— On the Road (Capitolo 1, L'ultima Pioggia dell'Estate) —


Aichi era quasi certo che quel giorno, mentre loro scappavano, stesse piovendo. Aveva ricordi frammentari di quell'esperienza, a dire il vero. Il colore grigio che predominava incontrastato su di lui e la schiacciante umidità che sembrava volesse costringerlo a terra come una misteriosa forza di gravità, però, rimanevano nitidi nella sua mente.
Ciò che ancora lo destabilizzava, a ripensarci, era /lui/. La sua immagine completamente sbiadita, sfocata, impercettibile.
Anche adesso che non pioveva più, e l'aridità del deserto divorava, incontrastata, tutto.
Gaillard era in piedi a pochi passi da lui, ma l'afa ne distorceva crudelmente la figura.
Come se fosse un miraggio.


[ARIZONA, HISTORIC ROUTE 66, ROADKILL CAFE]
Kai rimase seduto sulla sua Harley Davidson per cinque minuti buoni, prima di decidersi a realizzare e infine ad accettare quanto fosse appena accaduto.
Avevano trovato un posto. Un posto frequentato da gente, nel quale era possibile rifornirsi, e sfamarsi e riposarsi.
Persino per uno come lui, che di rado si lasciava trasportare dalle emozioni, adesso era difficile trattenere l'entusiasmo.
"Miwa..." chiamò, nello stesso identico istante in cui l'altro pronunciava il suo nome. La cosa scaturì una risata nell'amico, anche lui su di giri per il rinvenimento appena fatto.
"Finalmente un letto in cui dormire!" commentò, decidendosi finalmente a schiodarsi da Kai.
Questo lo lasciò smontare dalla moto, poi fece lo stesso. Si disfò del casco, seguito in automatico da Miwa, e sistemò il tutto sotto alla sella.
Quando ebbero finito di assicurare la moto, i due concordarono che fosse arrivato il momento di avviarsi all'interno del locale.
Il Roadkill Café era il tipico pub americano che prediligeva la vita notturna a quella diurna. C'erano luci a intermittenza ovunque e sul palco allestito in fondo alla sala si stava esibendo un pianista squinternato, circondato da vallette più nude che vestite.
Non era il genere di posto che Kai era solito frequentare, e anche Miwa sembrava della sua stessa idea. Gli si avvinghiò ad un braccio e non lo mollò nemmeno quando furono arrivati al bancone.
La musica troppo forte impediva la comunicazione, perciò Kai decise di non lamentarsene. Lì dentro nessuno prestava loro attenzione, anche se per un secondo ebbe la sinistra sensazione di essere osservato da qualcuno.
Davanti a loro si parò immediatamente un barman, con una tenuta appariscente ma distintiva. Sul petto aveva appuntato il nome "Daigo".
"BUONGIORNO SIGNORI" li salutò immediatamente, con un fastidioso accento del sud che appesantiva le vocali di ogni parola. "Cosa vi preparo?"
Kai si rese conto che era facilmente presupponibile che chiunque sostasse al bancone fosse in procinto di ordinare qualcosa da bere. Non era il loro caso, visto che cercavano solo una stanza e qualcosa da mettere sotto i denti. Avrebbe dovuto chiedere a qualcun altro.
"Oh, io non prendo niente." disse, scaturendo in Miwa una reazione destabilizzata. Prima ancora che potesse aprire bocca si sporse verso di lui e gli cacciò in mano il portafogli che conteneva i loro 'fondi condivisi'. "Ma tu sì" gli sussurrò all'orecchio, per farsi sentire abbastanza vicino e al di sopra della musica. Il tono di voce era imperativo, il che implicava che Miwa dovesse obbedire senza fiatare.
Un concetto che l'altro non colse, perché dopo essere rimasto a boccheggiare per cinque secondi buoni senza spiccicare una singola parola si riscosse furiosamente e cercò di rifilargli il portafogli appena ottenuto.
"Sai che non bevo alcolici" ringhiò, sfoderando la sua tipica espressione infastidita. L'assumeva sempre quando si intestardiva, e Kai non aveva voglia di perdere il suo tempo a discutere con il suo migliore amico mentre qualcun altro gli soffiava la possibilità di prenotare una stanza da sotto il naso.
