— The Hades Chapter: Interlude (PROLOGO, parte 2) —


✖ WARNING NSFW / R-18, da un certo punto del capitolo in poi ✖

La porta del bagno si aprì, rivelando l'esitante figura di Sirio dall'altra parte.
Andromeda, che in un primo momento aveva sussultato, si rilassò immediatamente.
"Sei tu" mormorò, distendendo l'espressione in un sorriso.
L'altro ricambiò, avanzando verso la vasca. "Tuo fratello è uscito. Ora possiamo stare tranquilli." disse. Poi si sporse verso Pegasus, il cui corpo immobile sedeva di fronte a Andromeda, nudo e parzialmente insaponato.
"Fate il bagno eh?" si rivolse a entrambi, come se anche lui potesse rispondergli. Andromeda provò una stretta al cuore, ma fece finta di niente e continuò a sorridere.
"Certo!" rispose anche, sollecitando Pegasus ad annuire. Portò le dita sul suo mento e gli mosse la testa. Questo ciondolò, inespressivo.
Il sorriso di Sirio si spense a poco a poco. Andromeda ignorò il mutare della sua espressione, e non demorse.
"E' una rarità vederlo così contento di fare il bagno, eh?" constatò, tirando il ragazzo verso di sé e ricominciando a insaponargli le spalle. Le loro gambe erano intrecciate in un modo che un tempo, Andromeda, avrebbe definito stimolante. E probabilmente lo era ugualmente, anche in un momento del genere, benché non avesse il tempo di trarne piacere.
Sirio ridacchiò tristemente. "In effetti. E' strano che..." esitò, forse per trovare le parole esatte.
"Che non abbia fatto storie."
L'enunciato si trascinò in un sussurro appena udibile, che Andromeda non riuscì a biasimare.
Per quanto tempo ancora avevano intenzione di far perdurare quella storia?
Lui e Sirio erano rimasti gli unici disposti a crederci, o quantomeno a fingere di poterlo fare.
Un rumore metallico lo fece trasalire. Smise di muovere la spugna in moto rotatorio sulla pelle di Pegasus e si voltò di scatto.
Sirio si era slacciato la cintura dei pantaloni, e l'aveva fatta scivolare a terra insieme ad essi. "Vi spiace se mi unisco?" domandò, rivolgendo un sorriso in risposta all'espressione perplessa di Andromeda.
Quest'ultimo si riscosse velocemente, e fece di no la testa. "E' sempre un piacere!" disse, trascinando Pegasus un po' più vicino a sé, per lasciare spazio al più grande. Sirio scalciò con disinvoltura i pantaloni e continuò a spogliarsi.
Andromeda riprese ad occuparsi di Pegasus, accendendo il doccino e sciacquando via la schiuma dal corpo inerte del ragazzo.
"Ecco qua" sussurrò, accarezzandogli le ciocche di capelli bagnati che gli ricadevano agli angoli del viso. I suoi occhi, d'un rosso spento, erano fissi e vacui. Il viso era sciupato, pallido. Quel colorito che lo caratterizzava era completamente estinto, per lasciare spazio alla pelle tirata e agli zigomi troppo marcati. Anche il suo corpo aveva subito una regressione. Si intravedevano le costole e la linea della colonna vertebrale. Andromeda serrò le labbra, cercando di non dar peso a quei dettagli che sin troppe volte si era trovato a soppesare, e continuò a lavare Pegasus.
"Okay, sto arrivando."
Sirio, ora completamente nudo, si fece spazio nella vasca. Andromeda indietreggiò, aderendo con la schiena al bordo. Il più grande si scostò i capelli di lato e allargò le gambe, affinché Pegasus potesse stanziare in mezzo.
"Quanto è ingombrante." constatò, sporgendosi di lato per riuscire a guardarlo negli occhi. Andromeda ridacchiò, le mani sulle spalle di Pegasus. "Non essere crudele!"
"Ah, io sono solo sincero." ribatté Sirio, alzando le mani in segno di resa.
