▬ KAI (non) E' UN DEGNO EUROPEO ▬ (pt 2)


[Ore: 4.30 a.m, camera di Miwa]

Il cellulare squillò.
Miwa sonnecchiava indisturbato avvolto nelle calde coperte del suo letto accogliente.
In un primo momento non si accorse dell'assordante suono emesso dal suo cellulare. Dopo un po', però, il rumore si fece costante e fastidioso, così Miwa si svegliò e balzò seduto sul proprio letto, portandosi una mano al cuore dallo spavento.
"A quest'ora???? Chi potrebbe mai essere???" domanda a se stesso, confuso e anche un po' spaventato.
Ma appena legge il nome "Kai" sullo screen del cell le sue emozioni cambiano radicalmente.
Certo, è ancora confuso ma improvvisamente in lui si accende la speranza.
Subito si sporge verso il comodino, e prende in mano il cellulare.
"Pronto?" non se ne accorge, ma la sua voce trema, mentre il suo cuore batte all'impazzata.
Quanto tempo è che non sente l'amico, quanti giorni sono trascorsi dal loro addio? Miwa senza Kai è il codino di un pelato: inutile.
Sembra passare un'eternità, e Miwa percepisce ogni secondo che passa come un secolo.
"Disossessionati" si era detto più volte, "vai avanti" gli ripetevano tutti, e benché desse a vedere proprio quello in verità non era così.
Kai era tutto ciò che avesse mai avuto, e perderlo lo aveva decisamente spiazzato. Era come se il mondo avesse smesso di girare.
Mentre pensava a tutto ciò non si rese conto che dall'altra parte il telefono suonava a vuoto.
"Pronto? Kai?"
"KAI?"
Purtroppo non ricevette alcuna risposta, probabilmente non aveva fatto in tempo a rispondere e la chiamata era terminata.
Disperatamente riattaccò anche lui, e cercò di richiamarlo ripetute volte, senza ottenere risposte.
Com'era possibile?
Perché il mondo ce l'aveva con lui?
Aveva mai fatto un torto a qualcuno?
Lasciò cadere il telefono a terra, incurante di ciò che gli sarebbe accaduto.
Come se non bastasse si sentì in colpa per aver fatto dei pensieri così egoistici.
Solo. Si sentiva solo.
Fu solo un'impressione, ma la stanza improvvisamente si fece più grande e buia, e Miwa percepì quella fredda solitudine attraverso brividi che percorsero interamente il suo corpo.
"Non sono fatto per te, eh?" sorride amaramente, lasciando che le lacrime gli righino il volto e che gli occhi si ricoprano di occhiaie nere e pesanti. "Non sono fatto per te."

IN THE MEANTIME
[Ore 13:30, albergo lussuoso in Europa]

Kai, dopo aver letto i messaggi di Miwa, sentì il bisogno di chiamarlo.
Leggere le parole dell'amico gli aveva fatto realizzare quanto fosse stato poco presente per lui in generale.
Quanto gli aveva dato Miwa, e quanto poco aveva ricambiato lui?
Forse Kai, non essendo abituato a ricevere amore e affetto, lo aveva semplicemente dato per scontato.
Ma probabilmente per Miwa non era così. Come ogni essere umano Miwa dall'affetto si aspettava affetto.
Affetto che a causa sua non aveva mai ricevuto. Kai fece un lungo respiro e digitò il numero dell'amico.
Era da un bel po' che non si sentivano, e probabilmente ascoltare la voce di Miwa gli avrebbe fatto soltanto bene.
Certo, lì in Europa si stava bene, e Kai stava finalmente compiendo i suoi sogni, ma c'era qualcosa che gli mancava, anche se non capiva di cosa si trattasse.
Il telefono suonò a vuoto ripetute volte, e poi ci fu la segreteria telefonica.
Improvvisamente Kai ricordò. "E' vero, il fuso orario!!!"
Sperando di non aver svegliato Miwa dal suo sonno mise il telefono in tasca, e decise che lo avrebbe richiamato quella stessa sera.
Intanto squillò il telefono e per un attimo sperò che si trattasse dell'amico, ma si trovò stupido da solo ed arrossì.
Invece era Gaillard. Un po' offeso rispose "Pronto? Gaillard, che c'è?".
"Toshiki, vieni subito qui." Con questo ordine imperiale riagganciò.
Kai sospirò e rimise per la seconda volta il telefono in tasca.
Mentre si incamminava per le vie fredde dell'Italia, non poté fare a meno di desiderare di sentire la voce di Miwa.
/Anche e solo per un secondo./

IL GIORNO DOPO
[Ore: 9.10 p.m, al cardshop]