Visto il pienone di quella notte, era una possibilità da mettere in conto. Sbuffando innervosito, afferrò Miwa per il bavero della giacca e se lo trascinò così vicino che per poco non sbatterono la testa l'uno contro l'altro.
"Prendi qualcosa da bere mentre io vado al bancone degli alimentari e ci procuro una stanza" sibilò minaccioso, concentrando nello sguardo quanta più durezza possedesse. Di solito funzionava.
Miwa infatti sbarrò gli occhi e per un attimo rimase in balia delle sue mani, sollevato dallo sgabello e in punta di piedi, senza dire o fare assolutamente nulla.
"D-d'accordo" gli concesse poi. E solo allora ebbe la decenza di dimenarsi, per far sì che Kai lo liberasse dalla sua presa ferrea.
Quando questo lo fece non ebbe la minima premura nei suoi confronti, e lo mollò malamente rischiando anche di farlo rovinare in terra. "E-ehy vacci piano, però!" commentò l'amico, appoggiandosi al bancone per acquisire stabilità.
"Pezzo di m-"
"Hai detto qualcosa?"
Kai lo scrutò dall'alto verso il basso, inarcando un sopracciglio. "Haha, ma no, figurati" ribatté Miwa, ridacchiando nervosamente.
Kai sospirò. Voleva solo che ordinasse un dannato drink fingendo che fosse la cosa più naturale del mondo. Se passavano per dei tizi sospetti, in un posto del genere avrebbero seriamente rischiato di rimetterci la pelle.
"Io vado." decretò, voltandosi per allontanarsi. "Mi raccomando" ribadì però, girandosi un'ultima volta per fulminare Miwa con lo sguardo. Questo sussultò, e storse successivamente il naso, infastidito. "Certo, certo. A dopo." aggiunse, accompagnando il tutto con un gesto allegro della mano.
Kai ricambiò con molto meno entusiasmo. Un cenno veloce, poi si addentrò tra la folla.



Miwa si trascinò sul bancone, stremato. Solo in quel momento si accorse che il barman stava ancora aspettando il suo ordine, evidentemente perplesso ma ancora disponibile.
Immediatamente sollevò la testa e si sistemò meglio sullo sgabello: "Oddio mi scusi" si affrettò, incespicando nel cercare di rivolgere le dovute giustificazioni al tizio e, al contempo, perquisire con lo sguardo le svariate categorie di alcolici che stanziavano alle sue spalle.
Alla fine sparò uno dei nomi più improbabili che gli capitarono sottomano e si accasciò nuovamente col busto lungo e disteso sul bancone.
Kai...
L'aspetto del suo carattere che giocava con i suoi sentimenti era difficile da sostenere. L'aveva accettato da tempo, come del resto aveva fatto con ogni difetto del suo essere, ma era difficile imporre a se stesso di non soffrire quando ne veniva a contatto.
Faceva male. Anche con ogni giustificazione possibile, plausibile e giustificabile... continuava a lacerarlo dentro.
Miwa poteva ancora sentire il suo respiro caldo sulle labbra, o il suo sguardo duro e freddo a penetrargli la mente. Kai lo distruggeva e teneva insieme al contempo. Miwa voleva essergli d'aiuto, ma stava iniziando a comprendere che quello più bisognoso dell'altro fosse lui.
Continuava ad augurarsi che fosse il contrario, ma in cuor suo già conosceva la risposta: non lo voleva. Kai non l'aveva mai voluto.
Il barman, Daigo gli servì il suo drink. Miwa sobbalzò a causa dell'intensità con cui aveva piazzato il bicchiere sul bancone.
"Non sei di qui, eh? Quella roba è la più forte del locale. Ti sfido a berne un bicchiere senza sbronzarti completamente"
Miwa trasalì di nuovo. Questa volta non era stato un rumore forte a ridestarlo, ma la voce di un uomo che aveva tutta l'aria di essersi appena rivolto a lui. Sollevò lo sguardo dall'iridescente liquido bluastro che spumeggiava nel bicchiere, per ritrovarsi faccia a faccia con il suo interlocutore.