Aveva le braccia muscolose, il fisico scolpito, la pelle segnata da ematomi e cicatrici di ogni forma e dimensione. In confronto a Pegasus, che sembrava più magro e malconcio ogni giorno che passava, aveva una presenza decisamente vigorosa. Con i capelli lunghi che gli scivolavano sulle spalle, le punte parzialmente bagnate e le gambe slanciate e sode che entravano a contatto con le sue ogni volta che si muoveva, risultava davvero bellissimo.
Andromeda arrossì debolmente nel constatarlo.
"E' tutto a posto?" domandò Sirio, facendolo sobbalzare. Andromeda annuì ripetutamente, cercando di eludere l'imbarazzo.
"Certo, certo!" disse, spostando lo sguardo su Pegasus, che ciondolava in avanti senza alcun sostegno. "Oh." commentò, issandolo meglio.
Sirio, dietro di lui, gli afferrò i fianchi per evitare che cadesse.
"Che sprovveduto." disse, guardando l'amico con un'aria divertita. I suoi occhi, profondi e scuri, erano colmi di dolcezza. Andromeda era grato a Sirio, perché cercava in tutti i modi, come lui, di salvare il loro gruppo, di tenere viva la speranza che un giorno Pegasus si sarebbe risvegliato.
Il modo in cui fingeva che il ragazzo fosse lì, senziente, presente come lo era sempre stato e non immobile e distante, lo aiutava a sopportare quella situazione. Senza di lui, Andromeda forse si sarebbe arreso già da tempo.
Sirio si mosse, provocando un increspamento nell'acqua. La sagoma di Pegasus reagì passivamente al suo gesto, ondeggiando leggermente.
"Occupati di te, Andromeda" disse, issandosi in ginocchio e sporgendosi sul ragazzo di fronte a lui. "Con questo qui finisco io."
Andromeda si rese conto di avere ancora i capelli asciutti, e di non essersi nemmeno insaponato. Il più grande lo stava fissando, sottolineando proprio ciò che lui aveva appena constatato. Sotto al suo sguardo indagatore, strinse istintivamente le gambe.
"Grazie, Sirio" mormorò, lanciandogli un'occhiata riconoscente.
"Figurati" replicò questo, tirando Pegasus a sé.
Ora che aveva più spazio, Andromeda si dedicò al proprio corpo.
Sirio continuava a rivolgergli la parola, senza mancare di coinvolgere il terzo componente in tutte le loro conversazioni.
"Guarda" disse Andromeda d'un tratto, col dito sporco di bagnoschiuma. Con esso tracciò dei segni sulle guance di Pegasus.
Sirio scoppiò a ridere clamorosamente. Non era da lui, di solito aveva un modo di fare contenuto e posato, anche quando si lasciava andare.
In quel caso, invece, sembrava sinceramente divertito.
"Che cosa stupida" disse, toccando i marchi che Andromeda aveva appena disegnato. Si sporcò di bagnoschiuma, quindi immerse la mano nell'acqua, sino a farlo disperdere.
"A Pegasus piacerebbe..." Andromeda incespicò: "/Piace/ di sicuro. Non è vero, Pegasus?"
Non ottenne risposta. Il sorriso di Sirio, di nuovo, si spense rapidamente, per lasciar posto a un'espressione amara.
Andromeda si morse il labbro, per impedirgli di tremare. Fronteggiò la figura di Pegasus, priva di spira e mossa solo dal respiro, che sembrava una stupida imposizione.
"Guardami" avrebbe voluto dirgli, perché fissare quegli occhi simili a cavità aveva incominciato a farlo sentire altrettanto vuoto. "Parlami", perché ne aveva abbastanza del silenzio, che soffocava la voce invadente e bellissima a cui era da sempre abituato.
"Che cosa stiamo facendo?" domandò Sirio, la voce incrinata. Andromeda sollevò lo sguardo, e vide che aveva appoggiato la testa contro la spalla di Pegasus. Le sue braccia cingevano il corpo esile del ragazzo, facendolo sembrare ancora più piccolo.
A quella domanda, nemmeno lui poteva rispondere.
Istintivamente, si lasciò cadere contro al petto di Pegasus.
Quante volte aveva desiderato il suo corpo, quante le sue attenzioni, e quante ancora il suo amore?
Ora era lì, tra le sue braccia, nudo e bisognoso. Ma non c'era nessuna stretta possessiva a circondarlo, non c'erano parole rassicuranti, non c'era quel sorriso radiante che l'aveva fatto innamorare perdutamente.
