— On the Road (Prologo, pt. 2) —


Per molti, il ring è una prigione.
Le sue quattro pareti, la gabbia. Non importa che tu possa uscirne, o vedere loro attraverso. Il tuo spazio è lì.
Devi condividerlo. Condividere l'ossigeno, la tua stessa posizione. Lottare ogni secondo e rimanere schiacciato a terra a ingoiare il sapore caldo della sconfitta, insieme a quello rancido del sangue, quando sei troppo debole per poter fronteggiare il tuo avversario.
E' vero, forse il ring è una prigione. Ma è la metafora stessa della vita.
Quante volte incassi colpi, e quante altre ne assesti di rimando? Quante volte, invece di cadere, ti ritrovi seduto con la schiena al muro?
Quante, guardando il cielo, ti ritrovi a desiderare di toccarlo e non puoi, non ci riesci perché sei umano, e semplicemente non ti concerne?
Il mondo è un ring. E il ring è la terra ristretta, un agglomerato di gente sconosciuta con la quale, per un motivo o per un altro ,ti ritrovi a lottare. Perché un giorno, prima che io e te diventassimo così, prima che loro si conoscessero, e si innamorassero o si detestassero a morte... nessuno di noi si era mai incontrato prima. Ed è incontrando uno sconosciuto che all'improvviso lo conosci.
Questo è il ring. Questa è la prigione, perché la vita stessa è una prigione, ma fino a che potremo lottare allora avremo ragioni a sufficienza per continuare a vivere.



[ST. JOHNS, ARIZONA]

Dovevano essere pressapoco le sei del pomeriggio. Kamui aveva perso la cognizione del tempo, troppo concentrato sull'incontro che gli stava estirpando la forza vitale, risucchiando ogni residuo della sua energia e appesantendogli notevolmente il corpo. I muscoli erano duri come l'acciaio. Non era più nemmeno sicuro che gli appartenessero, il suo spirito sembrava discostarsi dal corpo per osservarlo dall'alto, come in quei fenomeni in cui l'anima fuoriesce dal corpo e tu all'improvviso ti vedi morto e- "KAMUI-SAN!!" la voce di Chrono lo raggiunse appena più velocemente del sinistro di Mamoru, che gli si schiantò in viso con una potenza così travolgente da farlo rotolare per terra. Le tempie gli pulsavano furiosamente, e la guancia gli doleva. L'enorme quantità di saliva che stava perdendo, mista a sangue gli fece intuire che si fosse rotto qualcosa all'interno della bocca.
Non era la prima volta che Mamoru gli spaccava i denti a suon di pugni.
Kamui poté chiaramente distinguere, nei suoni ovattati che gli rimbalzavano nel cervello a sprazzi, la voce squillante di Tsuneto impegnato in un'ovazione dedicata a Mamoru. Vide anche qualcuno, con la vista offuscata, che si chinava sul suo corpo disteso a terra.
E sentì, infine, i rimproveri di Chrono, prima di perdere completamente i sensi.
Sorridendo.

Chrono tamponava la schiena di Kamui con troppa violenza.
Quest'ultimo sussultava ogni volta che il cotone imbevuto di disinfettante sfregava sulle ferite aperte.
"Ahi- Chrono! Questo l'hai fatto apposta!" Lo accusò, inarcandosi a contatto con il liquido freddo. Chrono lo trattenne per una spalla, e lo costrinse a rimanere fermo.
"Di che parli?" domandò, innocentemente. Kamui strinse i denti: con quel suo modo di rivolgerglisi così atono e inespressivo, il più piccolo riusciva sempre a impietosirlo. Non doveva andare così. Quell'ingrato nascondeva una ferrea determinazione ed un caratteraccio tutt'altro che piatto, dietro ai modi di fare apparentemente innocui, e lui lo sapeva bene.
"Ti ho già chiesto scusa" bisbigliò allora.