Era... un tipo strambo. Il modo in cui era vestito suggeriva già la cerchia a cui appartenesse, con cinghie e catene che adornavano i jeans stretti e il gilet borchiato. La maglia senza maniche che indossava sotto a quest'ultimo era decisamente aderente.
A Miwa spiaceva giudicare solo dall'apparenza, ma sembrava uscito da un bordello sadomaso. No, anzi, in quel caso ne sarebbe stato il capo.
Aveva una presenza davvero spaventosa.
"Jun" disse questo, tendendogli la mano. Il sorriso che gli rivolse non era né amichevole, né disinteressato.
Inquisitore, forse. Sembrava che lo stesse scrutando. Miwa la strinse cercando di apparire disinvolto, presentandosi a sua volta.
"Miwa" ripeté Jun, aggiungendo enfasi al suo nome.
Sentirsi chiamare in quel modo da qualcuno che non fosse Kai gli fece uno strano effetto.
"Quello che era con te, prima... è il tuo ragazzo, ah?" aggiunse poi, di getto, senza lasciare tempo a Miwa di intromettersi nel discorso. Quest'ultimo per poco non si strozzò con la sua stessa saliva - il drink non l'aveva ancora minimamente sfiorato -. Kai, il suo ragazzo?
Era l'utopia più segreta e recondita che conservasse nella mente. Un sogno che coltivava sin da bambino, altrettanto consapevole di non avere alcuna possibilità di realizzarlo.
Crudele.
L'affermazione dell'altro era invasiva e tagliente. Fuori luogo.
"N-non è il mio ragazzo, perché?" rispose, azzardando l'altro quesito.
Jun ridacchiò, con una disinvoltura irritante e alzò le spalle. "Mi sembravate coinvolti in quel genere di rapporto. Ma tanto meglio" proseguì, facendosi più vicino.
Miwa ebbe l'istinto di indietreggiare, ma l'altro gli afferrò le braccia e lo tirò violentemente a sé.
Le loro fronti si scontrarono e anche le loro labbra furono ad un passo dal farlo. "Perché non mi sarei lasciato sfuggire un bocconcino come te per nulla al mondo" concluse Jun.
Miwa sgranò gli occhi quando si ritrovò la lingua dell'altro nella bocca. Venne pervaso da un ammaliante sapore di fumo che lo attaccò alla gola e gli diede l'impressione di non poter più respirare. Le mani di Jun scivolarono lungo le sue braccia e gli cinsero possessivamente i fianchi. Miwa provò a liberarsi dalla sua stretta, ma era imprigionato.
Voleva gridare, ma ogni tremito della sua lingua veniva colmato da quella dell'altro. Non poteva abbandonarsi a quel bacio, ma lo fece ugualmente. Più cercava di sfuggirgli, più in realtà andava a fondo nella sua bocca, e si scontrava con lui e tremava a sentire le dita dell'altro che si irrigidivano sulla sua vita esile.
Poi, un pensiero fulmineo: Kai.
Che cosa stava facendo? Miwa non lo voleva. E ne era consapevole anche il suo corpo, che ancora si dibatteva. Cos'era quella forza inversa che, al contrario, lo inchiodava sempre di più al corpo di Jun?
D'un tratto, l'altro lo afferrò per i capelli. Fu così netto e improvviso che Miwa gemette forte sulle sue labbra, prima che questo lo dividesse anche da esse, strappandoselo via di dosso con così tanta violenza da farlo letteralmente sbavare.
"Molto bene" ghignò, ripulendosi la bocca della saliva dell'altro. I suoi occhi non erano quelli calmi e inquisitori di prima: brillavano di una luce perversa, che dardeggiava infuocata nelle sue iridi violacee. Miwa era senza fiato. Ansimava, guardandolo interrogativo, ma non sapeva cosa dire. Di sé, di lui, di ciò che era accaduto e di ciò che stava succedendo in quell'istante.
Jun artigliò maggiormente la presa tra i suoi capelli, e lo forzò più vicino a sé.
"Grazie dello spettacolo, puttanella. Baci che è una meraviglia" aggiunse. Anche il tono di voce non era più calmo, ma sembrava in qualche modo alterato.
Miwa sentì il viso andargli a fuoco: "Cosa vuoi?!" ringhiò, affannandosi per sfuggire dalle sue mani.