Solo silenzio, e il battito clinico e statuario di un cuore privo di sentimenti.
Eppure, batteva. Così temerario e ardito, come il riflesso di un animo altrettanto furioso e desideroso di giustizia. Lottava, dall'interno. Nel suo rimbombo, proclamava la sua presenza.
Andromeda lo realizzò lentamente. Lo sentì echeggiare dentro di lui, come un richiamo lontano.
E capì.
Comprese che fino a che la vita avrebbe continuato a scorrere dentro di lui, Pegasus sarebbe stato vivo.
Determinato, sollevò lo sguardo. Sirio era ancora stretto al corpo di Pegasus. Respirava lentamente, senza parlare. Andromeda poggiò la mano sulla sua e gliela strinse, facendolo sussultare.
Quando questo sollevò lo sguardo, e i loro occhi si incontrarono, sorrise.
"La cosa giusta." disse, facendo scivolare il palmo bagnato sulle sue dita rigide. Percorse le sue cicatrici, sentì la pelle increspata, toccò là dove essa diventava più calda, a contatto con il corpo di Pegasus.
"Stiamo facendo la cosa giusta."

* * *

Pioveva a dirotto.
Spilli d'acqua s'infrangevano sul terreno fangoso, riducendolo ad una melma difficile da attraversare. Crystal si trascinava a fatica lungo la salita che portava alla sua destinazione.
Determinato, non si lasciava scalfire dalla tempesta: il vento era ridotto a un misero solletico, la pioggia a un impatto rinfrescante.
Ciò che lo aspettava alla fine di quella tortuosa traversata, valeva tutti i suoi sforzi.
Là dove mise piede, il terreno scosceso franò. Ciottoli e sassi di diverse dimensioni precipitarono giù per il dirupo sollevando una nuvola di polvere, smorzata solo dalla pioggia.
Crystal rimase in equilibrio precario come per miracolo.
"Maestro..." mormorò, stringendo i denti.
Non poteva permettersi di rallentare.
Il percorso proseguì nel silenzio più totale. Solo la natura, intorno a lui, sembrava volersi sfogare. Di tanto in tanto tuoni e boati crepitavano in lontananza, preceduti da lampi che spaccavano in due il cielo plumbeo.
D'un tratto, Crystal la vide. Incastonata nel fianco della montagna, come una scultura naturale, c'era una roccia scolpita. E in essa, vi erano imprigionati i Cavalieri d'Oro.
Nonostante fosse ormai abituato a quella visione, gli si strinse il cuore e lo stomaco parve annodarglisi di colpo.
Incurante di tutto, percorse correndo gli ultimi metri che lo separavano dalla figura statuaria di Aquarius, e quando lo raggiunse si gettò contro essa, come se si trattasse del suo stesso corpo.
"Maestro!" esclamò, stringendosi forte alla sua sagoma fradicia e fredda.
Il contatto con la pietra lo fece sussultare, come se d'improvviso si fosse ricordato di una cosa importante. Si staccò velocemente da lui e si chinò a frugare nello zaino che portava in spalle.
"Dovete aver preso un sacco di freddo" disse, allarmato. Trovò, tra le varie cose che si era portato dietro, la coperta di lana che stava cercando.
"Mi dispiace di essere arrivato così tardi." aggiunse, tirandosi su e iniziando ad avvolgerla intorno alla statua. Lo coprì per bene, dalla testa al busto, là dove il suo corpo andava a fondersi con il resto della roccia.
Nel farlo, si soffermò ad ammirare i lineamenti rigidi del suo volto, immortalato in quell'espressione severa che esibiva abitualmente. Bello come un Dio e, almeno nel suo cuore, ugualmente importante.
Gli stessi Dei avevano compiuto un errore fatale, a rinchiudere la sua bellezza senza tempo in una statua che chiunque avrebbe potuto rimirare: non si sentivano sfidati da tanta magnificenza? Crystal non aveva mai visto niente di più mozzafiato.
Non solo Aquarius: l'intreccio di tutti i Cavalieri d'Oro, catturati in quelle posizioni dinamiche e vive, con i corpi nudi e le espressioni cariche di determinato risentimento rendeva la scultura un capolavoro senza eguali.