"Non me ne importa niente delle tue scuse" lo accusò, grave, Chrono. "Guarda come ti sei ridotto" e affondò un dito tra le sue scapole.
Kamui gridò così forte da interrompere la parlantina di Tsuneto, che stava incollato a Mamoru da quando avevano finito l'incontro.
Entrambi, vittima e carnefice si voltarono a controllare. Uno il motivo per cui era stato troncato, l'altro se andasse tutto bene.
Naturalmente, non andava affatto bene. Kamui ansimava. Pensò che se quel pomeriggio avesse pranzato, in quel momento avrebbe rimesso tutto quello che aveva avuto modo di ingurgitare.
Per la prima volta nella sua vita, ringraziò lo stomaco vuoto.
"F-fallo un'altra volta" sibilò, privato anche della forza di parlare "E ti caccio fuori di casa, sotto i ponti!"
"Certo." acconsentì Chrono, sfacciato. Poi fece il giro della panca e, proprio quando Kamui pensava di aver finito, gli si parò di fronte.
"Tira su la testa" ordinò, senza staccare gli occhi dal tampone imbevuto che teneva tra le mani. Aveva un'aria così seria che questo pensò bene di non contraddirlo. Un po' titubante, fece quello che gli era stato detto.
Il più piccolo gli prese il viso tra le mani, troppo concentrato a medicarlo per rendersi conto di aver accantonato i modi di fare bruschi ed essere immediatamente passato a delle maniere completamente differenti. Finalmente Kamui si sentì rigenerato dal suo tocco familiare e, rilassato, chiuse gli occhi.
"Kamui-san..." lo chiamò Chrono d'un tratto, dopo un tempo che al primo era parso eterno.
Adesso gli stava ripulendo le labbra dal sangue rappreso, nonostante Kamui avesse precedentemente tentato di convincerlo che poteva benissimo occuparsene da solo. Impossibilitato a rispondere decentemente, con la bocca spalancata, gli rivolse un verso di assenso che Chrono interpretò come un consenso per continuare a parlare.
"Non strafare più come oggi. Me lo prometti?" disse, abbassando lo sguardo.
Le sue dita smisero di tamponare. Parevano vagamente tremanti. Kamui le osservò rapito, e fece lo stesso con il suo viso turbato.
"Chrono..." mormorò, con un po' di difficoltà a causa del tampone di cotone ancora tra le sue labbra. Aveva capito qual era il problema e questo lo fece sorridere.
"Ero- ero almeno un po' figo?" azzardò, appoggiando la mano su quella del più piccolo. L'espressione rabbuiata di Chrono si fece improvvisamente perplessa. Puntò i suoi occhi verdi in quelli di Kamui e storse il naso in quel modo tipico di esprimere perplessità, confusione e imbarazzo al contempo.
"Kamui-san?" domandò infatti, spaesato.
Questo ridacchiò, divertito. "Lascia star-" infastidito, si concesse una pausa per sputare in terra il cotone, che gli stava facendo seccare la gola. Chrono si accigliò, ma prima che potesse lamentarsi Kamui lo interruppe: "Dicevo, lascia stare. Comunque... te lo prometto".
Azzardò un occhiolino, che dovette uscirgli davvero male a causa del gonfiore scaturito da un enorme livido sulla palpebra. Questo sembrò mettere il cuore in pace a Chrono, perché finalmente smise di tenergli il broncio e anzi, divenne ancora più premuroso di quanto già non lo fosse diventato. Non gli fece nemmeno pesare la storia del cotone.
Aveva quasi finito di medicarlo quando, d'un tratto, lo chiamò di nuovo. "Kamui-san?" fece, con quel tono che sembrava sempre interrogativo.
Kamui quasi sussultò, troppo abituato al silenzio che era venuto a crearsi tra loro da un bel po'.
"Dimmi" rispose, sorridendo.