Dire che Miwa era triste è dire poco. Era depresso.
La sera prima non aveva chiuso occhio, e infatti il giorno dopo non era nelle migliori condizioni. Gli occhi gonfi e le occhiaie solcate evidenziavano la solitudine del suo stato d'animo. Eppure non faceva altro che sorridere, fingendo che tutto andasse al meglio, che non fosse neanche un po' stanco di fingere.
A dire il vero Miwa aveva pensato di porre fine a tutto quanto, ma non avrebbe mai lasciato Kai solo in quel mondo. E quindi, di nuovo, era Kai a salvargli la vita.
Questo pensiero gli martoriava la testa da tutta la mattina: "Sono io che devo salvare Kai, perché diamine mi faccio sempre salvare?"
Si sentì sporco, infido, indegno.
Misaki improvvisamente lo approcciò: "Miwa, stai bene? Ti vedo pallido..."
Miwa sussultò, ma cercò di non darlo a vedere.
"Certo, certo!" le sorrise. "Ho solo un po' di mal di testa..." e non mentiva del tutto, perché non avendo chiuso occhio anche il suo fisico stava da schifo.
Misaki sembrava davvero preoccupata, e lui si sentì in colpa. "Ma-" prima che potesse dire altro Misaki gli tappò la bocca con un dito.
"Shhhhh, non voglio sentire scuse, torna a casa, per oggi faccio io qui!"
La sua voce era rassicurante, come quella di una madre, benché Miwa di madri ne sapesse ben poco. Ma gli diede quest'impressione.
Cercò di opporre resistenza, ma Misaki insistette e così lui le lasciò il bancone.
Dovete sapere che dopo aver finito la scuola, Miwa e Misaki sono andati nella stessa università. E dopo scuola gestiscono insieme il Card Capital.
Nel tornare a casa Miwa si rese conto che a dire il vero avrebbe preferito passare la notte da un'altra parte. Fu in quel momento che gli venne in mente Jun.
Pur sentendosi un approfittatore, decise di passare almeno per salutarlo.

IN THE MEANTIME
[Ore: 6.10 a.m, importante azienda Vanguard, Europa]

Il pomeriggio prima Gaillard aveva chiamato Kai e gli aveva detto di raggiungerlo.
Era stato così sbrigativo e freddo che Kai si era un po' preoccupato, anche se una volta arrivato lì avrebbe scoperto che non avrebbe dovuto.
Infatti avrebbe poi scoperto che Gaillard, insieme a Ren, Leon e Koutei gli aveva organizzato una festa di compleanno a sorpresa.
Già. Una festa di compleanno perché il giorno dopo (oggi) Kai avrebbe compiuto diciotto anni. Che dire, non era mai stato tipo da feste, però i suoi diciotto anni se li era immaginati diversi. Bene, la festa non era stata male, ma Kai aveva dovuto fingere di divertirsi tanto quando non era così.
Quel /qualcosa/ che gli mancava stava rendendo la sua vita difficile.
Comunque, oggi è un altro giorno, e Kai sta facendo altro. (Con i verbi al passato però.)
Gaillard lo aveva portato in un importante edificio Vanguard, dove si sarebbero svolte le gare invernali a cui Kai avrebbe partecipato. La vista di quell'enorme edificio lo emozionò, così si dimenticò di quella /mancanza/ che percepiva spesso e si abbandonò al piacere del Vanguard.
Gaillard lo guardò come se volesse mangiarselo vivo, ma Kai non se ne accorse. "Ti piace, Kai?" domandò, e Kai annuì. Gli piaceva davvero tanto quel posto, era un vero e proprio stadio. L'entrata era ampia e portava su un lungo corridoio, che si affacciava su un enorme struttura circolare. Lì avrebbero avuto luogo gli scontri. Chiudendo gli occhi e usando il "picture it" Kai si figurò una vera e propria lotta contro Gaillard, in cui lo batteva e ne gioiva.
Tutti lo acclamavano, e tra la folla: Miwa.
Miwa che si alzava in piedi e gridava più di tutti, che lo guardava negli occhi e si complimentava con lui. Come aveva sempre fatto.
"Miwa..." sussurrò in un sorriso malinconico, senza neanche accorgersene.
Gaillard se ne accorse probabilmente, perché gli prese la mano e la strinse forte. "Il passato è passato."
Cercò di persuaderlo, e Kai lo guardò stranito. "Voglio dire... non ci devi pensare. Il tuo sogno è questo e nient'altro."
Kai pensò che forse sarebbe stato meglio così. Dopotutto non poteva vivere ogni giorno con la consapevolezza che se avesse sbagliato in qualcosa, Miwa glielo avrebbe fatto notare.
Dopotutto ora aveva diciotto anni. Strinse a sua volta la mano di Gaillard, con soffenza, ma Gaillard ne avvertì determinazione e sorrise.
"Devo andare avanti."