Così crudele, pensò Crystal, riservare un simile fato a degli esseri umani che avevano commesso un semplice, futile errore, a riprova della loro natura.
Un principio di rabbia prese forma dentro di lui, infervorandolo.
Quando andava a trovare Aquarius, era sempre così. Un susseguirsi di sensazioni, emozioni contrastanti che lottavano dentro di lui, facendolo sentire piccolo e inutile persino dinnanzi ad una manciata di corpi scultorei, privi di vita e percezione.
Alla collera generalmente succedeva l'impotenza e poi, ancora, il senso di colpa per non essere riuscito a impedire che quel disastro avvenisse, e per non essere in grado di prendersi cura di tutti quanti allo stesso modo.
Aveva solo una coperta, e l'aveva portata ad Aquarius.
"Mi dispiace" sussurrò, più per convincere se stesso.
Quando ebbe finito di coprirlo, si allontanò di qualche passo, per rimirare il proprio operato.
Sorrise stancamente. Anche un tempo, Aquarius, amava farsi vezzeggiare in ogni maniera.
Sembrava un bambino, quando pretendeva che Crystal lo aiutasse persino ad infilarsi la giacca, troppo sbadato per rendersi conto di averla allacciata storta, oppure addirittura al contrario.
"Non cambiate mai." borbottò, facendo di no con la testa.
Ed era vero. Niente, di lui, aveva subito una mutazione. Intoccato e puro, risplendeva ancora in tutta la sua giovane inflessibilità, oggi come ieri.
Era inconcepibile che un'insulsa rappresentazione di quel genere fosse divenuta l'unico appiglio nella vita di Crystal. Poter vedere il suo maestro, anche se ridotto in quelle condizioni, gli dava la forza di andare avanti.
Stava addirittura incominciando a dimenticare il fatto che fosse morto. Lui era lì, di fronte a lui, ed era così vero...
Cinse di nuovo le braccia al collo della statua, affondando il viso nell'incavo della sua spalla.
"Maestro..." chiamò, con la voce spezzata.
Per la prima volta percepì finalmente il freddo pungente, la sensazione di fradicio sui capelli e sui vestiti, che si erano incollati al suo corpo appesantendolo.
Si scontrò con la granitica durezza che componeva il corpo di Aquarius, e, spinto dal panico, lo baciò. Non sapeva il perché di tanta foga, ma il terrore che potesse sfuggirgli dalle mani, anche quando concretamente nemmeno lo possedeva, aveva preso il sopravvento dentro di lui.
Le mani percorsero il suo profilo, armeggiarono sulla roccia come se potesse rassomigliare la morbidezza dei capelli di Aquarius. La coperta che un attimo prima aveva pazientemente avvolto intorno a lui gli scivolò sulle spalle, scoprendogli la clavicola.
Crystal tremò, alla vista del corpo del suo maestro di nuovo esposto.
Insistentemente, insinuò la lingua nella fessura delle labbra, immaginando di affondare nella bocca di Aquarius e di finire avvolto da un bruciante calore. L'alienante delusione del non poter violare nulla lo fece gemere di stremata impotenza, ma non demorse.
Leccò più volte la superficie liscia e bagnata, fino a che non l'ebbe imbrattata così tanto da riuscire a distinguere la consistenza della propria saliva, messa a confronto con l'acqua piovana.
"Ma... maestro..." ansimò, prendendogli il viso tra le mani. L'espressione vacua, fissa di Aquarius lo fece arrossire di vergogna. Si sentì come trafitto dalla sua aria di rimprovero, e percepì tutto il sangue che aveva in corpo confluirgli in mezzo alle gambe, in una pulsante necessità.
Si accorse che le sue mani stavano tremando. Per imporre loro il dovuto controllo, le fece scivolare lentamente sulla statua. Percorse la linea dura della sua mascella, scendendo sul collo e accarezzandogli le clavicole sporgenti, che un attimo prima aveva messo in evidenza.
Dentro di lui ardeva il desiderio di farsi consumare da Aquarius fino a che entrambi non fossero diventati una cosa sola. Una cosa del genere non poteva accadere, ma l'impossibilità di farlo non riusciva ugualmente a quietare le sue fantasie.