Chrono esitò per un po', poi prese ad accarezzargli una ciocca di capelli con finto interesse.
"Eri fighissimo."
Kamui, questa volta, sussultò per davvero. E si sentì travolgere da un'ondata di sentimenti contrastanti tutti in una sola volta.
"C-chrono..." mormorò, afferrandogli entrambe le mani e fermandolo nell'atto di tamponarlo nuovamente sul viso.
Chrono cercò di divincolarsi, strattonando il più grande.
"K-kamui-san, stai diventando rosso..."
"EH?! N-no, TU stai diventando rosso!"
Prima che l'altro potesse sfuggirgli, Kamui lo tirò a sé e gli assestò un pizzicotto sulla guancia. "Guarda qua" commentò, mutando immediatamente il gesto in una carezza affettuosa. Il suo viso era liscio e caldo al tatto, e trasmetteva una sensazione piacevole.
Chrono soffiò imbarazzato, ma smise di dimenarsi e lo lasciò fare.
In momenti come quelli, Kamui desiderava solo di potergli regalare il meglio. Voleva che quel ragazzino fosse felice.
Una casa, una famiglia, l'amore... voleva che Chrono sperimentasse ogni genere di esperienza e che ottenesse solo cose belle dalla vita.
Ora non poteva nulla, povero com'era e segregato in quella periferica baraccopoli che offriva solo cavi e cieli grigi come panorama.
Ma un giorno, Kamui se lo ripromise: avrebbe fatto in modo che Chrono si innamorasse della vita.




Dall'altra parte della palestra, Tsuneto era del tutto indifferente a ciò che succedeva tra Kamui e Chrono.
Mamoru aveva notato che, a dire il vero, non aveva avuto reazioni nemmeno quando il primo era svenuto a causa del suo colpo.
Tutto quello che vedeva era... "Mamoru-san, Mamoru-san!" lo chiamò Tsuneto porgendogli un asciugamano pulito.
Per l'appunto. Mamoru gli sorrise esausto. "Ti ringrazio" disse, accettando la sua offerta.
Si passò l'asciugamano sul viso grondante e lo fece poi scivolare sulle spalle, scostando i capelli umidi dietro la schiena.
Anche Kamui non si era trattenuto con i colpi. La guancia sinistra gli doleva intensamente e il naso di tanto in tanto ancora sanguinava.
Tsuneto si allacciò al suo braccio. "Figurati!" trillò, felice.
Mamoru ridacchiò. Le attenzioni del più piccolo erano per lui fonte di immenso disagio, ma non poteva far altro che adattarsi passivamente a quel genere di situazione. Non gli era nuovo un eccesso di ammirazione simile: era l'idolo di Tsuneto e non solo. Un sacco di bambini del posto sognavano un giorno di poter diventare come lui e nel caos di St Johns il suo nome era quello che primeggiava su tutti quando si parlava di "promesse della boxe".
Inoltre, Tsuneto era come un fratello per lui. Gli voleva bene e non se la sentiva di ferirlo, esplicitando che forse la sua passione nei suoi confronti stava incominciando a diventare un po' troppo ardente.
"Non starmi così vicino, sono sudato e... non dev'essere piacevole" suggerì comunque, nel tentativo di fargli mollare la presa.
In tutta risposta, l'altro rafforzò la presa.
"Ugh-"
"Mamoru-san!" ribatté, in un tono che sembrava accusatorio e sconvolto al contempo.
"Io al tuo s-sudore lo... leccherei" confessò poi. Un rigolo di saliva gli scivolò dall'angolo delle labbra fino al mento.
Mamoru rabbrividì.
/Decisamente ardente/. In quegli ultimi tempi Tsuneto aveva iniziato addirittura a proclamare di volerlo sposare.
"D'accordo..." acconsentì, cercando di apparire naturale anche dopo aver ricevuto una simile rivelazione. Per un attimo si immaginò la scena: Tsuneto che leccava vogliosamente il suo corpo e lui che "Oh mio dio" ringhiò, coprendosi il viso con una mano.
