul piatto e decidendo di lasciar perdere la zuppa.
"Senti, va tutto bene. Non mi hai offeso." disse, prendendo il bicchiere d'acqua e bevendone il contenuto tutto d'un sorso.
Quando lo ebbe riposto sul vassoio, si asciugò le labbra con il dorso della mano.
"Comunque... suppongo che partecipare a questa festa sia più produttivo del restare qui un'altra sera a far nulla, quindi... ci sto." aggiunse infine, porgendole il vassoio.
Lyfia lo osservò, combattuta tra l'essere felice per la notizia appena appresa e il mostrarsi incredula perché Ioria non aveva praticamente toccato cibo.
Probabilmente decise di non esprimersi sull'ultimo dettaglio, perché tornò raggiante come al solito.
"Sarà un piacere." proclamò, prendendogli dalle mani il vassoio e alzandosi dal letto.
Con una mano si sistemò la gonna, lisciandosela sulle gambe.
"Allora, per adesso ti lascio stare. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami senza esitazioni." disse poi.
Ioria fu tentato di annuire semplicemente, ma un pensiero fugace gli balenò nella mente.
"Aspetta. Sai dirmi dove si trova Mur? E' ancora qui?" domandò con urgenza.
"Oh, Mur...?" Lyfia piegò la testa di lato, assumendo un'aria pensierosa.
"Che io sappia, non dovrebbe essere uscito di casa. Forse è giù nella cantina." suggerì.
Ioria si alzò dal letto, incurante di indossare solo una maglia leggera e dei pantaloncini corti. In risposta all'espressione interrogativa di Lyfia, commentò semplicemente: "Penso che andrò a trovarlo. Voglio sapere cosa ha intenzione di fare stasera, e..." la frase si perse nel nulla, mentre armeggiava per trovare il pendaglio di Micene, nel cassetto del comodino.
Era difficile spiegare le cose a qualcuno che non fosse Cavaliere d'Oro. Loro si capivano semplicemente con la forza del pensiero, a causa dell'intensità del loro legame.
Una volta che ebbe trovato quello che cercava, si incamminò verso la porta.
Lyfia era ancora in piedi, il vassoio tra le mani e l'espressione interdetta.
"Cerca solo di non..."
"Non strafare." finì Ioria per lei. Si accorse di essere stato troppo duro, quindi si affrettò a correggersi: "Me lo dici spesso, lo so."
Si sforzò di sorridere, benché una simile espressione gli sembrava troppo fuori luogo per uno come lui. Eppure sembrò bastare a Lyfia, che ricambiò dolcemente.
"Visto che lo sai, cerca di tenerlo a mente."
Ioria si mise al collo il portafortuna del fratello e poi annuì con decisione.
"Va bene." disse, sporgendosi oltre la soglia. Il corridoio era poco illuminato e di conseguenza era difficile distinguere le cose, da una certa distanza in poi.
Dandole le spalle, congedò Lyfia.
"Lo terrò a mente."



Se già le dimensioni della casupola erano ridotte, la cantina poteva essere considerata un vero e proprio buco.
Ioria scese la scala a pioli in legno che collegava la stanza al resto dell'abitazione. Laggiù era piuttosto buio, e dovette fare attenzione a non mettere un piede in fallo.
Intorno a lui giacevano accatastati numerosi sacchi di tela, tutti contenenti detriti e macerie.
Erano situati lì senza un motivo preciso, e quando Ioria e Lyfia si erano sistemati in quella casa avevano deciso di non cambiare la loro posizione.
Alla luce di un lume, seduto di fronte ad una scrivania accostata alla parete, c'era Mur.
I riflessi tremuli della fiamma balenavano sul suo corpo, incupendone i tratti delicati del viso e occultando e mettendo in risalto diversi aspetti del fisico.
Ioria si sentì improvvisamente colmato di un qualcosa che era ignoto persino a se stesso.
Quando era con lui si sentiva caldo, fervido, motivato. Anche in un luogo così ostile e straniero, nel più totale ignoto e nello smarrimento più completo, Mur lo faceva sentire come... a casa.