IN THE MEANTIME
[Ore: 6.10 a.m, casa di Ren, Europa]

"Volete qualcosa da bere?" chiese Ren con fare innocente.
Non sapeva nemmeno lui come fosse successo, ma in qualche modo aveva stretto un /certo/ rapporto con quei due: Leon e Koutei. Con /certo/ non si vuole intendere niente di fraintendibile. E' solo che nessuno si sarebbe mai immaginato che quei tre potessero diventare amici. I due annuirono, e lui si affrettò a portargli del succo di arancia.
Koutei scoppiò a ridere, mentre Leon rimase stizzito. "Succo... di arancia?"
Ren non capì quale fosse il problema, ma indietreggiò con i bicchieri in mano. "Non vi piace?" chiese, allarmato. "No, no, va bene, dà qui." gli rispose Leon, fingendosi seccato.
C'era un motivo in particolare per il quale Ren aveva convocato a casa propria i due duellanti più forti del mondo: Kai.
Era già da un bel po' che Kai gli sembrava strano, come se gli mancasse la determinazione e la felicità. Lo conosceva da anni, e sapeva che Kai era infelice. Certo, era il primo ad esserne stupito, perché Kai fino a quel momento non aveva mostrato interesse in niente se non per il Vanguard. Ma c'era qualcosa di strano. Qualcosa che lo rendeva turbato.
E di certo dopo tutto quello che lui stesso aveva fatto passare all'amico non poteva pretendere che questi si confidasse con lui, ma ciò non gli impediva di preoccuparsi. Il motivo per cui i duellanti più forti del mondo erano lì, dunque, era che Ren era preoccupato.
"Vi ho chiamato qui per parlare di Kai." iniziò, cercando di non far trapelare preoccupazione dalla propria voce. I due sembrarono stupirsi da tale affermazione, infatti smisero di bere e lo guardarono con serietà. "Kai?" chiese Koutei, incredulo.
Ren annuì, facendosi serio a sua volta. "Sì. Kai è infelice. Ho bisogno del vostro aiuto."
E sì, era un fallito come amico, come duellante e probabilmente anche come persona. Ma, di nuovo, la preoccupazione poteva permettersela.
Preoccuparsi per Kai era un modo per apprezzarsi di più, per trovarsi più umano. Forse era anche quello segno di egoismo ma ormai Ren si riteneva irrecuperabile. Conosceva i propri limiti e li odiava, ma non era in grado di superarli.
Tutti, prima o poi, arrivano al termine di qualcosa, e Ren, Ren Suzugamori, si fermava lì. Tutto ciò che sapeva fare era preoccuparsi.
Ma forse è per questo che, stanco di questi limiti, cercava di superarli andando oltre, tentando di superare la preoccupazione agendo.
Però da solo non era in grado di farlo, e aveva bisogno dell'aiuto di quei due.
Forse qualcosa, dentro di sé, era rotto, e non funzionava più. E lui necessitava di farlo ripartire, voleva essere in grado di fare davvero qualcosa per Kai, e allo stesso tempo necessitava di qualcuno che gli desse modo di farlo.
Probabilmente era per quel motivo che senza neanche accorgersi si era ritrovato ai piedi dei due ragazzi, con la testa sul pavimento, le lacrime che gli rigavano il viso e le parole "ho bisogno di voi" che uscivano dalla sua bocca come una disperata constatazione.
Non solo Kai. Alla fine anche Ren aveva bisogno di loro.

IN THE MEANTIME
[Ore: 9.30, da Jun]