Questo fece sussultare l'altro che, ancora avvinghiato al suo braccio, si sporse verso di lui. "Va... tutto bene?"
Il tono di voce era allarmato. Mamoru si impose l'autocontrollo e tornò a fronteggiarlo, cercando di apparire disinvolto.
"Certo" gli sorrise.
"Sono solo molto stanco" aggiunse. Il che non era una valida giustificazione, ma considerato che Tsuneto pendeva dalle sue labbra non sarebbe stato difficoltoso dargliela a bere.
Il ghigno distorto che si dipinse sul volto del più piccolo lo fece immediatamente ricredere.
"Posso...." cominciò, ostentando addirittura una timidezza che di sicuro in quel momento non gli apparteneva.
"Posso farti un massaggio?"
"NO!"
Istintivamente Mamoru indietreggiò, trascinandosi l'altro con sé. Questo parve immediatamente ferito.
"Eh?"
"Cioè, volevo dire..."
Fece una pausa, durante la quale inspirò profondamente: "Volevo dire no, grazie, non è necessario. Ma sei stato molto gentile" si corresse.
Il volto di Tsuneto si rilassò, anche se rimaneva comunque un accenno di broncio, probabilmente dettato dalla delusione di non poter fare quanto si era prefissato di fare.
Anche Mamoru si rasserenò. Lasciò addirittura che l'altro gli porgesse la borraccia e gli portasse il cambio.
Quando tutti ebbero finito di cambiarsi, si raggrupparono di fronte ai distributori automatici di bevande che stanziavano dinnanzi alla palestra.
Il cielo era già imbrunito, e luci e ombre disegnavano tutt'intorno il crepuscolo.
Il congedo tra loro era sempre lo stesso. Tsuneto che aspettava di rimanere solo con lui, mentre Chrono e Kamui si avviavano verso casa.
Era la loro quoditianità.
"Mamoru-san" lo chiamò il ragazzino in quel momento, dall'alto del muretto su cui s'era arrampicato. Faticava a rimanerci in piedi senza perdere l'equilibrio, ma ogni volta si ostinava a percorrerlo ugualmente.
Mamoru non parlò, ma sollevò il capo e lo guardò negli occhi. Era un segno che avrebbe dovuto spronare l'altro a continuare.
"Accetterai la mia proposta di matrimonio quando sarò più grande?" domandò Tsuneto, dopo aver fatto silenzio per un po'.
Si fermò. L'altro saltellava ancora sul muretto, le braccia spalancate per aiutarsi a bilanciare il peso da una gamba all'altra, forse per eludere l'imbarazzo.
Mamoru rimase fermo immobile a guardare la sua schiena e a ripetersi infinite volte nella mente quella domanda, chiedendo a se stesso se non se la fosse immaginata.
Era la prima volta nella sua vita in cui Tsuneto Tado gli sembrava sincero. Ed era anche la prima in cui lui pensava seriamente ad una simile probabilità.
"Mamoru-san?"
L'altro aveva ripercorso il muretto al contrario, per tornare indietro a controllare se fosse tutto apposto.
"Tsuneto." lo chiamò Mamoru a sua volta, deciso. Sollevò lo sguardo per andare a incontrare il suo e sorrise quando scorse un vago rossore sul suo viso pallido.
"Lo farei in qualsiasi circostanza" continuò, "se mai dovessi innamorarmi di te."
Si trattava di uno sprono? Non ne era certo nemmeno lui.
/La cosa giusta da dire./
Forse era semplicemente quello.
Fu certo, in ogni caso, di aver fatto ciò che andava fatto. Tsuneto per poco non gli cadde tra le braccia a sentire la sua risposta, e spiccicò si e no due frasi per tutto il resto del tempo che trascorsero insieme.