L'altro non gli rispose. Lui provò ancora a dibattersi, a dimenarsi, a divincolarsi e per ogni tentativo che esercitava, Jun lo fissava impassibile, strattonandolo di tanto in tanto per scombussolarlo ancora di più.
"Già" commentò tra sé e sé, mentre Miwa gli inveiva contro.
"E' un gran peccato che debba ucciderti, saresti stato un buon compagno di letto."
Fu come se il tempo si fosse fermato in quell'istante.
Le parole di Jun, gli ultimi rintocchi.
Il batticuore di Miwa, il ticchettare delle lancette che andava rallentando. Sempre di più.
"Uccidermi?"
Aveva smesso di muoversi. Sospeso tra la mano di Jun e i suoi stessi piedi, instabili sul pavimento, tremava.
Poi qualcosa lo colpì alla testa, netto, definitivo.
Miwa non fece in tempo a vedere tutto bianco, che qualcosa di nero gli oscurò la vista.
Svenne.


[ARIZONA, HISTORIC ROUTE 66, ROADKILL CAFE]
"Quindi è per questo che a cena eri così agitato"
Il biondo esibì un gesto brusco con la mano, come per liquidare la conversazione.
Ren Suzugamori si strinse nella giacca che Mitsusada gli aveva messo sulle spalle, accavallando le gambe e sbuffando sonoramente.
Ancora non riusciva a credere che quel tale acido dall'altezza ridotta fosse in qualche modo collegato al cliente con cui avrebbe dovuto darsi da fare quella stessa notte.
Era una serie di coincidenze inspiegabili, alle quali non riusciva a trovare un senso.
Mitsusada ridacchiò: "Si notava così tanto? Beh" aggiunse, passandosi una mano sul collo, lievemente imbarazzato "L'idea di mio padre non mi andava proprio a genio".
Lanciò un'occhiata a Ren, che ricambiò il suo sguardo.
Per un attimo i loro occhi rimasero fissi gli uni in quelli dell'altro.
Poi Leon - era questo il nome del biondino saccente - tossì, riportando la loro attenzione sul discorso principale.
"Avresti potuto parlarmene. Sono il tuo migliore amico, dopotutto." esordì, serio.
Ren storse il naso: non gli andava che quei due discorressero tranquillamente degli affari loro nella sua stanza. Non quando lui non aveva più nulla a che vedere con quella storia.
Si alzò in piedi, battendo le mani tra loro, un attimo prima che Mitsusada potesse rispondere.
"Molto commuovente" trillò, ostentando pura allegria. Nel sorriso che rivolse ai presenti, però, non c'era la minima traccia di divertimento. Solo acida irritazione.
"Sono felice che voi due vi siate ritrovati, però preferirei che ne continuaste i vostri festeggiamenti da un'altra parte." aggiunse, questa volta con un tono più serio.
La giacca di Mitsusada, incredibilmente larga su di lui, gli scivolò su un lato scoprendogli la spalla.
Leon si alzò in piedi con la sua stessa rapidità. Il rumore della sedia che strisciava sul pavimento fece voltare Ren immediatamente.
"Zitta, troia. Nessuno ha chiesto la tua opinione." sentenziò, acido. Anche da quella distanza, e seppur così basso, ebbe il potere di farlo sentire piccolo e insignificante.
Provò qualcosa di molto simile all'imbarazzo, e si detestò perché in tutta la sua vita non gli era mai capitato, mai, neppure durante le sue scopate più selvagge.
Prima ancora che potesse ribattere, Mitsusada si intromise.
"Leon! Non mi sembra il caso. In effetti, abbiamo disturbato anche troppo."
Si avviò verso l'amico e l'afferrò per un braccio.
Leon si irrigidì: "Mollami". Ma Mitsusada non lo stava ascoltando. Si voltò verso Ren e gli sorrise.
Quest'ultimo se ne stranì, ma cercò di mantenere un' espressione neutra. Non doveva darla vinta a Leon. E poi, tutto sommato, Mitsusada gli piaceva.
Ricambiò il sorriso.
"Grazie ancora per... ehm... tutto questo." disse l'uomo, iniziando a spingere Leon verso la porta. Questo si divincolò dalla sua presa e, una volta che si fu liberato, proseguì da sé.
