Alcuni appunti disordinati sulla twittersfera italiana.
Inutile girarci intorno, e ancor più inutile fingere di non capire: negli ultimi giorni, diverse persone hanno fatto notare che:
- su Twitter ci sono sempre più flame;
- si impiega sempre più tempo a correggere distorsioni del segnale (anzi, a provarci invano);
- non si può più lasciare niente di sottinteso perché si ingenerano equivoci a valanga ma al tempo stesso il limite dei 140 caratteri costringe a sottintendere;
- molti VIP hanno scelto questo network come grande pollaio in cui scazzarsi per la gioia voyeuristica dei media mainstream;
- nel fare questo, i suddetti VIP hanno attirato qui vaste masse di persone (ancora) poco alfabetizzate nei confronti del mezzo e (ancora) ignare delle regole non scritte che questa comunità informale si è data, gente che scambia sistematicamente un RT per un'adesione al contenuto rilanciato (mentre «RT is not endorsement»); - i nuovi strumenti («Activities» etc.) aggiunti da Twitter all'interfaccia web stanno innescando processi ancora non chiari...
Insomma, è aumentato il frastuono, che ghermisce e avviluppa ogni segnale.

Ogni volta che qualcuno ha constatato tutto questo, gli è piovuta addosso da più parti l'accusa sempre facile da cucinare (quattro salti in padella e zac!): sei elitario, disprezzi la gente, vuoi stare nelle piccole cerchie...
Ci sembra un'obiezione semplicistica e mal posta. Twitter ha la febbre da crisi di crescita, in cinque mesi ha quintuplicato il numero di iscritti, giocoforza le modalità di fruizione cambiano, e ancor più i modi di utilizzarlo.
Lo riscontriamo ogni giorno, anche perché la crisi di crescita di Twitter è, più in piccolo, anche nostra: dal giugno scorso abbiamo più che duplicato i follower, senza riflettere abbastanza su cosa questo implicasse. E così il nostro modo di usare Twitter è invecchiato in tempi molto rapidi.

Differenze che percepiamo:

1) prima a seguirci erano soprattutto nostri lettori o comunque persone che avevano almeno un'idea di massima di chi eravamo (scrittori) e come la pensavamo (per dirla in parole povere, «sinistra radicale»). Ci seguivano prima perché scrittori, e poi perché ci avevano incontrati su Twitter. Ora, invece, abbiamo la sensazione che molte persone ci seguano soprattutto perché, ehm, siamo «twitstar», e magari seguendoci assistono a qualche flame divertente...

2) Prima potevamo permetterci cose che adesso producono valanghe. Il motteggio, il paradosso, l'aforisma, l'uso poetico del linguaggio diventano difficilissimi da proporre e gestire. Se scrivi qualcosa di sfumato, di intenzionalmente ambivalente, per gettare l'ormai proverbiale «sguardo obliquo» su una situazione o un evento, ti ritrovi subito a spiegare, a farti l'auto-esegesi, ed è molto peggio che spiegare le barzellette. Idem per la nostra modalità dei «tweet concatenati», tutti collegati tra loro. In passato, interi post di Giap sono nati come sequenze di tweet, vedasi ad esempio questo: http://bit.ly/jHS39K - Oggi, semplicemente, non funziona più. Frotte di persone iniziano a commentare il primo, ignorando del tutto quelli successivi.

3) Se fino a poco tempo fa il tempo impiegato per precisare, spiegare, correggere l'effetto di un tweet, fornire elementi di background, riassumere le «puntate precedenti» fornendo link etc. era (poniamo) 1/6 di quello impiegato su Twitter, adesso se non è 3/4 poco ci manca. E non possiamo permetterci una cosa del genere: disperde energie, divora la vita.

4) su Twitter, discutere è *sempre* stato difficile, non è una novità. Si riesce a discuteere partendo da Twitter per poi ritrovarsi altrove, in spazi discorsivi meno angusti (di solito si tratta di blog). Fino a qualche tempo fa, sembrava funzionare piuttosto bene, in qualche modo si procedeva, si andava oltre le premesse del discorso. Ora invece, sempre più spesso assistiamo a scambi lunghissimi, partecipatissimi, ma *inchiodati alle premesse*, dove ci si ritrova costretti a ribadire le premesse cento volte, e nel frattempo il dibattito non produce nessun tipo di sintesi o arricchimento, tutti restano sulle loro posizioni.

4b) Non solo: sempre più persone si incaponiscono a portare avanti la discussionesu Twitter, nella gabbia da uccellini, senza raccogliere inviti a proseguirlo altrove. Ci capita spesso di linkare un post o un commento su Giap, per scrivere il quale ci siamo sbattuti stando attenti a ogni parola e che richiederebbe una lettura un minimo meditata, e di vedere che molti ci rispondono su Twitter dopo pochi secondi, partendo per la tangente, magari dopo aver letto solo il titolo. Questo è sempre stato un mezzo velocissimo, ma se la prontezza di riflessi è una buona cosa, la fretta e l'ansia di dire la propria non lo sono mai. E di fretta ne riscontriamo sempre di più.

Insomma, l'abbiamo fatta lunga, ma il succo è: non riusciamo più a comunicare su Twitter come vorremmo. Non ci riusciamo più, e non ci divertiamo più. Di più: sentiamo che questo modo di stare su Twitter non ci arricchisce umanamente. Le nostre prassi e retoriche non sono più adeguate.
Ne stavamo già discutendo prima degli ultimi flame (sugli scontri del 15 ottobre a Roma, sul Banco Alimentare e sui pomodori a Oscar Giannino), ora sentiamo ancor più l'urgenza di cambiare. I flame non ci interessano, li troviamo avvilenti.

In attesa di trovare nuove prassi (se mai sarà possibile), intendiamo ricalibrare la nostra presenza su questo mezzo.
- Non cercheremo più di produrre contenuto *qui dentro*, ma rinvieremo sempre ad altri spazi (non soltanto nostri). Insomma, linkeremo contenuti esterni.
- Ritwitteremo solo messaggi altrui che a loro volta linkino contenuti esterni.
- In presenza di domande che richiedano risposte complesse, laddove possibile le scriveremo altrove e linkeremo la risposta.

Forse sarà un uso meno rispettoso dello specifico del mezzo, ma è quello che sentiamo di poter portare avanti. Non è più possibile muoversi come ci siamo mossi finora. I 140 caratteri sono stati una grande scuola di «breviloquenza», uno stimolo a dosare le parole, a scegliere i sinonimi più efficaci, anche a inventare. Ma più si va avanti, più questa «constrainte» ci sembra mortificante.

Dice: e allora perché continuare a stare su Twitter?
Perché, di base, è un formidabile strumento per la diffusione di informazioni. Non usarlo in questo senso sarebbe un peccato.

Di contro, cosa *non* è Twitter?
Non è un forum. Non è una chat. Non è «Ballarò».
Se sempre più gente lo userà come forum, come chat e come surrogato di «Ballarò», presto l'aria qui dentro sarà irrespirabile.
Per questo iniziamo ad aprirci sfiatatoi.

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