Solo all'ultimo, prima che le loro strade si dividessero, si fece serio.
"Ti innamorerai di me." disse deciso. Poi corse via, senza nemmeno lasciargli il tempo di realizzare ciò che aveva detto.
Il cielo era ormai scuro mentre Mamoru, sorridendo, imboccava la via di casa.



[AEROPORTO RANDOM, comunque in Arizona, in qualche città adiacente a St. Johns]
Naoki controllò l'ora sul display del cellulare: erano le 18.00 esatte. Sospirando, ricacciò l'apparecchio nella tasca dei jeans e si avviò al rullo trasportatore, per recuperare i propri bagagli. Era appena sbarcato in Arizona e già il suo clima afoso lo stava consumando. Sotto alla maglia sentiva la pelle inumidirsi, reattiva al caldo soffocante di quell'aeroporto.
In fila con la sua ricevuta per riottenere le valigie, masticava nervoso un chewing gum alla menta, con le cuffie al collo e gli occhiali da sole a velargli lo sguardo.
Chiunque lo guardasse anche solo per un secondo poteva facilmente intuire che provenisse da una grande città, o comunque un posto che non aveva niente a che vedere con quella località dimenticata da Dio.
La famiglia di Naoki viveva a New York. Dal nulla, un giorno, i suoi genitori erano venuti a conoscenza dell'esistenza di un loro lontano parente, una sorta di nipote che viveva in un orfanotrofio di St. Johns da quando era molto piccolo.
Rinvenute le coordinate, avevano poi deciso di spedire Naoki in perlustrazione, per decidere il da farsi.
Quest'ultimo non era stato per niente contento della decisione dei suoi. Sempre troppo avventati, gli sembravano due pazzi che pur di iniziare il figlio a qualcosa che lo costringesse fuori dalla sua camera ricorrevano a stratagemmi di quel calibro.
Giocavano sporco. E per di più quell'ingrato di suo fratello l'aveva sguinzagliato in avanscoperta completamente da solo.
"Devo studiare per l'esame" si era giustificato.
Come se ne avesse davvero avuto bisogno. Naoki detestava il suo QI elevato e le sue due lauree. In confronto a quella di suo fratello, la sua intelligenza lasciava a desiderare.
Sovrappensiero, non si accorse che la folla di fronte a lui s'era dispersa. Si fece spazio tra le poche persone rimaste e recuperò i bagagli.
Una volta fuori dall'aeroporto, tirò fuori dal portafoglio un post-it che conteneva tutte le indicazioni per raggiungere St. Johns, comprese delle informazioni riguardo il fantomatico "cuginetto alla lontana" che si stava apprestando ad incontrare.
Appuntati con una calligrafia svolazzante, sopra al foglietto c'erano anche nomi di hotel o ristoranti della zona.
Naoki lo piegò scuotendo la testa: lo mandavano in un posto simile senza il minimo riguardo ma si premuravano di assicurarsi che, una volta giunto a destinazione, fosse in grado di cavarsela da solo. I suoi genitori erano strambi.
Decise di darsi una mossa. Afferrò il trolley con decisione e si tenne stretto la borsa a tracolla, ma proprio in quell'istante qualcuno lo afferrò dal dietro, con una tale potenza da costringerlo a voltarsi seduta stante.
La persona che Naoki si ritrovò di fronte era... sospetta. Completamente bardata, con il cappuccio sulla testa, la felpa nera, un cappellino a visiera e un paio di occhiali da sole addirittura più scuri dei suoi. Un brivido sinistro gli attraversò la spina dorsale.
Che cosa voleva quell'individuo da lui? Timoroso, strinse la presa sui bagagli e cercò di sfuggire a quella dello sconosciuto, che lo teneva fermo per una spalla.
Deglutì.
"Hai... bisogno d'aiuto?"
Lo domandò con fermezza, cercando di non far trapelare la minima esitazione dal tono di voce.