Ren scosse la testa, cercando di non dargli importanza e prestare le sue attenzioni solo a Mitsusada.
L'azzurro dei suoi occhi gli facilitò quel compito.
"No, figurati. Avevo voglia di stare a riposo." rispose, attorcigliandosi una ciocca di capelli rossi tra le dita longilinee.
Non che una notte di fuoco con Mitsusada gli sarebbe dispiaciuta.
Ma non poteva dirglielo. Le cose tra loro erano incominciate male, e almeno la chiusura avrebbe dovuto essere piacevole e senza intoppi.
"Beh... allora..."
"Ciao, Mitsusada." lo congedò Ren, forse un po' troppo bruscamente. L'idea di vederlo scomparire oltre la porta per non rivederlo mai più lo metteva in agitazione. E quando era agitato, tendeva ad aggredire più facilmente gli altri. Mitsusada, però, non sembrò notarlo. Gli sorrise di nuovo e lo salutò, il tono di voce caldo: "Ciao, Ren."
Leon non si voltò nemmeno, né aprì bocca. La porta si chiuse alle loro spalle, e Ren rimase solo.
La stanza improvvisamente gli sembrò troppo grande. Rimase a fissare la soglia come se sperasse che, da un momento all'altro, i due potessero rientrare e si sentì uno stupido quando realizzò che, nel subconscio, lo stava desiderando davvero.
Cosa lo aveva colpito tanto? Quella storia assurda, forse? Il figlio di un uomo potente riceveva come regalo di compleanno una prostituta di alto borgo con cui divertirsi, eppure, del tutto contrario all'idea, si fingeva a favore solo per aiutare la propria famiglia a concludere un importante affare con il padre della prostituta in questione. In effetti, aveva un che di romanzesco. Le vicende assumevano sfumature ancora più intricate se si contava l'incontro tra Ren e Leon, che si era poi rivelato il migliore amico di Mitsusada, all'oscuro del regalo di compleanno preparatogli da suo padre e giunto a rovinare la scena proprio quando aveva iniziato a farsi interessante.
Ren sbuffò.
Non aveva senso perdersi in fantasticherie sugli incontri di quel giorno... non li avrebbe più rivisti.
Sarebbero rimasti al Roadkill Café per un po', ma lui aveva altro a cui pensare. E non aveva scuse - né motivi - validi per avvicinarsi nuovamente a loro senza risultare fuori luogo, o profondamente imbarazzante. No, Ren Suzugamori non si sarebbe mai abbassato a tanto.
L'amore per se stesso era più forte di qualsiasi attrazione passeggera.
Se lo ripeté più volte mentalmente, annuendo per dar più veridicità a quanto stava constatando.
Nonostante quello, però, la stanza continuava a sembrargli irreparabilmente vuota. E fredda. A questa nuova realizzazione, Ren rabbrividì.
Si sistemò la giacca di Mitsusada sulle spalle, distrattamente e in un primo momento quasi non lo realizzò.
Solo /dopo/ si rese conto di averla ancora addosso, e che avrebbe dovuto renderla al suo proprietario.
Inevitabilmente, sorrise.
Ora sì, che aveva una scusa per rivedere Mitsusada Kenji.


[ST. JOHNS, ARIZONA, "CASA" DI KAMUI]
Kamui terminò di lavare i piatti incredibilmente in fretta. Non che ci fosse molto lavoro da svolgere, alla fine. Quando ebbe finito di sistemare le stoviglie umide sul lavello, spense la luce della cucina e raggiunse Chrono in salotto. Quella era la stanza più grande della loro abitazione. Non fungeva semplicemente da sala, ma anche da camera da letto. Oltre ad essa c'erano un bagno e un minuscolo ingresso, e il tutto era assortito in pochissimi metri quadri.
Uno schifo, insomma.
Kamui sospirò.
"Tutto bene?" Chrono stava seduto sul suo letto, una branda provvista di materasso sistemata contro il muro dall'intonaco scrostato.
Indossava una canotta nera sgualcita che un tempo era appartenuta a Kamui, e dei boxer sbiaditi. Era la cosa più vicina a un pigiama che possedesse, e ciò si trasformava in uno scomodo svantaggio durante l'inverno. Kamui sorrise stancamente.