Era questo il legame che li univa? Una domanda a cui non aveva mai trovato risposta.
I dodici Cavalieri d'Oro... ma perché proprio /loro/, su chiunque altro?
Perché un simile fato era toccato a quegli specifici individui?
Era destino che lui fosse uno di essi? Era il fato ad averli visti crescere nella florida e mediterranea Grecia, sotto la supervisione di futuri Cavalieri d'Oro, in compagnia di altri Cavalieri d'Oro?
"Ioria... allora sei sveglio." La voce calda di Mur lo riscosse dai suoi pensieri.
Ioria sollevò lo sguardo, per scoprire che l'altro si era già voltato a guardarlo. Non sorrideva, ma aveva un'espressione gentile.
"Io..." farfugliò, prima di acquisire il dovuto autocontrollo. Quando fu certo di essere tornato in sé, proseguì: "Beh, sì. Da un bel po' a dire il vero." Mosse qualche passo in avanti, sfregandosi il collo con una mano, vagamente disorientato.
"Non riesco a mettere niente sotto i denti. Credi sia colpa dell'adrenalina, o... che ne so, di qualcosa che..."
"Ioria" lo interruppe Mur, in un sospiro paziente.
Quest'ultimo smise di parlare di colpo e rimase a fissarlo, stupito e in attesa.
"Sei ancora in uno stato confusionale. Dovresti calmarti." suggerì l'altro, girando la sedia per riuscire a fronteggiarlo senza doversi contorcere.
Nel momento in cui si fu voltato completamente, Ioria sentì una scarica di inspiegabile euforia percorrergli la spina dorsale.
Era la stessa sensazione che aveva provato quando era riuscito a percepirlo: doveva essere il suo Cosmo.
Nel mezzo della neve, nella disperazione più struggente e devastante, quando uno dei suoi primi giorni da redivivo non sembrava altro che il suo primo giorno di vita, lo aveva sentito.
Ardente e infuocato, ruggente e passionale. Un Cosmo che avrebbe riconosciuto dovunque: quello di un Cavaliere d'Oro. Mur.
Il giovane era l'incarnazione di tutti i desideri di Ioria, nonché la fiamma vaga e tenue della sua implacabile speranza: non era solo.
Altri Cavalieri d'Oro, in quello stesso istante, stavano vivendo. Anche se doveva pensare alla sua missione, o principalmente scoprire quale fosse, Ioria non riusciva a fare a meno di sperare che un giorno potessero rivedersi.
Si accorse che stava sudando.
"Non ci riesco." mormorò, in un tono di voce così basso che Mur dovette sporgersi in avanti per sentirlo.
Quando riuscì a cogliere le sue parole, accennò un sorriso. I suoi non erano mai veri e propri sorrisi, quanto più una vaga e fredda imitazione di ciò che avrebbero dovuto essere.
"Ma devi provarci, altrimenti rischi-"
"NON CI RIESCO E BASTA!" tuonò Ioria, infrangendo un pugno sulla parete di legno, e facendo tremare le assi di cui era composta. Il suono che ne scaturì rimbombò nell'ambiente in un eco sinistro.
Mur, la bocca ancora aperta nell'atto di concludere la frase, si immobilizzò sul posto. Gli occhi sembravano ancora più grandi, ora che erano spalancati.
Le nocche di Ioria fremettero di dolore, e lui si affrettò a ritirare le dita dal muro.
Non era arrabbiato. Non era neanche disperato, o perso. Semplicemente...
"Come riesci a controllare tutto questo?" domandò, stringendo il polso con la mano illesa, come era solito fare da quando era tornato in vita per premurarsi che il senso del tatto non l'avesse nuovamente abbandonato.
Mur, ancora scosso, fece per rispondere, ma Ioria fu più veloce di lui.
"L'intensità del tuo Cosmo. Ecco, quella... amplifica i miei sensi. E' la stessa di quel giorno, Mur... l'ultima cosa che ho sentito prima di morire, l'ultima spira di vita che in qualche modo ha alleviato la mia paura. Il tuo Cosmo... e quello di Milo." disse, guardandolo dritto negli occhi.