Di solito, aiutava. I malviventi perdevano interesse nei confronti delle vittime che si dimostravano calme e pacate.
Il tizio in nero sussultò. Naoki non riuscì a capirne il motivo, ma non ebbe nemmeno voglia di soppesarlo a lungo. Voleva andarsene.
"A-a dire il vero sì!" rispose quello, facendo scivolare la mano lungo il braccio di Naoki e afferrando la sua. Questa volta fu lui a sussultare. Cercò di divincolarsi, ma l'altro lo trattenne ancora più saldamente.
"Ti prego, mi hanno rubato tutto! La borsa, il cellulare la carta d'identità, il passaporto, I BAGAGLI!" continuò, sporgendosi in avanti una volta di più, per ogni punto che aggiungeva alla lista. Dal modo in cui se ne lamentava, sembrava sincero. E disperato.
Rimaneva comunque il fatto che fosse uno sconosciuto, ma nonostante questo Naoki non se la sentiva di piantarlo lì in mezzo alla confusione, privo di ogni effetto personale e in preda a una crisi di panico.
'Male che vada mi ammazza' pensò, mentre gli stringeva più forte la mano.
"Ho capito, vieni." disse, e lo trascinò via con sé.
Mentre lo conduceva in un posto più tranquillo, ebbe la conferma che i disturbi mentali erano ereditari e di famiglia. Perché diavolo se ne stava andando in giro mano nella mano con un perfetto estraneo completamente vestito di nero e con un accento bizzarro?
A pochi metri dall'aeroporto c'era un parco pubblico. Le condizioni non erano delle migliori, specialmente a causa del clima poco favorevole, ma era meglio di niente. Naoki fece sedere il tizio sospetto su una panchina e poi si accomodò al suo fianco. Aveva già perso il conto di tutte le volte in cui l'altro gli aveva rivolto ringraziamenti e ovazioni varie mentre lo conduceva lì.
"Allora." cominciò, interrompendolo mentre si scusava per la decima volta del disturbo recatogli. "Prima di tutto devi sporgere denuncia. L'hai già fatto?"
Il tipo scosse freneticamente la testa. "Non so come si faccia" confessò, allegramente.
Naoki inarcò un sopracciglio.
Fantastico.
"Bene, adesso noi... /tu/ torni indietro e fai quello che ti dico, d'accordo?" provò, accennando un sorriso a stento.
Una volta ricevuta l'approvazione dell'altro, tentò di spiegargli la procedura alla quale aveva accennato.
Assurda.
Quella situazione era quanto di più strano potesse capitargli, eppure vi stava prendendo parte con fin troppa disinvoltura.
Era ancora a metà discorso, quando d'un tratto venne interrotto: "Scusa amigo, ce l'hai un cellulare?"
L'espressione di Naoki si fece, se possibile, ancora più corrucciata.
"Eh?" chiese, come per confermare a se stesso di aver sentito bene.
Troppo tardi, l'altro l'aveva già adocchiato. Con una naturalezza spaventosa fece scivolare la mano nella tasca anteriore dei suoi jeans e se ne appropriò.
Il primo non ebbe abbastanza riflessi per impedirglielo, e una volta che l'altro se ne fu impadronito non riuscì ad avere abbastanza coraggio per reclamarlo.
'Adesso me lo ruba' pensò, inspirando profondamente per imporsi la calma.
Ma quello si limitò a smanettarci un po' su e a digitare con le dita qualcosa sul display. Qualcosa che poi gli mostrò.
Volse lo schermo del cellulare verso di lui e Naoki si sporse per visionarlo.
Dovunque, c'era la foto di un tizio che aveva tutta l'aria di essere famoso. In certi scatti era rappresentato con in mano un microfono, ma per la maggior parte indossava i guantoni e lottava su un ring.