"Sei ancora preoccupato per i due lividi che mi ha lasciato Mamoru? Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto" rispose, andando a sedersi all'altra estremità della branda. La sua spavalderia fu subito smorzata da Chrono, che si sporse in avanti a premergli un dito sullo sterno. Kamui si piegò dal dolore e soffocò un'imprecazione.
"Non mi prendere per il culo." borbottò il ragazzino, scostandosi. Il tono di voce era duro, ma Kamui poteva giurare che fosse divertito. "Bastardo" biascicò, quando ebbe riacquistato il respiro. Ma Chrono non gli stava più prestando attenzione. Era intento a leggere una vecchia rivista sportiva, che sfoggiava sulla copertina un pugile dalla pelle olivastra, i capelli bianchi in netto contrasto con essa e gli occhi profondamente dorati. Il titolo recitava: "JAIME ALCARAZ, LA NUOVA PROMESSA DELLA BOXE".
Kamui ricordava ancora quando l'aveva acquistata, più di due anni prima.
Allora Jaime era appena un esordiente, eppure aveva già conquistato i cuori di tutti coloro che praticavano quello sport. Lui e Mamoru non erano un'eccezione. Quell'uomo era la loro fonte di ispirazione, e col tempo avevano trasmesso i suoi valori a tutti coloro che si erano uniti all'associazione di pugilato di St. Johns. Ora anche Chrono era divenuto un suo fan sfegatato.
"Credi sia produttivo? Dico, rileggerti ogni sacrosanta sera quella rivista, come se da un giorno all'altro i suoi contenuti potessero cambiare" lo incalzò Kamui, nel tentativo di distrarre Chrono dal suo attuale impiego. Questo non staccò nemmeno gli occhi dal giornaletto. Si limitò a sorridere in modo sghembo.
"In realtà guardo le foto."
Kamui si sporse in avanti per dare un'occhiata.
C'erano immagini di Jaime a riempire le pagine sulle quali Chrono s'era soffermato. Una fitta di gelosia lo pervase.
"Guardi le foto?" ripeté, cercando di apparire disinvolto. Probabilmente fallì, perché il ragazzino sollevò lo sguardo su di lui, con un sopracciglio inarcato.
"Sì" rispose, dopo un breve attimo di pausa.
"Mi chiedo se un giorno riuscirò a essere figo come lui." continuò.
La fitta di gelosia si ripresentò, questa volta più marcata. Innescò in Kamui una reazione del tutto conflittuale: all'improvviso gli venne da ridere.
"Come puoi dire cose così significative con quella disinvoltura?" chiese, senza celare un sorriso divertito.
Chrono lo fissò sospettoso, probabilmente infastidito. E poi, senza aggiungere altro, si immerse nuovamente nella lettura.
Kamui non se ne stupì nemmeno. Era abituato alle reazioni passive e spesso insensate del più piccolo. Ormai non se ne curava più.
Si alzò dal letto sbadigliando. Nel passargli accanto diede a Chrono un leggero colpetto sulla testa e la mano gli affondò tra i suoi capelli rossi e morbidi. Era una sensazione piacevole.
Per un attimo, intersecò le dita tra le ciocche fresche e rimase fermo a bearsene.
Si scostò quando notò che Chrono aveva smesso di sfogliare la rivista. Era completamente immobile, le labbra serrate e gli occhi spalancati. Sembrava che avesse dimenticato come si respirasse: pareva in apnea.
"Chrono? Ti senti bene?" domandò Kamui, allarmato. Si sporse su di lui per controllare, ma il ragazzino sembrò riprendersi immediatamente.
Gli piazzò entrambe le mani sul petto, per allontanarlo. Kamui, impotente a causa delle ferite fresche, non poté fare altro che indietreggiare "Ahi- ho capito, ho capito!" imprecò, afferrandogli i polsi e scostandoglieli.
"Mi levo dalle palle."
Chrono sorrise trionfante, mentre questo si allontanava.
Kamui scosse la testa, abbandonandosi sulla propria branda, situata sulla parete opposta a quella di Chrono.