Quante volte aveva sperato di poterlo toccare come stava facendo ora, abbandonandosi a lui per sempre in segno di rispetto, devozione e sconfinato amore nei suoi confronti?
Infilò le mani sotto alla coperta, scendendo lungo il petto. Si fermò a contatto con i capezzoli e trattenne un verso di piacere quando li strinse tra le dita.
"Dio... santo." ringhiò, sbattendosi rudemente contro la statua. Con una mano rimase ancorato ad essa, mentre con l'altra andò a scostarsi bruscamente la maglia, per introdurvisi sotto.
Si toccò come stava facendo con Aquarius e gemette forte, sovrastando lo scrosciare della pioggia.
"Maestro." disse con decisione, graffiandolo e riservandosi il medesimo trattamento.
Le dita, a contatto con la roccia, gli rimandarono un dolore acuto. Probabilmente si era spezzato un'unghia, ma non se ne curò minimamente.
Le sue non erano come quelle del maestro, estremamente lunghe e acuminate, simili ad artigli. Se solo anche le sue mani fossero state visibili, si sarebbe volentieri fatto trafiggere.
Quel ricordo, misto al proposito appena immaginato, alimentò in Crystal la necessità.
Fece scivolare la mano sul proprio ventre. Quella poggiata sul petto di Aquarius scese allo stesso modo, tastando le forme marcate dei suoi addominali, il solco delicato dell'ombelico.
E lì dove la statua incontrava la sua fine, lui proseguì. Dovette abbandonare il corpo del maestro, perché slacciarsi i pantaloni in quelle febbricitanti condizioni richiedeva lo sforzo di entrambe le mani. Con le dita che tremavano fece scivolare la zip e afferrò con decisione la propria erezione, che già gli tendeva le mutande con insistenza.
Fu così brusco che gli venne da stringere le cosce, a causa del piacere suscitatogli da quel gesto. Anche la vista gli si era annebbiata, benché Crystal attribuisse il fatto alla pioggia.
Alzò lo sguardo per incontrare quello di Aquarius, e quando fu certo di essere sotto la sua più completa supervisione iniziò a toccarsi. Non seguiva un ritmo preciso, ma anzi muoveva le dita e le mani con ardore, ansimando senza ritegno e chiamando in continuazione il nome di Aquarius.
Ma non era abbastanza.
"Cazzo." ringhiò, stringendosi violentemente sulla punta, come a ricercare maggiore stimolo.
E poi in un gesto immediato si calò anche i boxer fradici, facendoli increspare sulle gambe. Le divaricò, traendo soddisfazione nell'essere completamente esposto, senza alcun ostacolo che si frapponesse tra lui e il suo obiettivo.
L'acqua gli colava ora tra le cosce, facendolo sentire nudo e violato.
"Hai visto, Camus?" disse, riprendendosi il cazzo eretto in mano, spingendolo in su come per farglielo rimirare. Si sentiva stordito, colmato di una miriade di sensazioni diverse tutte in un solo momento. L'essersi azzardato a chiamare il maestro con il suo vero nome lo fece sentire disobbediente, e questo risvegliò in lui le memorie della sua infanzia, di tutte le volte in cui si era ritrovato sulle ginocchia di Aquarius.
Si avvinghiò alla statua, strusciò la punta dell'erezione sul ventre bagnato del suo maestro. Sentiva la pressione delle vene pulsanti sotto alle dita, i muscoli rigidi del corpo dell'uomo premuti contro di sé.
E lo volle, lo volle ancora di più, lo volle per ogni spinta che muoveva e con ogni fibra del suo essere.
"Sono... un cattivo bambino, non è vero?" domandò, forzando il proprio cazzo contro Aquarius, un'altra volta. Il silenzio ricevuto in risposta non lo fece demordere.
Ancora più disperato, e ancora più bisognoso, riprese a spingersi.
"Dovreste dirmelo" sussurrò, sfregandosi una mano tra le gambe, stringendo tra le dita i testicoli.
Si piegò in avanti, la testa sul petto della statua, i capelli fradici incollati al viso. Si sbatteva così velocemente e bruscamente da non lasciarsi spazio per respirare.
