▬ "Che ne dici di un po' di... dinamismo?" - prologo ▬


[LEGENDA DEI NOMI DEI PERSONAGGI
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Di quei giorni ormai così lontani Add ricordava solo tre cose.
La prima, dominante: il buio.
C'era buio intorno a lui, era il buio che gli legava i polsi e le caviglie, erano le tenebre scure ad annodargli la gola secca. Ed era l'oscurità che si incrostava nei suoi occhi vacui, coprendo il mondo intorno a lui di uno spesso alone intriso di nero, a colorare la sua vita a quel modo.
Il suo aguzzino aveva vesti scure come la notte. Persino le sue mani, la sua voce vellutata e graffiante al contempo si avvalevano dell'ombra per impadronirsi dell'esile corpo da bambino di Add.
Erano trascorsi dodici anni.
Quel ciclo di abusi e buio e silenzi non aveva mai subito alcuna interruzione: se così fosse stato, Add avrebbe visto quella che ormai era diventata la normalità - la sua normalità - sbriciolarglisi tra le dita sporche di sangue rappreso.
Dodici anni erano davvero tanti. Gli era stata rubata l'infanzia, e a causa di ciò si era visto costretto a diventare adulto troppo in fretta. A poco a poco si era reso conto che non avrebbe potuto confidare nemmeno sulla sua adolescenza: era bruciata anch'essa.
Più avanti avrebbe compreso che quel misero decennio non rappresentava nulla in confronto a un secolo. Qualcuno di così solo come lui poteva facilmente comprenderlo.
Di fatto, la seconda cosa che ricordava con nitidezza, era proprio quella: la solitudine.
A sedici anni Add era fuggito. Qualcosa, nell'equilibrio precario della sua realtà, si era finalmente spezzato. Era quel genere di evento composto di un susseguirsi di cause ed effetti. Senza che lui se ne fosse quasi reso conto, le circostanze gli avevano aperto una porta sull'ormai ignoto mondo esterno. Forse, Add, ricordava la notte: non vide il cielo azzurro per secoli, dunque si convinse che nemmeno per quell'infinitesimale attimo di intermezzo fosse riuscito a godersi la luce.
C'era un posto che voleva assolutamente vedere. Ogni fibra del suo corpo lo conduceva per la direzione che volgeva verso esso.
Speranza. L'unica luce che gli era rimasta in ricordo, l'unico bagliore dardeggiante nel buio della stanza e nell'oscurità del suo cuore.
Questo era il ricordo più nitido. Illuminava da qualche parte, nel retro della sua mente, il volto di suo fratello e lo aveva mantenuto in vita per così tanto tempo da avergli infuso quella luminosità dentro. Gli bruciava in gola, nelle lacrime che gli solcavano il viso, nei muscoli indolenziti, nelle ferite tumefatte e nella mente stanca.
Bruciava e più quel fuoco ardeva, meno buia era la stanza e Add improvvisamente non era più solo.
Speranza. Era il ricordo che primeggiava sugli ultimi due. Li combatteva, a riprova che ci fossero stati, ma riusciva a sovrastarli.
Non ricordava come fosse successo, ma sapeva di aver cercato di raggiungere la sua casa, prima di perdere nuovamente la sua libertà.
La Biblioteca del Tempo, come l'aveva chiamata, era un palazzo immenso tappezzato di libri. Bianco e lilla di luce artificiale, rotondo e alto, come il pinnacolo di una chiesa, così tanto che non riuscivi a vederne la fine.
Add aveva provato a lasciare quel posto, ma aveva presto compreso che non era possibile. Così aveva incominciato ad esplorarlo. Ricordava di aver provato la sensazione di procedere a tentoni nel buio, così come non riusciva a togliersi di dosso il senso di solitudine, amplificato dalle pareti ampie che lo circondavano e dalla vastità del suo nuovo abitacolo di prigionia.
E poi ricordava la speranza. Più luminosa delle fiaccole e irrimediabilmente più calda.
Infine, il volto di suo fratello. Non fittizio, non più nella sua mente ma lì di fronte a lui, rinchiuso in una teca. Ancora inviolato, bellissimo e senza tempo come quel luogo maledetto. La sua rinnovata forza.
Di quella scena aveva qualche immagine nitida. Lui che si accasciava contro il vetro, lasciando i segni delle dita sporche ovunque lo tastasse e le lacrime calde che gli inondavano il viso. La sua voce, estranea anche a lui stesso, che gemeva il suo nome. Le ginocchia che gli cedevano, le nocche che si abbattevano contro il vetro e infine la rassegnazione che gli rendeva le ossa deboli e faceva sì che il suo corpo si afflosciasse come un fantoccio esanime.


La speranza rimase il suo ricordo ed il suo appiglio più grande. Anche quando fu ora di andare, il volto di suo fratello gliela infuse. Il suo corpo completamente immobile non lo spaventava più. Voleva solo che in lui tornasse a spirare la linfa della vita.
"E' tutto fermo, tutto in stallo da troppo tempo. Fratellone, che ne dici di un po' di... dinamismo?"
Furono il buio dell'ignoto, la compagnia della solitudine e il bagliore della speranza a rispondere per lui.

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