"Un... pugile?" azzardò, sempre più confuso. Adocchiò il nome digitato nel motore di ricerca immagini: Jaime Alcaraz. Mai sentito.
L'altro annuì, deciso e poi gli restituì il cellulare. "Prometti che non lo dirai a nessuno?" domandò, facendo per calarsi il cappuccio sulle spalle. Naoki annuì. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma negare non aveva alcun senso. Era /ovvio/ che non avrebbe mai accennato a nessuno di quell'esperienza. Era qualcosa di spaventoso e sovrannaturale.
Ancora più spaventosi però furono i risvolti che prese quando il tizio misterioso si fu liberato di tutto ciò che gli occultava il viso.
"J-jaime... Alcaraz?"
Naoki si accorse di aver alzato un po' troppo la voce, ma non poté biasimarsi. Il... 'famoso' pugile che aveva appena rimirato su Google sedeva al suo fianco, con i capelli scompigliati e un sorriso rassicurante a illuminargli il volto abbronzato.
"Shhh!" gli intimò anche, rabbuiandosi di colpo e schiacciandogli non un dito, ma la stessa mano sulla bocca. Naoki inspirò il suo profumo di salsedine ed ebbe paura di essere sul punto di avere un mancamento.
Si era appena invischiato in una faccenda più grande di lui.


Jaime gli aveva raccontato tutto, sin dall'inizio. Quell'uomo - perché sì, aveva ventitré anni stando alle sue dichiarazioni - era la persona più sfigata in cui Naoki si fosse mai imbattuto.
Aveva sbagliato volo, quindi destinazione. Gli avevano rubato tutto. Quando erano tornati indietro per sporgere denuncia avevano scoperto che nei giorni successivi ci sarebbe stato uno sciopero dei voli e che avrebbero dovuto attendere sino alla fine di questo per riavere notizie dei bagagli scomparsi. Come se non bastasse, a distanza di due settimane Jaime doveva disputare un incontro di vitale importanza, i cui esiti avrebbero segnato le sorti di quel campionato. Sino a quel momento era bloccato lì. Naoki era convinto che si sarebbe davvero messo a piangere per la disperazione, invece l'altro non aveva mai smesso di sorridere raggiante e ringraziarlo per tutto l'aiuto che gli stava offrendo.
Quando finirono di sbrigare le questioni burocratiche, si era già fatto buio. Durante la loro passeggiata, Jaime era già riuscito a scroccargli una granita e un milkshake, ma non sembrava ancora sazio. Adesso che si avvicinava l'ora di cenare anche Naoki non era del tutto indifferente al brontolio sommesso del suo stomaco.
Decise che era ora di fermarsi in uno qualsiasi degli hotel segnati sul suo post-it spiegazzato, per pernottarvi e decidere il da farsi.
L'unico problema era... lui.
Lanciò un'occhiata a Jaime, che camminava allegramente al suo fianco intonando un motivetto allegro. Si era di nuovo calato il cappuccio sulla testa, ma non sembrava patire il caldo più di quanto non lo soffrisse Naoki. Tutto di lui emanava un'aura positiva.
Ancora una volta, sentì che se lo avesse abbandonato se ne sarebbe pentito.
Sospirò.
"Per questa notte, ti va di rimanere con me? Mi restituirai la tua parte quando ti sarai riappropriato delle tue cose, d'accordo?" propose.
Jaime smise subito di canticchiare e si fece improvvisamente serio. Rimase a fissare Naoki con un'espressione così indecifrabile che questo si sentì immediatamente a disagio.
Poi, prima ancora che potesse realizzarlo, se lo ritrovò addosso, con le braccia al collo.
Girarono in tondo su loro stessi per un paio di passi prima che Naoki riuscisse a riacquistare l'equilibrio perso a causa dello slancio dell'altro. "Amigo amigo amigo!" gli gridò Jaime nelle orecchie, facendogli quasi perdere l'udito. "Grazie di tutto!"