L'ultimo scossone che diede al suo corpo lo fece inarcare mostruosamente. Si issò così velocemente da provare un'immediata spossatezza, e venne vergognosamente sul corpo statuario del suo maestro.
In un primo momento, quasi sconvolto dall'immediatezza con cui aveva raggiunto l'orgasmo, rimase immobile. Aveva il bacino a contatto con la roccia gelida, e il cazzo ancora sollevato contro essa. Là dove l'elastico delle mutande stringeva le cosce provava fitte di dolore acuto, e la pelle arrossata suggeriva che sotto vi fosse già l'accenno di solchi leggeri.
Ansimante, sollevò finalmente lo sguardo.
Si ritrovò faccia a faccia con Aquarius, e questa volta i suoi occhi privi di espressione gli suscitarono un'ondata di sensazioni completamente differenti da quelle che aveva sperimentato fino a quel momento.
L'eccitazione c'era ancora, lì, agglomerata nei punti caldi del corpo in cui si era stimolato, ma all'improvviso la temperatura interna si ridusse a zero e l'impatto fu così raggelante da lasciarlo spiazzato.
Il viso, improvvisamente, fu inondato di lacrime salate. Crystal non potè fare nulla per evitarlo, poiché semplicemente non aveva fatto niente perché accadesse.
Un dolore lancinante si impadronì di lui, ostruendogli la mente, strizzandogli il cuore come se un macigno vi fosse atterrato sopra. Lo zampillo di sangue del suo immaginario s'era riversato fuori da lui sottoforma di un incontrollabile e spaventoso pianto.
"Maestro..." si scostò dalla statua solo perché le gambe gli cedettero, e lui si ritrovò in ginocchio ai suoi piedi.
Quante volte l'aveva implorato, semplicemente appellandolo?
Abbassò lo sguardo, ma se ne pentì immediatamente. I pantaloni alle caviglie, i boxer abbassati, le ginocchia sbucciate dove l'impatto con il terreno le aveva lesionate... era tutto così ridicolo. Aveva appena disonorato una persona morta, stimolandosi sessualmente sul monumento che la raffigurava.
Si era comportato come un ragazzino, come al solito, nonostante avesse giurato proprio ad Aquarius, in punto di morte, che da quel giorno sarebbe divenuto un uomo.
"Ma...estro..." ma la parola gli morì tra le labbra, mentre si abbassava a toccare la base della scultura con la fronte. A pochi centimetri dal suo viso, stanziava il suolo fangoso.
Era la posizione adeguata per quelli come lui.
Ai piedi di Aquarius, sempre e comunque. Ora nudo, umiliato e pieno di vergogna.
Disperato.
Che senso aveva? Cosa gli rimaneva, ora che dell'uomo che amava con tutto se stesso non restava altro che una statua di pietra?
Con tutto il fiato che gli era rimasto in gola, Crystal gridò.



Aquarius cadde allo stesso modo di Crystal, le gambe che gli tremavano febbrilmente. Aveva lo sguardo fisso di fronte a sé e boccheggiava sconvolto, incurante del rigolo di saliva che, dall'angolo della bocca, scivolava giù lungo il mento.
Il suo corpo era un fascio di nervi, percorso da brividi che lo facevano sentire sbagliato, sporco, corrotto, ma allo stesso tempo estremamente... vivo. E bisognoso.
"Crystal..." mormorò, con la voce così alterata da sembrare appartenente a qualcun altro.
Ogni zona del corpo in cui era stato toccato dal suo allievo ora bruciava tremendamente, corrodendolo dall'interno.
Istintivamente, si portò una mano tra le cosce, e trasalì violentemente.
"Crys...tal."
Le ultime lettere del suo nome si distorsero in un singhiozzo che non riuscì a ricacciare indietro. E poi di nuovo, un tremore spasmodico lo scosse dalla testa ai piedi, facendolo incurvare nelle sue stesse spalle, costringendolo a prendere atto della propria miserabilità.
Forse un tempo era stato un Cavaliere d'Oro, ma ora di lui rimaneva solo un uomo. Un uomo che era disposto ad accettare ogni genere di punizione nella vita, e anche nella morte.
A patto che essa non riguardasse Crystal.

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