Su quest'ultima giaceva un lenzuolo sfatto e pieno di toppe. Probabilmente anche i buchi non mancavano.
Affondò il viso nel cuscino duro e si rigirò sul materasso altrettanto rigido, ignorando le lamentose fitte dei propri muscoli.
Con la coda dell'occhio, vide che Chrono aveva ricominciato a leggere. Sembrava tutto concentrato in quello che stava facendo, ma a Kamui non sfuggì il vago rossore che gli colorava le guance.
Inarcò le sopracciglia, stupito.
Non era una reazione che normalmente avrebbe attribuito a Chrono. Che poi, a cosa stava reagendo esattamente?
Avrebbe potuto chiederlo, ma si risolse a tenersi quella curiosità per un altro giorno.
"Buonanotte, Chrono" disse semplicemente, soffocando un altro sbadiglio.
Trascorsero un paio di minuti, ma dopo un po', dall'altra parte della stanza, arrivò sommessa la risposta.
"Buonanotte, Kamui."


[ST. JOHNS, ARIZONA, UN HOTEL FIGO QUALSIASI]
Naoki non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
Non gli riusciva difficile imputare una causa. Era il problema stesso a consegnarglisi tra le braccia senza che lui dovesse sforzarsi di trovarlo.
Purtroppo, letteralmente.
Jaime Alcaraz dormiva beatamente contro al suo petto, le gambe incastrate tra le sue e le braccia a circondargli il busto in una stretta soffocante e possessiva. Per di più, stava sbavando atrocemente sulla sua maglietta.
Naoki inspirò a fondo e lottò contro l'istinto di tirargli una ginocchiata così forte da assicurargli una castrazione immediata. Dubitava che Jaime si sarebbe svegliato, in ogni caso.
Aveva trascorso l'intera nottata a cercare di divincolarsi dalla sua morsa e, per ogni volta che si liberava, l'altro finiva con l'agguantarlo nuovamente. Era facilmente comprensibile che fosse un pugile. Naoki non aveva mai necessitato di alcuna conferma, eppure ne aveva ricevute a migliaia. Non che gli importasse.
"Jaime" sussurrò, gentilmente. Provò di nuovo a scrollarselo di dosso, ma invano. L'altro dormiva beatamente, il viso rilassato e l'espressione serena.
Perlomeno la vista era qualcosa di meraviglioso.
Naoki si concesse un po' di tempo per rimirarlo. Distese i muscoli tesi, abbandonandosi momentaneamente al suo abbraccio e piegò la testa di lato, arrivando a osservarlo più da vicino. La pelle, liscia e scura, riluceva dei bagliori dell'alba, che filtrava attraverso le tende della finestra. Le labbra si aprivano e si chiudevano seguendo il ritmo del respiro, piuttosto profondo.
Il suo corpo rigido aderiva perfettamente al proprio. Le cosce, che avvolgevano le sue gambe, erano muscolose e ogni tanto venivano percorse da spasmi, dovuti alla posizione scomoda.
Jaime aveva addosso una maglia di Naoki. Su di lui aderiva fin troppo e gli lasciava scoperta gran parte del ventre. Naoki lo realizzò con effettiva consapevolezza solo in quel momento, e deglutì a fatica.
Si costrinse a distogliere lo sguardo prima che potesse lasciarlo vagare troppo in basso. Dopotutto Jaime aveva addosso anche un paio delle sue mutande e non gli andava di concentrarsi troppo su come anche quelle fasciassero decisamente troppo le sue forme.
Emise un sospiro che rassomigliò uno sbuffo ansioso.
Non si era mai sentito così gay in vita sua. Probabilmente era colpa dell'effetto che il corpo semi-nudo di Jaime, avvinghiato al suo, gli sortiva. D'altra parte era anche la prima volta che si ritrovava così vicino a qualcuno.
Bel modo di riscoprire la propria sessualità alterata, si disse, ritornando teso.
Questa volta, lo strattone che assestò all'altro fu decisamente violento. Jaime allentò la presa sulla sua schiena e mormorò qualcosa di incomprensibile, con la voce impastata dal sonno. Naoki liberò un braccio prima che il più grande potesse ricominciare a stringere e con la mano libera gli agguantò una spalla. Lo scosse, pronunciando il suo nome a ripetizione.