Un bagliore di triste consapevolezza dardeggiò nello sguardo di Mur, per un attimo così breve che Ioria credette di esserselo immaginato.
Poi però l'altro gliene diede la conferma: "Lo capisco, Ioria. Provo lo stesso da quando ci siamo ritrovati. E' proprio questo, però... che mi fa sentire motivato. Se non sentissi ogni singola fibra del mio essere dilatarsi, espandersi a contatto con il tuo Cosmo, allora non avrei neanche la percezione adatta per ricordare, e se non ricordassi le mie memorie sbiadirebbero, e non troverei nemmeno la giusta forza per andare avanti. O la giusta causa per cui ancora combatto." proclamò, placidamente.
Ioria rimase a guardarlo, senza aprire bocca, per una lunga sessione di secondi.
Si fissarono e, in quello scambio di sguardi reciproco, la furia che lottava dentro di lui si placò.
Quando riprese a parlare, aveva la voce moderata. Del furore che l'aveva travolto rimanevano solo le nocche insanguinate.
"Me lo ricordo, Mur." ribattè. "Il grido strozzato di Milo, la tua mano sul mio polso."
L'altro sorrise tristemente, senza guardarlo direttamente. Anche se il suo sguardo sembrava rivolto a lui, Ioria intuì che fosse fisso in quelle memorie dolorose, a rimestare i ricordi.
"Lo ricordo anche io. Come se fosse ieri."
Tra i due calò di nuovo il silenzio.
La luce traballante della candela sfiorava le loro sagome, deformando le ombre che si scontravano con gli spigoli della stanza, e si spezzavano in mille forme differenti.
All'improvviso Ioria si ricordò del motivo principale per cui era sceso in cantina.
"Ah, Mur... che fai stasera? Lyfia ti ha parlato della-"
"Della festa? Me l'ha accennato. Non credevo che fossi intenzionato a partecipare." lo stroncò Mur. Probabilmente non era sua intenzione risultare così fastidiosamente puntiglioso, eppure ci riusciva sempre.
Tuttavia ritrovare in lui una caratteristica tipica, dopo tutto quel tempo trascorso a combattere o a perdersi, lo fece ugualmente sentire meglio.
Alzò le spalle con indifferenza.
"Non mi costa nulla. E poi potremmo comunque cercare delle informazioni." spiegò, omettendo di confessare che l'ultima parte gli era venuta in mente sul momento.
Mur sembrava comunque coinvolto dalla sua iniziativa.
"E' una buona idea." disse, annuendo. I lunghi capelli rosa, ora sciolti sulle spalle, si mossero elegantemente in risposta a quel movimento.
Stava per tornare a rivolgersi verso la scrivania, quando si fermò.
Lanciò uno sguardo a Ioria, che lo scrutò sospettosamente di rimando.
"C'è qualcosa che non va?" chiese, atono.
L'altro si portò una mano al mento, con un'aria pensierosa.
"Non puoi uscire di casa vestito così." stabilì, come se non fosse un'ovvietà della quale Ioria stesso era a conoscenza.
Quest'ultimo provò a farglielo presente, ma Mur non gli diede tempo di intromettersi.
"Vieni nella mia stanza, più tardi. Penso di avere qualcosa che fa per te."
"Tu credi?" ribadì Ioria, con una vena di sarcasmo nella voce.
Ma l'espressione di Mur, severa e determinata, era incontestabile.
Di fronte a tanta austerità non gli rimase che alzare le mani in segno di resa. "D'accordo, come vuoi. Più tardi passo." gli concesse.
Ottenne in risposta un distratto cenno del capo, segno che l'altro era tornato immerso nei suoi documenti, accatastati sulla scrivania in modo disordinato.
Ioria sospirò, scuotendo il capo.
"Beh, buon lavoro." disse, allontanandosi verso la scala a pioli. Attese di sentire qualcosa che almeno rassomigliasse vagamente un ringraziamento, ma dalla stanza non si levò alcun suono.
Storcendo il naso, tornò al piano di sopra.
Doveva essere grato per il fatto che certe cose non cambiavano mai.

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