Ironicamente, l'unica cosa a cui riuscì a pensare Naoki fu a quante ragazzine avrebbero voluto trovarsi al suo posto in quell'istante.


Naoki ebbe modo di ripensarlo quando lui e Jaime aprirono la porta della loro camera e si ritrovarono di fronte a un letto matrimoniale.
La reazione di entrambi, in un primo momento, fu un silenzio tombale. Persino Jaime, che aveva una parlantina incessante, sembrava non avere più niente di interessante da dire.
Solo silenzio.
Poi, a poco a poco, i due iniziarono a tirare fuori giustificazioni e incredulità varie, sino a che entrambi non si arresero a quella circostanza e lasciarono cadere l'argomento. Jaime più facilmente di Naoki, ma poco importava. Era solo un letto, dopotutto.
In quel momento, a dire il vero, non aveva bisogno di nient'altro: era stata una giornata estenuante e la voglia di coricarsi sovrastava qualsiasi altro pensiero. Jaime gli ricordò però che dovevano ancora farsi una doccia, perciò rimase sveglio ad aspettare che fosse il suo turno. Aveva camminato a lungo e i piedi gli dolevano. Steso per metà sul letto, Naoki rimirava la trama delle pareti ascoltando il suono dell'acqua che scrosciava sulle pareti della doccia, all'interno del bagno.
La luce soffusa della lampada sul comodino disegnava sul soffitto riflessi caleidoscopici. Era un'atmosfera che gli insinuò dentro un brivido di malinconia.
Fino a quel giorno, la sua vita era stata così poco intensa da poter esser riassunta in poche righe.
Era nato e cresciuto all'ombra di un fratello genio e, stanco di cercare di farsi valere, aveva piano piano finito per segregarsi nell'ombra della propria camera da solo. Nessuno aveva mai avuto bisogno di lui. La sua aria da duro terrorizzava le persone.
Questo era tutto ciò che c'era da sapere su Naoki Ishida. Fine della storia.
Aveva smesso di fargli male quando aveva incominciato a fregarsene. Eppure i suoi l'avevano costretto a fare i conti con il mondo un'altra volta, e adesso...
E adesso?
"Naoki, ho finito!"
La voce di Jaime proruppe intensamente alle sue spalle, come uno schiaffo rigenerante che riportò immediatamente Naoki alla realtà. Si tirò su di scatto e si voltò, ritrovandosi di fronte alla figura del più grande quasi completamente nudo, il corpo ancora parzialmente bagnato e i capelli fradici incollati al viso.
Era bellissimo.
Non era un pensiero che avrebbe dovuto attraversargli la mente, ma era l'unica sola conclusione alla quale si poteva giungere semplicemente guardandolo.
"Mi presteresti un paio di mutande e una maglietta?" chiese Jaime, rompendo il silenzio e sorridendo imbarazzato. "Non ho nemmeno un cambio"
Naoki impiegò un po' di tempo per smetterla di guardarlo e formulare la sua richiesta, perciò la sua reazione successiva fu sin troppo fulminea.
"Certo!" esclamò, catapultandosi giù dal letto e avventandosi sui bagagli. Iniziò a frugarvi dentro con foga e lanciò all'altro i primi indumenti che gli capitarono sottomano.
Racimolò anche per sé la roba pulita e poi gli sfrecciò accanto, richiudendosi violentemente la porta del bagno alle spalle.
Jaime dovette rimanerne perplesso, perché emise un versetto concitato e indugiò un bel po' dall'altra parte della soglia, prima che Naoki sentisse rumore di passi e ne deducesse che avesse preso a rivestirsi.
Tirò un lungo sospiro di sollievo, e si appoggiò con la schiena al muro.
"E adesso?" domandò di nuovo a se stesso.
Sentire Jaime che si muoveva dall'altra parte della stanza, lo fece sentire meno solo.
Aveva ancora tempo per scoprirlo.

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