Miwa non era mai stato a suo agio quando si trattava di Jun. Però da quando Kai se n'era andato lui era diventata la sua unica ancora di salvezza.
Era l'unico con il quale Miwa riusciva ad essere se stesso al cento per cento.
Jun un giorno gli aveva detto: "Miwa, con me non devi nascondere niente. Né le tue lacrime né la tua rabbia. E nemmeno i tuoi sorrisi."
Gliel'aveva detto con così tanta determinazione e convinzione che Miwa automaticamente non era in grado di nascondergli niente.
Stare con Jun ormai era diventato un sollievo, laddove Miwa poteva esprimersi appieno e sfogare ogni repressione. Senza di lui probabilmente Miwa sarebbe sprofondato in un mare di tristezza e agonia. Jun era all'entrata della cancellata di metallo. Se ne stava lì a fumare una sigaretta, sbadigliando di tanto in tanto. Miwa sorrise. Probabilmente aveva lottato tutta la notte contro qualche avversario temibile. In certe cose Jun gli ricordava Kai. Comunque, quando finalmente si accorse di lui non sembrò nemmeno sorpreso. Miwa si chiese come facesse ad essere così disinvolto e spontaneo, si chiese se Jun sapesse già che sarebbe giunto da lui. "Ehy, Miwa! Vieni, vieni" lo invitò ad entrare prendendolo per un braccio e trascinandolo dietro di sé. Probabilmente un tempo Miwa non si sarebbe fatto sfiorare nemmeno con un dito da Jun, eppure ora il contatto fisico -seppur minimo- con lui non gli arrecava alcun fastidio. Miwa non rispose. Come ho già detto con lui non aveva bisogno di fingersi felice, quindi esprimeva senza problemi il suo stato d'animo.
E in quel momento Miwa non aveva voglia nemmeno di parlare. "Cosa ti porta qui?" provò a domandare, senza riporre particolari speranze in un'ipotetica risposta.
Miwa si limitò a sospirare, e a scostare lo sguardo. Lo faceva spesso, quando arrivavano nella stanza principale del luogo in cui viveva Jun. Non gli piaceva che ci fossero altre persone oltre loro due, infatti Jun, che lo sapeva ormai benissimo, fece cenno agli altri di andarsene. Nel giro di pochi secondi la stanza rimase vuota. Fatta eccezione per Jun e Miwa.
"Allora, biondino, ti va di parlare o no?" Miwa scosse la testa.
Non gli andava né di parlare né di fare altro. L'unico motivo per cui era lì è che non voleva più sentirsi solo come la notte precedente.
La sua casa, senza genitori, senza Kai, senza nessuno che non fosse lui era vuota, silenziosa e immensamente triste. "Jun..." sussurrò, la voce che a malapena si sentiva. Jun si sporse verso di lui tendendogli l'orecchio "Eh? Hai detto qualcosa?"
Miwa allora si fece più vicino, e, sempre sussurrando gli disse "Secondo te... sarò in grado di crescere anche senza Kai? riuscirò a dimenticarlo, andare avanti, farmi una nuova vita? Come posso cancellare colui che è da sempre la mia guida? Io... io...-" La sua voce venne interrotta dai singhiozzi, e i suoi occhi si riempirono per l'ennesima volta di lacrime. Almeno questa volta non era solo. Qualcuno poteva testimoniare di averlo visto piangere, di averlo visto stare male. Qualcuno come Jun sarebbe stato in grado di consolarlo a modo, magari. Il solo pensiero rendeva Miwa più sollevato, però le lacrime continuavano a solcargli il volto e ad arrossargli le guance.
"Non c'è un modo per essere felici? Non c'è una pozione, Jun? Non puoi regalarmi la felicità che meriterei? Perché nessuno può darmi quello che vorrei da lui?"
Jun lo ascoltò in silenzio, poi gli mise le mani sulle spalle e si chinò verso di lui.
"Miwa...", "Miwa..." sussurrò. "Mi prenderò cura di te. E della tua felicità. Raccoglierò ogni tuo sorriso e farò scaricare ogni tua lacrima." Lo strinse a sé, sempre più forte, Miwa sentì il suo battito del cuore e lo avvertì come un calmante, che fece rallentare l'andamento delle sue lacrime. "Se fossi in Kai ti amerei cento volte più di quanto non lo faccia tu. E prenderei un fottuto aereo e ti verrei a prendere. E ti direi che sei la cosa più importante che io abbia mai avuto e che perderti sarebbe l'errore più grande che possa mai fare." sospirò. "Ma, ma non c'è bisogno di essere Kai Toshiki per dirti queste cose, però non le dirò perché so che non è Jun Mutsuki quello che vuoi. Però Miwa. Mi prenderò cura di te. Te lo prometto."
Le parole di Jun gli entrarono dentro e gli fecero provare un senso di calore che pervase il suo intero corpo. Improvvisamente sentì che Jun non era solo una persona che lo aiutava a sfogarsi ma percepì il bisogno di proteggerlo e farsi proteggere.
Dopo tanto tempo riuscì a sorridere sinceramente, e a ridere di gusto, all'unisono con il battito del cuore di Jun, che si era fatto più forte e marcato. Non lo ringraziò solo perché sapeva che Jun conosceva ogni cosa di lui, e che avrebbe percepito la propria gratitudine attraverso i gesti. Fu per questo che sciolse l'abbraccio e si sollevò in punta di piedi, stampandogli sulle labbra un sottile bacio. Jun spalancò gli occhi ma poi lo strinse a sé, più forte di prima. Miwa si chiese perché non si fosse innamorato di Jun. Si chiese tante altre cose, a dire il vero, ma decise che per quella notte avrebbe lasciato passare ogni domanda. Fare l'amore con Jun gli avrebbe dato tutte le risposte che cercava.

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