La debole luce che prima filtrava dalla finestra, ora era aumentata di intensità. Probabilmente era davvero ora di svegliarlo.
Naoki doveva mettersi alla ricerca dell'orfanotrofio in cui viveva suo cugino, mentre Jaime avrebbe potuto chiedere un elenco telefonico o qualcosa che gli permettesse di ritrovare i contatti con il suo manager, per farsi venire a raccattare lì a St. Johns.
In quello stesso istante, il più grande fu percorso da una contrazione che fece sussultare anche Naoki. Quando abbassò lo sguardo, si ritrovò a fissare l'espressione sconcertata di Jaime, gli occhi spalancati, le labbra schiuse per lo stupore e le sopracciglia inarcate.
Non fece in tempo a provare sollievo, che questo cacciò un urlo abominevole e subito si scagliò lontano da lui, ribaltandosi all'indietro e rischiando di rotolare giù dal letto.
Naoki si sporse di scatto in avanti, ma per fortuna Jaime stava bene.
Giaceva con la testa a penzoloni sul bordo del letto, un braccio avvinghiato alle lenzuola, l'altro al comodino e le gambe divaricate.
"Mi hai spaventato amigo!" disse, ansimando per la sorpresa. Fece per tirarsi su, ma rischiò di cadere di nuovo. Naoki gli afferrò la mano e lo aiutò ad issarsi.
"Ma non mi dire..." ribatté, facendo di no con la testa. Una volta seduto, Jaime prese a guardarsi freneticamente intorno, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
Come poteva, una persona normale, avere così tante energie appena sveglia?
/Non è una persona normale, semplice/ si rispose Naoki. Ad alta voce, però, disse: "Cosa c'è? C'è qualche problema?"
Jaime, che ora stava armeggiando con la maglia, sollevò la testa. Gli rivolse subito un sorriso raggiante.
"Oh, no, solo... ti ho..."
Fece una pausa, che indusse Naoki a spronarlo. "Mi hai?" lo incalzò, sospettoso.
Jaime continuò: "Ti ho disturbato tanto stanotte?"
Naoki lo fissò. Per un momento, fu tentato di esporgli tutte le sue lamentele. Eppure, qualcosa, lo fermò. Forse era il modo in cui il più grande lo guardava, con gli occhi dorati ricolmi di aspettativa e anche un po' timorosi, colpevoli. Ricordò il calore dei loro corpi avvinghiati e decise che non era stata una nottata così terribile.
"Ma va, figurati. Mi sei solo stato un po' addosso" rispose, sorridendo.
Jaime abbassò lo sguardo, vagamente imbarazzato. L'espressione tradiva anche un certo divertimento: di sicuro era un tipo molto auto-ironico.
"Scusa, è abitudine" si giustificò, senza aggiungere altro. Probabilmente la reputava una spiegazione valida.
Naoki liquidò il problema con un gesto della mano.
"E' tutto a posto, davvero."
Jaime gli sorrise, e lui sentì di aver fatto la scelta giusta, decidendo di non aggredirlo malamente.
Un improvviso senso del dovere si impadronì della sua mente trasognata, intimandogli di darsi una mossa. Subito scattò verso il bagno, lasciandosi Jaime alle spalle.
"Dovremmo darci una mossa" disse, cercando freneticamente lo spazzolino da denti. "Mi sa che è già tardi."
Dalla camera da letto giunse un verso di approvazione. Naoki sentì l' indistinto frusciare delle lenzuola e intuì che l'altro si fosse finalmente alzato. Trovò lo spazzolino e se lo ficcò in bocca con poca grazia.
Nonostante la notte trascorsa in bianco, non era stanco. Si sentiva pieno di energie, al proposito di incontrare Chrono.
Dalla camera giunsero rumori che Naoki faticò a distinguere. Fu sul punto di chiedere se fosse tutto a posto, ma aveva la bocca impastata di dentifricio. Si trattenne dal ridere per evitare di sputarlo del tutto e quando si rivide nello specchio, così divertito e sereno, quasi non si riconobbe.
Che fosse merito del buonumore contagioso di Jaime? Che cosa gli stava succedendo?
Per la prima volta, non gliene importava un granché.



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